Chi ha detto che «comunicazione» è solo usare media (old o new), interattività e tecnologìe? Mi ha buttato là una volta, in conversazione, Danilo Dolci, e lo affermava seriamente, che anche spararti è un modo di comunicarti qualcosa: in questo caso il messaggio è la pallottola. «Messaggi di morte» è un modo di dire frequente. La mafia usa con molta efficacia codici simbolici eloquentissimi. Tutti sanno cosa vuol dire trovare in bocca a un cadavere delle monete, o un sasso, o i propri scerpati testicoli. Ma anche un ammazzato buttato là per terra può essere, nella sua stessa sanguinolenta stecchitezza o sbranatura in pezzi, un messaggio rivolto a un vivo. Falcone per Borsellino, Lima per Andreotti, fatta salva la diversità dei contenuti. Diciamo che questi sono però ancora - anche se un "ritorno", un feedback, lo possono avere - esempi da poter classificare come una sorta di «informazione», dunque unilaterale, esortativa a fare o non fare qualcosa, a non seguire un esempio. Proprio com'erano secondo il Thompson i patiboli in piazza; né più, né meno. La comunicazione, si sa, per corrispondere pienamente al concetto dev'essere invece bidirezionale. Due o più soggetti i messaggi se li scambiano e l'unico presupposto necessario è il codice sia conosciuto da entrambi. E allora un esempio più pertinente è quello di Palestina ed Israele.
Che stanno, non c'è dubbio, comunicando. Per comunicare, i canali sono diversi, beninteso: c'è il telefono, la carta scritta, lo scambio d'ambasciatori, anche il backstage delle conferenze internazionali. Vi fu un tempo in cui addirittura il premier israeliano Sabin e il capo dell'Olp Arafat si vedevano. (Avevano preso persino un Nobel per la pace ex aequo). Ora la scelta linguistica pare però un'altra, meno raffinata; meno duttile perfino di quanto lo siano dei tam-tam o dei segnali di fumo. Ora il medium scelto è il kamikaze da un lato e l'elicottero lanciamissili dall'altro, e i messaggi sono rispettivamente tritolo e razzi. Difficoltà di decodificare? Bisogno d'interprete? Assolutamente nessuno, tutto chiaro. Non daremo - è naturale - ragione a nessuno dei due, per aver scelto questa lingua e questi vettori. Persino il presidente americano Bush, da sempre sostenitore di Israele, ha dovuto alzare la voce per sgridare il suo capo Ariel Sharon che ha ordinato attentati "mirati" sui capi palestinesi. Lo scambio di messaggi ha un contenuto esplicito che neppure è più quello classico, del tipo «Arrenditi» o «Questa è una ritorsione»: dall'una parte e dall'altra si dicono vicendevolmente, con sinistro fragore, solo «Ti odio, e ti distruggerò».
Non è il caso, naturalmente, di addentrarsi in moralia storiche sullo scambio di ruoli che sta alla base di quanto sta accadendo: i figli dei deportati di Auschwiz che demoliscono coi bulldozer le case palestinesi dopo averne già espropriato i terreni ad opera dei coloni, e gli uomini con la kefìja che si trovano invece al posto che fu degli abitanti del ghetto di Varsavia in disperata resistenza armata. Vale invece la pena di spendere giudizi di orrore sul fatto di quanti bambini vengono spietatamente ogni giorno uccisi dalle due parti perché non sono in grado di distinguerli e risparmiarli né le bombe umane arabe nè i missili aria-terra israeliani, per cui conta solo l'obiettivo principale del momento. Contemplando dalle finestre di casa nostra questo lessico armato si dimenticano molte cose che i nativi di quelle terre ricordano invece benissimo. Non fu un islamico ad assassinare il premierisraeliano Sabin, che fu invece giustiziato proprio dal fondamentalismo ebraico il quale lo giudicava troppo arrendevole con i palestinesi. E' così che ebbero poi la meglio i "falchi". E si ricorda la guerra del Kippur del generale Moshe Dayan. Anche la distruzione a sorpresa negli aeroporti della flotta aerea egiziana fu un «atto preventivo», la Casa Bianca non ha inventato niente. L'espansionismo israeliano finì con l'essere fermato nel Sinai, sul Golan, in Cisgiordania, per le pressioni occidentali e non per ravvedimento autocritico. Tutta benzina però rimasta sparsa a terra che basta buttarci una cicca per infiammare. E anche il presidente egiziano Sadat, inversamente, non fu ucciso su commissione israeliana ma dagli oltranzisti arabi che lo volevano più duro appunto con Israele. Eh no, non c'è aria per i moderati quando ci sono etnìe oppresse e impoverite a forza e fondamentalismi religiosi che ritengono ancora a sè divinamente promessa la terra nei secoli divenuta d'altri.
Comunicare, dunque, ma con le armi e non con le parole. Botta. E risposta. Un giorno un commando suicida palestinese fa saltare in aria dieci persone a Gerusalemme e un altro elicotteri israeliani sparano razzi nel centro urbano di Ramallah. Allora un altro attentato. Allora un'altra incursione. Chi ha cominciato? Non importa più, non ha più senso stabilirlo. Questa reciproca comunicazione a due vie ruota su se stessa con interattività forsennata. Gli Usa rimproverano anche Israele, adesso, ma Sharon ha solo copiato Bush, mandando Apaches da combattimento a colpire dall'alto due auto così e così su strade di città dietro informazioni da «intelligence» sui percorsi dei capi di Hamas quel giorno. Non era su informazioni di «intelligence» che per due volte, due mesi or sono, i B29 furono mandati dal Pentagono a bombardare un centrale palazzo di Baghdad nel quale era segnalata la presenza di Saddam? Comunicare con le armi e capire benissimo cosa ci si dice con esse. Ossia le armi diventate medium. Non ci sono limiti al progresso umano.