Nella rubrica di questa settimana fa comparsa una forma particolare di linguaggio, quello "del corpo", ma prima spiego perché, e da chi me ne è esplicitamente stato fornito apposito spunto e richiesta. L'altro giorno a Trieste, durante un appello di esami a Lettere, una candidata che avevo fra l'altro interrogato sulle formule possibili di "linguaggi non scritti", dopo avere ottenuto un buon voto mi ha posto una questione. Recava, come tante, un anellino alla narice, ma sottilissimo, foggiato un po' a "s" e, poco sopra il penetrare di esso, una piccola borchietta dorata che ne faceva tutt'uno. E la questione era questa: «Lei, professore, dice che nell'attuale abbigliarsi la diffusa messa in mostra dell'ombelico da parte delle giovani (e non solo di esse) ha praticamente sostituito la scollatura. E che anche il piercing ha un linguaggio, essendo un modo di comunicare». In effetti avevo dedicato qualche settimana fa, se vi ricordate, una puntata di SECOLO POSTMODERNO a inseguire lungo il corpo umano un po' di queste particolari manifestazioni semantiche di metalli applicati, le quali stanno per ora molto intensificando il proprio averlo come supporto.
La questione che mi veniva posta era insomma quella di considerare se l'apposizione di piercing e la scopertura strategica di epidermide dovessero avere per forza un'unica e fusa valenza. «Le propongo una variante», continuava infatti questa studentessa, «che sono io, e non vedo perché dovrei essere unica: mi son fatta inserire un anellino così anche all'ombelico, eppure il mio ombelico è qualcosa che non espongo mai. Quell'anellino certo che è decorante, ma lo è "solo per me"». In sostanza era come se dicesse: «E allora, come la mettiamo?». Bèh, la mettiamo così: che, pur non esibito, pur rimanendo destinato alla privacy visiva della sola interessata stessa nello specchio del proprio bagno, quell'ombelico decorato sempre un elemento di linguaggio resta. Anche un diario segretamente scritto e conservato sera per sera sottochiave non rappresenta certo un agitare di bandierine segnaletiche verso chicchessìa, non costituisce immediatezza comunicativa verso interlocutore alcuno; ma è un documento essenziale di "testimonianza verso di sè", e con elementi linguistici è costruito. Però non si andrà poi sempre al mare col costume intero e quel cassetto potrebbe non essere a prova di effrazione. Quando accada che da qualcuno quella riservata fascia ventrale venga vista nuda (e non mi pare proprio evento da escludere...) o che un diverso occhio cada su quelle pagine (abbondano non solo gli spioni ma anche i semplici curiosi), ebbene, allora il segno assumerà eloquenza, emergerà con tutta la propria valenza significale, e diventerà ipso facto "messaggio". Per uno solo, magari e al momento, ma suscettibile d'esser poi anche propagato. Non si scappa.
Avevo notato la particolare eleganza del dècor nasale di questa studentessa e ritenevo anche immaginabile una non dissimiglianza stilistica in quello invece non destinato all'ostensione. Ma poi mi accorsi di un'altro dato suffragante, quando lei piegò incidentalmente la testa da un lato facendo piovere lontano dalla guancia i capelli lunghi che prima v'erano appoggiati a precludere ermeticamente l'orecchio. Che il padiglione di questo, cioè, letteralmente grondava di anellini sottilissimi creanti quasi un mobile effetto frangia. Il che costituiva un'altra applicazione originale di fantasia in fondo carina. Avvertito questo, cercai il momento di spingere lo sguardo anche sotto la quinta di capelli opposta, e dunque, per un piccolo attimo, potei dopo vedere anche l'altro orecchio e cogliere come la sua decorazione pure fosse leggera e di gusto: ma - ecco - di un insieme completamente diverso ed asimmetrico rispetto alla sua pari. Un dato voluto e contemporaneamente, servendosi della pettinatura, nascosto! Ma neanche l'ambiguo mascherare qualcosa dietro un vedo-non-vedo può dimostrare che non si tratta di messaggio intenzionale. Primo: perché è a tutti gli effetti un messaggio anche quello che sul momento venga mantenuto invisibile e non (ancora) lanciato. L'ora l'orologio la segna ma fin che non lo esci dal taschino non la sai. L'albero mostra sì quanti anni ha, ma per contare gli anelli del suo tronco occorre prima passarlo a fil di motosega. Secondo: perché chi ha detto mai che tutti i messaggi siano intenzionali? Essi sono talvolta (spesso) solo una "denuncia di stato" o "di personalità" completamente involontaria, automatica, ma importantissima; e hai detto niente, in materia di cose tue segnaletiche e definitorie da comunicare!
