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Categoria: Secolo postmoderno

Nella precedente rubrica s'è compiuta un'esplorazione nel linguaggio dei segni tatuati, dalla civetteria del logo personalizzato alla performance corporea come opera esponibile. Non è che uno dei modi di emettere messaggi visivi usando parti del proprio corpo come supporto fisico di essi. Sono tutti modi antichi, ma il costume attuale ne propone un revival sempre più insistito ed espanso. Una cravatta, una sciarpa, un foulard, un bracciale costituiscono messaggi effimeri o comunque removibili. Più stabilizzati sono quelli basati sul sistema pilifero. Un taglio apposito di chioma (treccine, creste di drago, rasature zonali o totali); una loro tinteggiatura mono o pluricromatica aliena rispetto al normale patrimonio coloristico del capello umano; un design repertoriale o fantasioso di barbe/baffi/basette ottenibile con rasoi elettrici a sistemi di lame duttilmente fini; una depilazione totale o scolpita dell'area pubica. Ognuno di essi indica qualcosa: contestazione, appartenenza, inclinazione, captazione, mera affermazione d'"io".
Quello che assume carattere permanente e irreversibile quanto il tatuaggio è però il piercing (la rimozione è possibile ma comporta cicatrice e quindi mantenimento del segnale). E dunque è di questo che mi occuperò oggi, in prosecuzione del discorso svolto la settimana precedente.
To pierce vuol dire "forare" e due buchi ai lobi degli orecchi ce li aveva pure mia nonna, e sua nonna prima di lei. Tramite essi emetteva informazioni di censo: famiglia di gioiellieri con vetrine a Budapest e a Vienna, non le mancavano ori e brillanti da mostrare lì appesi; ma anche messaggi di gusto per come li accoppiava ai toni dell'abito, e indicazione di disponibilità per loro foggia semplice e leggera, ancora da fräulein e non da frau. Tutto qui, comunque: un repertorio limitato e magari, al ballo del Circolo Ufficiali, poteva scegliere zàffiri se il tenente degli ulani che le piaceva aveva azzurro il dolman reggimentale. Non occorreva comunque essere ricchi per usare questo telegrafo: potevano bastare anche delle madreperline per farsi vezzosa e molte signore agitavano cerchioni zingareschi ai lati del capo se volevano attrarre sguardi o certificare romanticismo passionale. Però già non tutte le mie compagne di scuola avevano quei lobi appositamente perciati. Erano gli anni infatti in cui cominciavano ad andare gli orecchini a clip, non più richiedenti predisposizione chirurgica. Ma abbiamo già costatato in altre rubriche precedenti come costume, moda e applicazioni tecniche abbiano lungo i tempi occasioni di "ritorno", sommesso o sensazionale. Talvolta per iniziale spinta fortuita, talvolta per volitivo programma emulante: non so quanti lobi maschili abbiano per esempio assunto a standard di non conformismo l'orecchino spaiato che a Corto Maltese aveva genialmente apposto Hugo Pratt negli anni '60. E da un certo tempo non sono più solo le orecchie che uomini e donne vanno bucandosi per inserirvi segnali di personalità, messaggi di ribellione, indizi di diversità, provocazioni puramente estetiche.
E c'è in più anche un dato quantitativo: dilagano infatti le aggiunzioni contestuali, dato che il viso offre anche narici, sopraccigli e labbra, e le orecchie stesse non sono fatte soltanto di lobi. Non tutti son così sobri da accontentarsi di un piercing solo: ho contato volti con dieci e una volta che credevo di aver finito quella ragazzina mi uscì la lingua e ne aveva uno anche lì, a pallina.
Io la vorrei tentare, adesso, una classificazione motivata. Per sedi d'impianto e per significanze. Che sarà di necessità incompleta ma che comunque un sommario quadro interpretativo penso lo consenta. Parliamo sempre di linguaggi, teniamolo presente, anche se nella fattispecie, probabilmente, più come manifestazioni espressive che come effettive forme di comunicazione. Non è facile, certo, ma io ci provo lo stesso pur abitando solo il mezzanino in quell'imponente e complesso edificio che è l'antropologia culturale.
