Al pianterreno del palazzo centrale delle Poste, a Trieste, c'è nel vestibolo, sulla destra entrando, un enorme conchiglione di spesso metallo ruggine, dai bordi irregolari e forato da un oblò marinaro. E' ciò che resta dello scafo dell'«Elettra», lo yacht-laboratorio di Guglielmo Marconi (qualche congegno sperimentale che era a bordo del quale sta imbachecato in una stanza attigua), insieme a un po' più grande pezzo di prua che invece è nel giardino del Museo del Mare. Era ancorato qui quando fu fatto a pezzi e colò a picco durante un bombardamento americano nel 1942. Marconi non aveva inventato la radio bensì il telegrafo senza fili, però ne aveva comunque resa possibile la nascita quando si accertò che quelle onde percorrenti il cielo, di cui egli s'era impadronito, non erano solo capaci d'essere vettrici di impulsi elettromagnetici ma anche di tramutarli in sonori (e infine in ottici: televisione, ma lui fece appena in tempo a pensare come poter aumentare il numero delle "righe" trasmissibili). Anche se era ancora un segnale punto-linea-punto, si può ad ogni modo dire - perché comunque si trattava già di un medium nuovo anche se ancora muto, com'era in quel momento muto pure il cinema - che il battesimo storico di quella che poi sarebbe divenuta la radio avvenne il 12 aprile 1912. Quando la chiamata di soccorso partita dal transatlantico inglese «Titanic» scampò da morte, per l'accorrere di altre navi, oltre settecento naufraghi, cioè quasi un terzo delle persone trascinate nei flutti. Così come può definirsi storico un altro evento - mai più ripetutosi per alcuna persona o motivo - caratterizzato invece dall'assenza totale di segnale: quando tutte insieme le emittenti radio del mondo osservarono dieci minuti di rispettoso silenzio, smettendo in modo inquietante di gremire di parole per quel pur breve ma apparso interminabile tempo la Terra, per onorare di questo proprio significativo saluto Guglielmo Marconi appunto, in quel giorno del 1937 in cui l'interruttore finale era scattato per lui. La radio, voce senza fili; la radio, voce non da un punto a un altro punto ma da un punto a tutti gli altri punti insieme che sian dotati di ricevente; la radio, ventiquattr'ore su ventiquattro pronta agli orecchi dell'intero pianeta; la radio, i cui costi d'investimento e di gestione sono infinitamente minori di quelli della TV; la radio, qualcosa che era imponente aggeggio e oggi la puoi avere sempre con te infilata dentro al taschino o in un chip da appendere all'orecchio.

 

La radio ha dominato da regina tutta la prima metà del XX secolo. Ha affiancato i giornali come messaggera di notizie, li ha superati come persuaditrice politica, ha riempito le giornate della gente di musica e canzoni, ha fatto da madrina e governante alla pubblicità non stampata, ha scandito gli anni della seconda guerra mondiale con le retoriche emittenti ufficiali e con le emozionanti emittenti clandestine. E dopo, era solo attraverso lei che da noi si potevano seguire in tempo reale il Giro d'Italia, i campionati di calcio e il Festival di Sanremo. Poi, è lentamente emersa la televisione, le è cresciuta accanto mettendo rami e foglie in accelerato fino a diventare foresta pluviale e soffocarla: l'ha spinta ai margini con possenti gomitate, l'ha derubata di attrattive e di programmi, l'ha vestita a forza dei panni di Cenerentola. E adesso però la stessa TV è solo una vecchia signora che nasconde le rughe sotto belletti e sfarzi, ripetendo peggiorativamente se stessa ad ogni pie' sospinto di palinsesto. Mentre la radio, invece, si accinge a rivivere, come una fenice, la sua seconda giovinezza; nuovamente piacente, utile, invasiva e corteggiata. Come mai?

 

Credo proprio che il nostro grazie deva andare prima di tutto ai giovani. E al loro trasporto per la musica. Fenomeni come Radio DJ e Radio Margherita/Musica Italiana sono solo degli apripista per altro. E al fatto che la televisione li stufa, non sa adattarsi al loro gusto, i suoi palinsesti sono al guinzaglio della pubblicità. I giovani si sono rifugiati in Internet, ed è lì che la radio li insegue. I siti che trasmettono musica sono sulla cresta dell'onda, si possa scaricare o, come la legge pretende, no. Nel Web ci sono radio che nascono e radio che vi si trasferiscono o che l'aggiungono all'antenna come marcia in più, come rinvigorente risorsa. Negli Stati Uniti il numero delle emittenti radiofoniche pareggia quello delle televisive. In molte città nostrane ci sono addirittura radio di quartiere. L'automobilista in viaggio, il camionista di lungo percorso, non possono guardare tv: si fanno accompagnare dalla radio. C'è un programma Rai che dura molte ore, «La notte dei misteri», il quale contatta telefonicamente ascoltatori notturni del genere più vario; e dimostra che l'estemporaneo non può essere televisivo, ma radiofonico sì. E, se sono in rete, i programmi li puoi conservare ed ascoltarli quando vuoi, restano lì, non sei obbligato all'appuntamento orario con la fonte di emissione. Perfino la filodiffusione, cioè la radio via cavo, non è on demand, può consistere solo in una "diretta": sei canali, quella che c'è. Ha lo strumento link la tua radiolina? No, ma se accendi il computer e la tua stazione la cerchi lì, hai voglia di scelte che ti offre. Molte radio si possono collegare fra di loro, e fra antenne in vista basta un raggio laser. La radio è sintetica, offre messaggi brevi, in un pugno di secondi può condensare tre servizi televisivi. La radio collocata in un sito telematico ha un potenziale interattivo che è impraticabile a quella che raggiunge solo il tuo orecchio e casomai ti permette unicamente di telefonarle, mettendoti in coda, al suo centralino proprio come fa la TV. La radio può essere usata per l'informazione interna e come strumento didattico, ci stanno pensando le Università.

