Di questi tempi i gruppi di pagine che i quotidiani dedicano all'economia si aprono spesso con titoli di cronaca giudiziaria, e con titoli di cronaca giudiziaria si aprono quelli dedicati allo sport. Se due settori specifici ed importanti come questi, uno che tratta di cose che toccano in particolare gli interessi di ogni cittadino (soldi, produzione, servizi, consumi) e uno che ne stimola più vastamente di ogni altro le passioni (pallone, automobilismo agonistico, ciclismo, ecc.), deve aprire il suo notiziario parlando di reati e di processi penali, vuol dire che le malattie di questo nostro Paese sono davvero assai brutte e invasive. Questo come premessa generale, la quale evidenzia anche come i caporedattori non debbano mai considerare rigidi i comparti separati nei quali il "timone" di un giornale si articola. Ma noi ci occupiamo soprattutto del "come" delle cose, e degli effetti comunicativi che, accendendo o spegnendo, certe fonti sciolte che sono in gioco, oppure anche legali, vogliono determinare; e che i media, talora in modo partigianamente artato ma spesso - come ineluttabile - anche in modo passivamente oggettivo, amplificano a dismisura. E allora il discorso deve farsi molto accorto. Perché la pur iperdilatata quantità di pagine (e di servizi tv) che è stata per esempio dedicata alla vicenda del calcio sporco, o all'inquietantissimo caso Telecom, non hanno tuttavia consentito, e stanno continuando a non consentire, all'opinione pubblica di capire assolutamente nulla su quanto sia effettivamente successo in questi due àmbiti, su cosa ci sia di vero e cosa di falso, su quali ne siano i veri protagonisti attivi e passivi, su cosa resti tuttora nascosto. Quando la messaggistica complessiva dei media suona la tromba solo sul primo e manca, o per la difficoltà di raggiungerle o anche per desistenza, le notizie di secondo e terzo strato (ma in un sotto ancora più profondo ce ne possono essere anche di quarto e, perché no, di quinto) diventa invece solo rumore di fondo: confonde e impedisce di distinguere, rende difficile capire davvero quali fili sono stati mossi da dietro le quinte, quali ruote dentate si sono fra loro sotterraneamente ingranate, quali sono gli scopi e gli obiettivi reali di questa e quella parte, quali sono le ripercussioni concrete che ricadranno alla fine sulla gente a pioggia (o che sono - talune - già accadute senza che ce ne si sia bene accorti).
Alzi la mano, per esempio, chi, pur dopo aver letto carrettate di articoli ed assistito a centinaia di telegiornali, può dire di aver compreso bene cosa esattamente i nostri soldati in Libano potranno fare e cosa invece no nel loro interporsi fra esercito israeliano e forze armate libanesi sia di esponenza statale che religiosa. E se gli è risultato chiaro quali siano le differenze proponibili (che pure ci sono e come) fra gli hezbollah e i talebani che invece in Afghanistan siamo chiamati a fronteggiare direttamente anche in modo attivo. E la alzi pure chi abbia avuto la capacità di afferrare con sufficiente chiarezza - nonostante anche su questo i media siano abbondantemente diarroici - cosa si dicono fra loro quando si incontrano i costruttori di quel già battezzato ma non ancora nato Partito Democratico in cui si dovrebbero fondere i DS e la Margherita (con sigle di generico contenuto e soprannomi simbolici si distinguono oggi i raggruppamenti politici maggiori, diventati così pudichi nell'esibire esplicitamente valori ideologici). Perché, come tanti altri, anche questo è un romanzo a puntate che ogni giorno fa un passo avanti e due indietro; non essendo davvero facile - e forse impossibile - dare un'anima sola a due formazioni come queste, una laica e una cattolica, fortemente alleate sì come perno dell'attuale governo e aventi in comune quanto basta di un certo pragmatismo, ma di fatto così diverse per idealità culturale, storia, particolarità di obiettivi, bacino di elettori. Ma i media, che non sono più il quarto potere, si guardano bene dall'andare al fondo di queste cose; come anche ad altri propositi, fanno come il pubblico a teatro: si applaude o si fischia
E poi ci sono altri due aspetti connessi. La facilità con cui inezie o semplici gaffes scatenano per pronto e profittante rimpallo veri e propri terremoti politico-mediatici (anche se è vero che ne sono protagonisti personaggi importanti) e la massiccia, per contro, e distraente insistenza con la quale il medium per eccellenza e cioè la TV si dà a seppellirci sotto programmi di cosiddetta "reality" (ma va...) e giochini fessi ma con premi miliardari oppure decide di trasformare in grande evento nazionale l'elezione di Miss Italia dedicandole una valanga di ore in diretta per giorni e giorni come non fosse anch'essa un business gestito dai più o meno grandi brand pubblicitari ma valesse quanto quella del presidente della Repubblica. Tutto questo vorrà pur dire qualcosa, e non è certo da considerare edificante. Anche perché rivela insieme la disperante pochezza della classe politica di cui da un certo tempo in qua disponiamo, tutta protesa - maggioranza e opposizione - a voler controllare ciò che non dovrebbe e ad omettere di controllare ciò che invece più dovrebbe. Allo scopo di garantirsi senza il coinvolgimento dei cittadini vie d'accesso al potere o strumenti per mantenerlo. E raggiungendo per via di magistratura anche traguardi incredibili: clonare per esempio l'intero computer di giornalisti, alla ricerca della fonte di una notizia da loro pubblicata ma entrando così con quel mezzo in possesso di tutta quanta la loro vita professionale e privata costituisce trasgressione di limiti inaudita, eticamente e costituzionalmente. Quanto manca a tornare all'oscura èra americana anni Cinquanta di Foster Dulles e del Codice Hays? Una medaglia che da un lato ha cioè la censura e dall'alto la propinazione di narcotici.