Comincio dalle esibizioni più soft. Quelle che vogliono essere solo civettante eleganza e che sono dunque possedibili senza particolare sfrontatezza o bisogno di giustificazione. Appartengono naturalmente al mondo femminile, e giovane. La più diffusa è quel minuscolo luccichìo inserito sopra la pinna esterna di una narice e il suo messaggio non si differenzia molto da quello di un finto nèo ben collocato (anch'essi avevano un preciso linguaggio, a Versailles o nella Venezia di Casanova) tranne che appunto nella valenza maliziosa, qui inesistente e invece sostituita da una voglia di carineria. Nulla insomma della capacità smuovente di cui son casomai dotati certi rossetti forti per labbra o foschi ombretti per l'arcata oculare.
Più difficile e impegnativo da portare, alla narice, è invece certamente l'anellino che ne penetra l'orlo da parte a parte curvandoglisi sotto; ciò per le diversità possibili della sua foggia - anche trecciata o a fogliolina - e per la sua origine etnica, oltre naturalmente al dato della sua maggiore visibilità. Alla sua portatrice serve insomma un tantinello di grinta, dato che è appunto un segno di non docilità che per lo più intende con esso trasmettere. (Comincia a comparire, comunque, anche uno stile abbastanza più "inselvaggito", quindi not soft, che perfora il setto nasale e le nari sono così incluse entrambe. Bisex, questo, e della serie: «Tanto voi, a me, m'avevate già emarginato»).
Quanto agli orecchi, di anellini ne sopportano anche una schiodinata di cinque, infissi nel bordo alto del padiglione e bisogna dire che questo è un caso di ambivalenza del tutto analogo a quello dell'uomo che porta sia cintura che bretelle: un esubero che può significare sia istinto di padronanza sia il suo contrario e cioè insicurezza. Si tratti d'un orecchio solo o di tutti e due, si tratti di padiglione maschio o donnesco. E' invece quasi sempre maschile il sopracciglio perciato e la ragione c'è: alla linea di questo la donna tiene, fa fisionomia da curare con la pinzetta stràp, non le viene di turbarla con un anelluccio o due sferette; è più il ragazzo a ritenere che una svirgolata correttiva possa essere caratterizzante a suo vantaggio.
C'è un altro piercing da ritenere soft, anche se ci fa cambiare zona. Finito ormai nella banalità quello che un tempo si chiamava décolleté, è venuto con colpo d'ala alla luce, da un po', l'ombelico. Perché, diciamolo, c'è seno e seno, mentre quel finto orifizio che s'infossa al centro del ventre ritengono d'averlo bellino, e hanno magari ragione, anche le più insicure. Somigli a un tortellino dolce o a un bellicoso sprofondo, sia cerchioso o bislungo, critiche lui proprio non ne teme: va comunque bene com'è, al centro di quella fascia ventrale apposta denudata. E oltre tutto, a differenza di altre anatomie, gli riesce meglio l'apparire innocente. L'estate rendendoli innumerevoli ormai alla vista, sino a far ritenere che ciò sia a questo punto persino assunto come doveroso, è stato anche inevitabile sia nata la voglia di decorarlo. Per dargli un ovvio minimo di diseguaglianze personalizzate. E' infatti qui che c'è più sfoggio di varietà. La facile penetrabilità offerta dalla sua natura concava e bordata consente anelli, e di doppiarli, consente stanghette e coppia di palline, consente placca e magari una pendula medaglia, e soprattutto vi può pure regnare dell'apposita bigiotteria. Alla narice no, ma qui sì che ci può essere anche smalto o corallo, una pietruzza dura e colorata, qualcosa che dia dei riflessi cangianti, un castone a ricambi che permetta conchiglietta al mare e acquamarina al cocktail. (E che ne dite del sommarsi di corolletta d'oro più tatuaggio?). Qualche settimana fa in aereporto mi sono imbattuto addirittura in una piumetta che mi è piaciuto pensare di colibrì. Insomma, il piercing ombelicale è soprattutto, e variamente, intrattenitivo.