 

Sono le lauree in Scienze della Comunicazione, di cui oramai tutti gli Atenei dispongono, quelle che contengono le materie più gettonate per essere apprese, nella nostra èra globalizzata, le quali dunque, chi prima e chi dopo, dovranno inevitabilmente programmare una ristrutturazione somigliante a quella delle Facoltà di Medicina. Come si insegna Medicina senza disporre di un Policlinico? Ed ecco che siamo arrivati al centro del discorso preso, come abitudine mia, partendo da lontano. Posto che l'oggi ha un senso solo se conosciamo l'ieri. Come si insegna Comunicazione senza un'aggiornata struttura comunicatoria? A questi corsi di laurea, figuriamoci lavagne e proiettori, non bastano più neppure i computer: hanno bisogno dei laboratori che producano materiali per il computer. Messaggi per i computer, didattica da distribuire via computer, know-how e capacità esecutive per l'on-line, per l'etere e per il cavo, oggi telefonico e poi di fibre ottiche. E allora occorrono sedi dove attrezzare studi radiofonici e televisivi, cabine di montaggio e sale di regìa, non solo tastiere ma uso di consolles. E in numero e dimensioni tali da essere adeguate al numero degli studenti. Come i futuri medici devono frequentare corsìe, ambulatori e sale operatorie, oltre a frequentare aule (se no come farebbero poi?) anche ai futuri comunicatori tocca insomma, oltre all'aula, di imparare a metter su un notiziario audiovisivo o un'inchiesta non scritta, a fare una ricerca con microfono o telecamera, a costruire un sito telematico, ciò disponendo di un circuito chiuso per la tv ma potendo invece anche emettere radiofonicamente da stazione verso l'esterno, e collocare in Internet dei prodotti. I primi passi in questa direzione sono già mossi, ma ne occorreranno degli altri. Progressivi ma sempre più veloci.

 

Occorre insomma prepararsi ad una società in cui il televisore sarà soppiantato dal computer ma in cui occorreranno sempre telecamere (digitali) per i prodotti da immettere invece in rete. In cui la radiofonìa sarà pure in rete ma il posto dell'apparecchietto radio sarà preso dal telefonino cellulare perché il tuo programma sarà disponibile a tutti gli orari. In cui sedendo al video non andrai come adesso solo al cinema o a visitar musei ma potrai andare finalmente anche a teatro, opera che sia o prosa, perché non tutti gli spettacoli girano in tutte le città e qualcuno anzi non si muove da lì dov'è nato e comunque la televisione non lo dà. Certo che sarà sempre preferibile pagare un biglietto, fin quando i teatri esisteranno (auguriamoci per molto ancora, nonostante tutto) e godere la fisicità dell'attore sul palcoscenico davanti a noi. Ma che la cultura sfondi le distanze e veda diminuire i propri costi è pur sempre qualcosa che va perseguito. E il fatto che la radio torni ad essere regina è contenuto in questo presente e in queste prospettive. Sì, la tecnologìa ti potrà anche permettere di avere un televisorino al polso, ammesso che tu ti ci voglia rovinare gli occhi; e il videotelefonino ti potrà anche permettere di accertarti se davvero tua moglie o tuo marito sono davvero in questo momento dove dicono d'essere. Ma il bisogno di vedere nitido e grande resterà insopprimibile e tu non potrai passare la tua giornata seduto davanti a uno schermo di vetro. Come hai avuto bisogno di passare da un apparecchio telefonico attaccato al muro a un telefonino piccolo così, che ti sta appeso in cintura ovunque tu vada, così avverrà che anche gli altri messaggi sonori per cui hai bisogno di tempestività, quelli aggiunti della radio appunto e cioè news e informazioni di servizio, tu troverai più comodo ti raggiungano ovunque tu sia, lontano dal 12 o 18 o 24pollici che hai a casa e che userai per altro, o solo per completamento. Accade già adesso, ma accadrà di più.

 

Speriamo solo che questo «Brave New World» non debba assomigliare a quello di Aldous Huxley, se no sarebbe stato molto meglio vivere prima che una sottoscrizione internazionale di estimatori regalasse a Marconi quell'«Elettra».