Quando dunque la ragazza mi ha detto a questo punto, con un mezzo sorriso e bucando con lo sguardo i suoi occhialetti tondi, perché non dedicavo una rubrica direttamente al linguaggio del corpo invece di limitarmi al linguaggio delle decorazioni del corpo, io ho messo giù un altro «Bèh» cominciando a dare immediatamente sostanza mentale a quel che, subito dopo sorseggiando un Martini con parole-suoni e poi adesso digitando sulla tastiera parole-segni, può da uno come me essere sinteticamente esposto in materia.
Cominciamo col dire che il corpo, per "parlare", non necessita di applicarsi in modo volitivo/dinamico. Può farlo anche in assoluta immobilità o comunque passivamente atteggiato. A me medico esso dirà la tua malattia anche se stai zitto: dalla positura, dal colorito, dalla temperatura, dal peso, dal respiro, dal tenore degli occhi, da tremiti di pelle e da pulsare di vene. All'amante saprà mostrare in vari modi e senza muover dito se è stanco o se è adirato, se è eccitato o dormiente. Al nemico basterà che appaia così com'è per mostrarsi carismaticamente temibile ovvero un vile cacarone. Eccetera. Ma c'è un linguaggio del corpo che invece si esprime in modo attivo, con creatività, e anche usando grammatiche precise, atte a far interpretare movimenti ed atti, e le cui capacità si estrinsecano soprattutto attraverso la mimica e la danza. Appartenute all'uomo da sempre.
Fra queste corporee grammatiche comuni, anche se è per la sua particolare messaggistica importante, ce n'è una più automatica ed istintiva delle altre, ed è quella erotica; dunque si può al momento tralasciarla poichè serve solo un comparto peraltro più a ordinaria portata, mentre qui preme abbiano soprattutto definizione e messa in evidenza prima di tutto altri modi proprio mediatici e non solo interpersonali di esprimersi mediante il corpo, di mettersi in questo modo in relazione comunicativa con gli altri. Il corpo è in grado di "rappresentare" anche in modo drammatico e narrativo
 fatti inventati (per il palcoscenico, per esempio) così come spontaneamente, secondo gli stessi canoni, il corpo stesso agisce nella vita. Pulcinella non ha mai avuto bisogno di aggiungere parole ai suoi gesti per esprimersi. Chaplin è stato per un quarto di secolo solo moti della faccia e scomposizione gestuale cadenzata del propro torso e dei propri arti. Marcel Marceau, biancovestito e col viso spalmato di biacca, senza dir parola e solitario in scena, era se stesso e anche gli altri personaggi, e insieme le sue mani descrivevano tutto l'ambiente e gli arredi ed ogni singolo anche piccolissimo oggetto. Lui muoveva le dita e tu vedevi.
E' la danza però il linguaggio corporeo che ci consente con maggiore facilità di passare dal palcoscenico all'interpersonalità, dal luogo cioè dove siamo spettatori e quindi recettori di qualcosa che una prima ballerina e un corpo di ballo, o un solista, o una fila di sincrone sgambettanti, assistiti dalla musica ci raccontano, a un luogo invece, molto diverso. In cui questo linguaggio può diventare solipsismo o dialogo, o anche dissolversi nel collettivo, ma comunque espressione momentaneamente autentica di te. Che la musica guida e che tu traduci. Voglio dire che la danza, nella sua storia, era sempre stata un fatto collettivo o di gruppi, valutandosene sempre - per motivi religiosi o festaioli che di volta in volta fossero - gli aspetti spettacolari. Solo nell'Ottocento si fa largo tra file e quadriglie il ballo di coppia, e poi si stabilizza. Due roteavano abbracciati ma secondo regole comunque rigide e fisse.
E poi, negli anni '40 del Novecento, tracimò improvvisamente sui nostri festini liceali intessuti ancora di tanghi, mazurke e fox-trot, con un effetto esplosivamente frantumatore di regole, il boogie-woogie portato dai soldati americani e da noi immediatamente tradotto in "bughivùghi". Il precedente modo di danzare (persino il tango era per noi un quattro-passi avanti e indietro, e poi uno di lato, molto piatto) ci faceva esprimere compitezze, complimentosa timidezza, al massimo rerciproca sportività. Il nuovo modo di danzare subito imparato, invece, faceva altalenare le ànche, sbattere i bacini, dimenare i torsi, tenere le gambe molto larghe. E basta con due braccia a incrociarsi schiena-spalla e due finire ad appoggiarsi mano su mano; ora le braccia erano libere di fare un'atletica leggera ritmata, le mani stringevano in vita ed avvinghiavano per fare scivolate e capriole. Una rivoluzione (di linguaggio: eh sì, linguaggio del corpo)! Potevi rinunciare a ballare, ma se continuavi non si trattava già più di un giovanottino e di una signorinella bensì, di colpo, di un maschietto e di una femmina. E le cose che coi nostri movimenti ci dicevamo non erano più le stesse né potevano esserlo.
