Bèh, la risposta è facile ed ha motivazioni fortissime. Una mia amica che lavora a Bruxelles mi diceva l'altra sera a cena che lei e il suo compagno, le sere che sono in casa, se non vedono la tv fiamminga si dirottano casomai sulla BBC ma non si sognano mai di attaccarsi a RAI 1, l'unica delle nostre reti nazionali che lì è recepibile. Siamo quelli che forniamo la roba meno interessante ed appetibile per uno spettatore che sia di buon palato e mantenga acceso l'interruttore della propria attività cerebrale. E in ogni caso è sulla nostra Rete 3, o su La 7, in Belgio inaccessibili, che volano le mosche bianche di «Report» (inchieste lucidamente roventi) e di un talk-show sereno come quello di Fabio Fazio («Che tempo che fa») oppure allegramente dirompente nelle sue scelte come quello di una riscattata Irene Bignardi («Le invasioni barbariche»), in cui riesce ad essere spesso intelligente persino il gossip, ed è sempre in quell'area che esercita il conduttore di testa più libera e disinvoltamente spadaccina che c'è, cioè Giuliano Ferrara, l'unico che si fa apprezzare per personalità anche nelle provocatorie occasioni - non raramente offerteci - inducenti nostro dissenso. Sulla 1 invece è presente solo Piero Angela a mantener dignità divulgatrice, e che "mostra/spiega" molto bene illustrandoci però cose che per lo più sappiamo già, a meno che - appunto, come spesso - non usi materiale inglese. La BBC molla format e materiali a tutti che li vogliano, infatti, ma è di per sé e della sua propria condotta verso la gente che normalmente soprattutto brilla. Il punto importante resta infatti quello di rispettare il pubblico dandogli non tanto quello che gli solletica la scorza ma invece quello di cui ha intellettualmente bisogno anche quando, poiché non è questo ad essere portatore di male, fosse ludico. Ed è una lezione che in Italia non si riesce ad imparare.
Viviamo - basta guardarsi intorno - in una ben strana "civiltà", termine inappropriato ai tempi attualmente correnti, di cui è indice dei più significativi quello che siamo il paese al mondo che dispone, e di gran lunga, del maggior numero di telefoni cellulari in relazione agli abitanti. Saremo magari anche i più chiaccheroni, ma è pure certo che ci han via via ridotti ad essere, come su un piano inclinato, e per un curiosissimo mix di scetticismo e di suggestionabilità, assai più superficiali degli altri. Nell'inventarci necessità, nel farci facilmente persuadere dalle apparenze, nell'imitarci l'un l'altro, nello scaldarci per futilità, nel disamoramento sostanziale dalla politica, nella noncuranza per la cultura, nella mobilità delle nostre attenzioni, nell'inerzialità delle sensazioni. Non sembriamo più neanche aver gusto, vale per la massa, nelle vocazioni al lavoro; perché il precariato dilagante (ultima risorsa autopreservatrice di un neocapitalismo sempre più egoista e oltretutto pure fortemente venato di un gran dilettantismo, come dilettantistica s'è fatta dal suo canto la politica) le ha anestetizzate per ottenere e rendere generalizzato il massimo della disponibilità qualunquistica. Ed è solo da noi che si verificano l'equazione tra il minor fare e l'entità degli stipendi o comunque redditi e la deriva della privatizzazione di ciò che dovrebb'essere inequivocabilmente pubblico; come possesso e come criteri. Un grande e perenne festival dell'Ognun Per Sé, individui, s'intende, ma anche ceti o gruppi. La legge della sopravvivenza purchessìa, spinta inclusa ad ogni genere d'evasione, dall'intelletuale alla fiscale, è almeno altrettanto forte che quella di gravità.
Nasce da qui la del tutto anormale, ma sorgente da logiche premesse non sufficientemente contraddette, orgia dell'intrattenimento cui sono attualmente indotti i media - televisione e stampa in primo e ormai forsennato luogo - fino a sostituire del tutto il ruolo e la funzione che loro aveva assegnato la modernità e ad ubriacarsi di forme di presenza e di luci della ribalta che finiscono col render brilla anche la gente, versi essa torrenti di monetine all'edicola o trascorra ore col telecomando in mano. E' infatti da considerar normale che col diminuire dell'indice di lettura dei quotidiani proliferino a dismisura le testate periodiche più colorate e stuzzichevoli pur nella banalità dei loro menu? O che una moltitudine immensa e sempre più prepotente di canali tv esiga schermi accesi senza interruzione a tutte le ore del giorno e della notte? No, che non è normale, come non lo sarebbe trascorrere a tavola l'intero nostro tempo, una pietanza dopo l'altra, finché le budella di Gargantua esplodano e trovi appunto attuazione quel genialmente precursore apologo di Ferreri intitolato «La grande abbuffata» il quale adombrava nell'iperattività suicida dei succhi gastrci quella che per ora è divenuto l'autorallentarsi fino alla quasi atrofizzazione dei neuroni preposti all'elaborazione del pensiero. Una vera e propria «Apocalypse Now» adesso fatta non di napalm ma di carta ed immagini, portatrici implacabili degli stessi effetti devastanti e distruttivi.