Quanto e cosa ci vuole, insomma, per arrivare a scoprire che ad esempio l'autosgombero dalla poltrona di presidente Telecom dovuto effettuare da Tronchetti Provera non era tanto collegato all'aver nascosto al governo i propri progetti su un settore nazionale non solo strategico ma proprio chiave come quello della telefonìa, bensì all'imminente arresto di quei suoi uomini che servendosi illecitamente di mezzi cui spetta allo Stato diritto di concessione spiavano ed archiviavano il privato degli italiani che contano e anche di quelli che non contano? O per riconoscere e definire un catastrofico errore che l'ecumenico Papa Woytjla non avrebbe mai commesso quell'infelice pubblica citazione anti Maometto risalente al XIII secolo fatta dal teologo Papa Ratzinger, con l'effetto di distruggere in un attimo tutto il paziente lavoro fatto dalla Chiesa verso l'Islam lungo decenni; e di dare insieme così pretesto al peggior fondamentalismo delle varie mezzelune per alzare a livello forsennato e rischiosissmo una folle controcrociata? Ora si cerca di ricucire strappi e buttare acqua sul fuoco, ponendo giustamente sordina a solidarietà col Vaticano da parte dei governi occidentali e delle loro diplomazie (non bastavano infatti già le guerre guerreggiate che abbiamo in Medio Oriente ed Asia Minore? O il ringalluzzimento indotto di tutti i fanatici islamofobi e razzisti che abbiamo in casa?). E così (quale mortificazione al prestigio!) lo stesso soglio di San Pietro si trova per la prima volta costretto, per l'imprudenza del proprio titolare, a sia pur minimizzanti argomentazioni di pubbliche scuse nel tentativo di metterci una pezza. Uno che fa il Papa dovrebbe stare sempre molto attento a ciò che gli esce dalla bocca, anche se magari lo pensa, specie in certi momenti cruciali.
Quando così forti dosi di messaggi, poiché sono messaggi anche le reazioni ed i commenti, vengono messe in circolo contemporaneamente, cozzando con confusionato frastuono una sull'altra, mischiando tragedia, scandalo e videofutilità, il tutto si trasforma quindi in un impasto rumoroso nel quale va perduto il senso specifico delle cose. Esiste un ramo delle scienze comunicazionali che si chiama "sociolinguistica" e costituisce una vera e propria disciplina. Non starò qui a spiegare di cosa si tratta perché è tutto spiegabile con un solo esempio: è sociolinguistica chiamare «Casa delle Libertà» ("delle", attenzione al plurale, non porta a un concetto ma a un repertorio) lo schieramento inventato dal pubblicitario-manager Silvio Berlusconi quando ha scoperto che non solo gli affari ma anche la politica era una bella risorsa da utilizzare. Dietro a questo nome c'è solo una suggestione dentro la quale ognuno di libertà può pescarsi la sua. Usando vocaboli diversi, ma sempre con accurata selezione di parole,questo ingombrante ed abilissimo personaggio è stato il secondo in Italia dopo Mussolini a riuscire a produrre una mutazione di così grande vastità nella psicologìa e nel verso culturale degli italiani (o di troppo gran parte di essi) cui entrambi han scelto di rivolgersi direttamente e alla spiccia, uno dal balcone di Piazza Venezia e l'altro dagli schermi televisivi. «Panem et circenses» non è mica una formula nuova. Solo che sia la prima che la seconda volta è col fuoco che si gioca. E non v'è per il momento in giro contrapposizione che si riscontri all'altezza.
Quando i messaggi, invece di ascoltarli per decodificarli, ci si limita a "respirarli" - perché é questo che finisce per succedere nella massa e che senza molti dubbi da più d'una parte si vuole - il pericolo collettivo diventa enorme. Respirarli significa essere indotti ad assuefazione, ad averli più come rimbombi che come contenuti, a percepirli come una scenografia alla quale adattarsi senza valutarne l'importanza. Il frastuono mediatico porta infatti i contenuti ad annullarsi uno con l'altro, facendo fatalmente prevalere i diversivi. Così un Bertinotti vale per assurdo come un Baudo, Fassino è un personaggio che arriva a noi come ci arriva Bonolis. Che parli la Bonino o la De Filippi si finisce per considerarle entrambe come figurine dello stesso album. Non c'è più né famiglia né scuola né sodalizio socioculturale che siano capaci di opporsi all'edicola e al video, divenuti così massicciamente prevalenti dispensatori di conoscenza e di pseudocultura. Che la politica (un tempo concetto nobile, e dovrebbe tornare ad esserlo) gestisce e la folla subisce con una forza mai verificata in passato.
Bene, questo si chiama postmoderno. Quando rinsaviamo? Le voci "clamantes in deserto" per la verità non mancano. Mi ci iscrivo io stesso, guardate, che pure alterno ammonimenti didattici serissimi a didattica ludica (perché serve pure questa, si badi). Ma il punto è che quel deserto va in qualche modo dissodato. Ed è una fatica da disperati, sapete.