Fine del soft. Passiamo, allacciate le cinture, al versante hard. Torniamo al viso, prima, e nel viso c'è la bocca. Il piercing labiale è bisex ed è comunque più dichiarativo che estetico; esso rappresenta sfida, è polemico: «Io ne ho il coraggio e tu no». Può essere laterale o centrale ma il suo anello è comunque fissato al labbro inferiore, ché sopra ingombrerebbe. Quale messaggio se non quello d'una "non appartenenza"? E a che? Ma all'ordinario mondo che vive di routine, a quello che s'accontenta di buonsenso e si preclude invece fantasia. Perché questo anello è come innalzare un cartello di protesta. Che in sè magari non è sbagliata ma che è probabilmente manifestata in modo di scarsa producenza; più capace, voglio dire, di suscitare sgomento che solidale feeling, o di restringerlo all'interno di un recinto chiuso. Marco Pannella, che fa anche lui proteste contro "il resto del mondo" usando l'arma sgradevole ai più di uno sciopero della sete culminante nel bere le proprie urine davanti a una telecamera, finisce però col vincere. Autolesionista anche lui, lo è comunque in modo estremo e questo gli conferisce rispettabile carisma, mentre la mezza misura di forarsi in sede non asciutta e ricca di mucose, rischiando al massimo un'infezione da cui i medici seri ammoniscono, resta ferma all'autocompiacimento. La bocca ha una funzione fisiologica (mangiare) e una poetica (baciare). Se mangio non voglio trattenere residui organici insalivati, se bacio voglio baciare carne e non metallo. Capisco tuttavia chi abbia disperate ragioni per dichiararsi "diverso" pure in questa inestetica maniera. Ne sono altri i responsabili da controparte, è vero, ma non è così, penso d'avere il diritto d'osservare, che si combatte la loro stupidità.
Detto questo del labbro, che dire allora del messaggio il quale consista - statisticamente meno frequente, va bene - in una chiavarda d'oro piantata nella lingua? Oddìo, che male c'è nel non poter più fischiare? E poi si vede solo se rido o se sberleffo. E' più un piacere mio sentirmi queste due pallette agganciate dentro, sopra e sotto quel muscolo trapassato, che non provocazione a te. Ecco, adesso che ho immaginato emesse dichiarazioni di questo tenore sono tuttavia pronto a non ritenermene provocato: la provocazione è un fatto intellettuale e quello che invece fan sentire a me è solo un disagio fisico. Perché non riesco a frenare - e ne ho un brivido per l'appunto proprio materiale - l'evocata immagine di te con la lingua pinzata fuori come quella eroica di Giordano Bruno mentre a differenza di lui ti impiantano un sia pur pericoloso perforante giocattolo, da te non subìto ma voluto. Tanto poi a te non ti bruciano subito dopo. Non so bene qual è il messaggio preciso che così mi lanci ma è così che io lo recepisco, e un gran teorico della comunicazione come Harold Lasswell ci ha insegnato che di un messaggio quel che conta è l'esito prodotto nel destinatario e non già l'intenzione del mittente. Sono quasi certamente ingiusto e forse avventato a scrivere questo, ma sono anche fin troppo convinto che scrivere senza franchezza renda meno nobile l'atto stesso dello scrivere. Più di un dentista nella mia bocca ha fatto, me consenziente, assai di peggio ma era, al contrario, per consentirle un ritorno a normalità.
Proseguo? Proseguo. Superando - perché non ammetterlo? - titubanze tematiche ma nella consapevolezza che un'analisi del genere non può avere lacune. Sia sul versante femminile che su quello maschile il fenomeno piercing invade pure la sfera della topografia sessuale e non è certo moralistica ma solo anche qui interpretativa la chiave in cui esso va trattato. Esiste, si sa, un piercing del capezzolo: su una spiaggia ho incontrato un topless che l'aveva strizzato fra due margheritine d'argento, e una signora che li aveva uniti entrambi con una catenella e mi guardava come a dire «Embé?»; e ne esistono altri in ancora più intime parti. Chi come me ha, per ceppo famigliare e lunga tradizione, preferenza al bagnarsi in mare lungo scogliere aperte al naturismo promiscuo, e privi di antiigenici intralci tessili al corpo bisognoso appunto di mare/sole (cosa che nel Nordeuropa e fino all'alto Adriatico orientale non ha mai scandalizzato nessuno: il Comune di Duino-Aurisina, in Venezia Giulia, ha appena destinato a ciò tre nuovi chilometri di costa e anche a Trieste c'è una vasta area riservata), ha più occasioni di costatare il progresso, pur se rimasto sporadico, fatto da piercing vulvare (esterno) e scrotale. Credo che sarebbe ipocrita non cercar di decifrare anche questo pur più imbarazzante paragrafo di lessico visuale. Questi "orecchini" discesi sino alle parti più meridionali del nostro corpo di quali messaggi profferibili sono latori oltre che, come quelli che si appongono ai due lati della testa, aver decorativo compito di attrarre sviando? (Pensateci infatti: se guardate i due pendenti mica guardate le orecchie).