Il linguaggio del corpo trova comunque il suo diapason in discoteca e negli anni correnti. Ora il vestiario è più succinto e i corpi si vedono di più. Ora la musica è più scatenata e il loro muoversi dunque più accentuato. E ora le coppie non si tengono più né fra le braccia, né per le braccia, e neanche necessariamente vicinissime. Ora si dimenano frontalmente a gambe flesse e braccia ondeggianti, ciascun individuo a propria preferenza stilistica e dunque, in fondo, come gli pare. Bene, questa è libertà espressiva totale: ognuno si scarica, si lascia andare; possono essere movimenti in qualche modo sincronici, ma anche solo più o meno corrispondenti con quelli del/della partner. In realtà ogni danzante, sia da solo sia in botta-e-risposta con qualcuno, "racconta come sta". Esprime quel che la musica - la quale fa miscela coi sentimenti del momento che a lui/lei dall'interno vengon rispettivamente su - suggerisce. E che fra i due possono essere sintonici o no.
L'importante è questo: che muovermi è parlare. Parlare senza voce ma a mezzo dei miei arti, dei miei gesti onniformi e onniritmo, saltando, dondolando, avvitandomi. Posso esprimere dolci sentimentalismi o dramma fosco, corteggiamento o minaccia, sesso allo stato puro o solo voglia di coccole gentili. Qualche volta anche ci si stracapisce. E qualche volta si va un po' troppo su di giri, perché in discoteca non si ciuccia solo Cocacòla, D'altro canto, c'è troppo chiasso a decibel per sentirsi a parole ed è anche perciò inevitabile che sia appunto il linguaggio del corpo in ogni sua accezione a prevalere su fonèmi impossibili a venir scambiati. E' tramite quel medium lì che ti capisci (o no). E' con quello che ti appatti (o spatti, e allora, continuando, ti volti da un'altra parte in cerca d'altro gancio). E' con quello che racconti, o chiedi, o ti confessi, o prometti.
Ne dico una per concludere, ma non di discoteca: di treno. E non di medium corporeo ma di specifico ombelicale. Sempre di linguaggio però si tratta, poiché anche mister Navel è parlante. In quattro ore di treno dovute fare ieri me ne si sono avvicinati tre, a pochi intimidenti centimetri dal mio naso. Ma come? autunno avanzato, fa fresco, non son finite per quest'anno le pance scoperte? Pazienza, spiego. Le ragazze viaggiano in jeans e magliette o maglioncini, magari due sovrapposti. Eppure quando devono ascendere o calare i loro pesanti zainoni dalla scansìa portabagagli alta sopra i sedili, messe dritte su inclinate avanti, sulle punte dei piedi e braccia a issare su le mani fin dove arrivano, ecco allora che, essendo a vita bassa regolamentarmente i jeans ed essendo ormai istituzionalmente più corti di qualche anno fa i maglioncini, ecco che scivola pian piano fuori non solo ciascun ombelico ma l'intero ovale del pancino sino ai suoi confini, segnati molto sopra e molto sotto di esso.
E ciò un po' imbarazzantemente per chi è lì seduto, Niente di male, naturalmente. Nulla di eccezionale, nulla di indecente, nulla di seduttivo, per carità. Però cosa dice - linguaggio corporale, termini inequivocabili - quell'ombelico, e ripetono gli altri? Non si può capire male: dicono tutti e tre con tranquilla indifferenza «Me ne fotto!». (S'intende: di te, di tutti voialtri, di quel che pensi guardandomi, e anche di tutta l'organizzazione dei tuoi pensieri). Non è grave, intendiamoci. Comunque non più grave che essere spettinate o avere i calzetti male arrotolati. Nessuno di questi tre ombelichi aveva l'anellino, proprio neanche l'ombra. E intanto c'èra anche chi ce l'ha, probabilmente anche elegante e grazioso, ma che invece non vuole mostrare a nessuno e la cui vista tiene solo per sè. Forse esagerando nel senso opposto in cui hanno esagerato le altre tre.