Sto esagerando? Ma andiamo: che civiltà è quella che eleva a rango primario un essere "in" quasi obbligatorio nella dimensione che, come tanti altri oggetti e tante altre funzioni, abbisogna di un precisamente eloquente termine anglosassone per essere definita, e cioè TRASH? Passiamo in rassegna i palinsesti gremiti di leggerezze o serial fin dall'impostazione privi d'ogni originalità possibile, dove l'unica "cosa diversa" sono i tg ma tutti organizzati su analogamente inaffidabile sceneggiatura con stancante ripetitività di personaggi, tendendo pian piano e quasi quasi anch'essi a usare persino l'informazione secondo modalità intrattenitrici. O facciamo scorrere gli occhi sulle copertine allineate in edicola a squadrone, esibenti la più gran monotonìa concepibile di sorrisi a trentadue denti di uomini e donne in qualche modo pubblici, storie di coppia-e-scoppia o rutilanze di moda le più passeggere. E tutta la mercanzìa di gadget dei più strani che vengono abbinatamente ad essi imposti per piatire un po' più d'appetibilità. E cui sono costretti a indulgere persino i quotidiani, che - esauriti i vocabolari ed anche le enciclopedie - hanno adesso finito per buttarsi suill'offerta di fumetti (l'opera omnia del più pruriginoso tra quelli di prima fila, Milo Manara, è, ma guarda, proposta insieme all'austero «Sole-24-Ore»). Dalla scorsa settimana, poi, con soli 10 cent in più, hai pure due quotidiani invece di uno: «Corriere della Sera» e «Gazzetta dello Sport», ma è il secondo che viene in soccorso al primo, naturalmente, e non viceversa, nonostante sia quello e non la popolare "rosa" il quotidiano ammiraglio della flotta cartacea italiana.
Bene, sono tutti contrassegni di decadenza, più ancora che di involuzione, questi qua. Oseremmo dire di essere più informati di prima, nonostante bersagli di tutte queste gran valanghe? Ma certamente no, la parola d'ordine essendo invece quella di "intrattenerci", di lisciarci il pelo, porgerci caramelle, tenerci ove possibili più allegri di quanto la situazione lo consenta, vivere insomma di diversivi. Perché, alla fin fine, sia le pagine che i pixel hanno ormai come scopo preminente qualcosa che non è "per noi" ma "per loro", d'essere cioè dei sempre più maxi hangar e vettori di quell'alluvionale corrente in piena che è la pubblicità. Diventata a questo punto il medium più straripante di tutti, tesa com'è a persuaderti - sino a farne il più importante determinatore di politica - che i beni dei quali deve più interessarti di dotarti sono i beni di consumo. Sono questi, ci viene implicitamente detto, che ti dànno status, sono questi che ti rendono felice. Non è così, naturalmente, ma è per questo che l'intrattenimento diventa essenziale: gioca e divèrtiti con noi, così non ti deprimi a pensare. Ce n'è sì di quelli che ritengono il troppo pensare sia pericoloso, infesti di ubbìe e di superfluità le teste, una volta che, hehè, chi pensa anche per noi e in nostra vece c'è già. L'intrattenimento non è forse già entrato anche nelle scuole sottraendo tempo allo studio? Ok se per renderlo meno noioso, ma mica per sostituire imprinting alle materie. Se no facciamo come quei colleges dove è più importante primeggiare nel base-ball che nelle varie discipline, anche se poi è in quelle - non si scappa - che ti devi laureare.
Proporrei un corteo di stufi (ce ne sono nonostante tutto mica pochi) che percorra le strade issando cartelli con su scritto: «Smettete di intrattenerci e invece dedicatevi ad informarci come si deve». «Meno pagine e meno ore/video farebbero bene sia a voi che a noi». E - perché no? - «Abbiamo una classe dirigente sempre meno colta, facciamo qualcosa perché migliori». Naturalmente occorrerebbe però che prima fosse prevalso quel vecchio slogan (lo ricorda qualcuno?) il quale proclamava «L'immaginazione al potere!» Così non è stato e non altre che queste ne sono le conseguenze.