Non avrei dubbi: non lanciano certamente proclami libertini ma tendono al contrario a sottolineare, come si dice oggi in politica, uno "sdoganamento" normalizzatore delle parti in questione. Attribuendo ad esse una par condicio in materia d'ornamenti rispetto alle nuove parti del viso di recente coinvolte. Senza valenze eccitanti, così come una mano inanellata non è la più adatta a carezzare una guancia. Il massimo di feedback suscitabile è infatti quello della curiosità non sulla parte ma sulla persona. Sono insomma solo un pro quota di quei cospicui passi di avanzamento anche su altro terreno compiuti in questi anni dal così nominato "comune senso del pudore"; peraltro non tutti davvero liberatorii, non tutti incrementanti naturalezza, non tutti improntati al buon gusto. Una parentesi va però aperta per distinguere due piercing più spinti: quello periclitorideo e quello prepuziale. Vanitosi e sexlusinganti entrambi, l'uno esorcizza esaltandosi forme infibulatorie, l'altro configura funzioni protesiche aggiuntive, tutti e due recitano (malamente) seduttiva cattivanza ed escono dunque totalmente di registro. Parentesi che subito chiudo per riprendere il filo precedente e trovare occasione di completare il discorso traendo spunto da un recente articolo di Rossana Lo Castro recentemente comparso proprio qui su «Ateneonline» per illustrare i risultati di una ricerca dell'Associazione Italiana di Sessuologia dai quali risulta che il 33% degli uomini italiani si vergogna di mostrarsi nudo ad altri uomini e il 20% alla partner quando il proprio pene è in posizione di relax, nel timore di un giudizio d'inadeguatezza delle sue dimensioni. «Chi l'avrebbe mai detto - è la conclusione dell'articolo - che in pieno terzo millennio gli uomini stiano ancora a misurare il proprio gingillo nell'assoluta convinzione che un uomo poco dotato rischi maggiormente il tradimento?». Bene, potrebbe supporsi che è proprio entro questa percentuale che ricada il più piccolo numero di coloro i quali forse cercano in un piercing da quelle parti ubicato un diversivo che ne conforti le dimensioni e dia loro il coraggio di mostrarlo alla partner e ad altri anche quando è in stazione non irrigidita. In questo caso il messaggio potrebbe essere: «Guarda qua: certificato di disinibizione».
Una postilla finale per mettere i puntini sulle "i". Si sarà capito che del piercing non va dato un giudizio riprovevole, anche se in certi, ma più rari, casi infastidisce l'occhio la sua sovrabbondanza e la mente un suo uso come fosse terroristico. Ma si sarà anche, spero, capito come la sua applicazione dov'è luogo non di derma, muscolo o cartilagine, bensì di umori secreti e di mucose (il riferimento chiaro è al cavo orale e a quello vaginale) sia del tutto insensata ed anche pericolosa, oltre che non gradevole alla vista dei più. Questa rubrica e la precedente sui tatuaggi hanno avuto argomento insolito e caratterizzazione, come dire, "estiva" ma sono state anche utili a dimostrare, nelle intenzioni dell'estensore, come le analisi di linguaggio non riguardino solo l'uso della parola. E come non vi siano aree d'intervento ad esse precluse neanche quando sembra siano irte di tabù. «Omnia munda mundis», e questo è Manzoni, mica Tinto Brass.