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Categoria: Secolo postmoderno

 

Come la scriverò, questa settimana, 'sta rubrica che ho descrittivamente chiamata «Secolo Postmoderno» e che oggi ha raggiunto e se ne fregia il numero 200? La tentazione era di digitarlo tutto in blu, o in rosso pompeiano, ma non sarebbe serio. Quando, due anni fa, essa aveva toccato il numero 100, l'avevo in quell'occasione dedicata al Ventesimo Secolo. Il quale - dopo che ne erano trascorsi tanti in cui dominus della comunicazione privata e sociale era stato il mezzo cartaceo, e addirittura millenni erano stati comunicativamente contrassegnati dall'uso di segni prima iconici e poi alfabetici in vario modo impressi su supporti diversissimi - poteva ben essere invece intitolato al cinema, e alla televisione sua tecnologica e llinguistica figlia (la fotografia era infatti su carta anch'essa), e alla rivoluzione che perciò nel corso dei suoi anni aveva comportato per l'umanità il comunicare per immagini non disegnate né dipinte ma reali e addirittura mobili. Nonchè, fin dalla radio e a mezzo del telefono, planetariamente anche solo a voce. Dunque come non dedicare questa che sto invece scrivendo oggi al Ventunesimo? Che sarà, in campo comunicativo, dominato sempre più dall'elettronica e dalla telematica globale, costantemente interattiva in tempo reale? E' appena iniziato, sta solo ancora vagendo, ma già terra e cielo ne sono per intero avviluppati. E, perché giunga a conclusione anch'esso, di anni ne devono passare ancora ben 94. Quanti cioè ne sono fin qui intercorsi dall'èra delle vaporiere, degli Zar e dell'illuminazione stradale a gas. I quali a venire saranno riempiti - nella comunicazione umana e presto anche robotica in nostra supplenza adiuvante, se non addirittura biotelematica con chip e nano-modem inseriti sottopelle - DA COSA MAI ANCORA? Sarebbe forse meglio neanche osar di provare a pensarlo, dato che corrono stravelocemente in avanti progettualità e fattibilità di gran lunga oltrepassanti quelle oggi correnti e che solo qualche anno fa erano esse stesse comunemente neanche supponibili. Ma dato che rinunciatariamente precluderci pensiero futuribile sarebbe anche una forma di viltà intellettuale, tant'è che invece ne parliamo. Anche se è così più difficile (ed altresì temibile) intrattenersi sul domani che non sull'ieri.

Cerchiamo allora di guardare avanti alla stessa maniera di Jules Verne, il quale tante ne imbroccò, o ci andò vicinissimo, anche se poi non fece in tempo a vederle realizzate, tutte queste sue lucide supposizioni. Questo nuovo secolo conterrà certamente, ad esempio, l'uso corrente degli ologrammi, immagini mobili tridimensionali che non hanno bisogno di uno schermo perché il loro supporto è fatto di particelle di luce (correggetemi se sbaglio) e incroci magnetici. Esperimenti, riusciti, durano da tempo e il più sarà dunque soprattutto una questione di costi perché esse possano comparirci accanto. E poi si potrà così essere olograficamente presenti a convegni in capo al mondo e anche alternando questa presenza a più d'uno alla volta, e pure i capi di Stato incontrarsi numerosi in iperrealistica similsembianza gestente, loquente e interagente, senza smuoversi da casa propria o dal proprio ufficio. Con risparmio di tempo, di denaro e di misure di sicurezza. E molto altro di quel che facciamo nella realtà sarà praticabile anche artificialmente. Si può già fare - è sperimentalmente provato - persino sesso, virtuale sì ma con tanto di contestuali sensazioni fisiche, pure da un continente all'altro ma con realismo impressionante perché il partner da cui pur si sarà distanti sarà visto come compresente dall'interno di un casco indossato che contiene a giusta altezza dei teleocchiali; e per il resto - la tattilità - basteranno dei sensori connettibili applicati alle dita e su altre parti strategiche del corpo prima di procedere. Orribile, vero? Ma orribile per noi, così da sempre culturalmente affezionati alla carnalità vera anche dei rapporti affettivi. Basterà infatti qualche generazione perché l'homo ex sapiens ed oramai (secondo il noto saggio di Sartori) già in corso di trasformazione in homo videns subisca una nuova mutazione culturale ancora e diventi homo abstraens.

E a una cosa tutto ci dice che però insieme dovremo rinunciare: la privacy di ciascuno. Perché non c'è legge che tenga, a fronte di una "progredienza" tecnologica (appositamente, come vi accorgete e per ragioni di psicologico sapore, non uso la parola "progresso") che ineluttabilbilmente, implacabilmente, sta via via consentendo e sempre più consentirà a qualunque figura istituzionale o privata sia a ciò attrezzata ed abile, di penetrare nei nostri computer e nei nostri cellulari, e in qualsiasi strumento che dopo questi verrà. per archiviare esternamente altrove e fuori dal nostro controllo tuttociò che - loro tramite divenutoci indispensabile - diciamo o scriviamo. E anche quel che, senza usare questi, facciamo: poiché potremo essere spiati entro le nostre stesse più intime mura da microfoni ed obiettivi teletrasmittenti non più grandi di una capocchia di spillo e perciò a noi praticamente invisibili. Non è, del resto, questa, una prospettiva più tremenda di quella dei nuovi e sempre più disumani modi di condurre guerre, che oggi neanche più si dichiarano, e consistono semplicemente nel rendere mortalmente pericolose ad altrui quelle un tempo semplici cose che sono l'abitare, il nutrirsi e il servirsi di mezzi di trasporto. Non si fanno più battaglie campali in luogo adatto, si compiono stragi urbane o nei cieli, via. Ed è sempre di conseguenza più temerario (questo lo si capisce, no?) dividere il mondo in buoni e cattivi, una volta che forza di cose conduce ad essere tecnometodologicamente "cattive" tutte quante le parti contendenti, in questo terzo millennio tornato ad essere così forsennatamente barbarico e medievale.

Non sono apocalittico, faccio semplicemente riferimento a un iesto che avevo quest'anno incluso fra le mie prescrizioni agli studenti per il corso di comunicazione di massa. Si chiama «Il secolo finale», editore Mondadori per l'talia, redatto sotto la guida di un profondo specialista come Martin Rees da un gruppo di ricercatori e docenti oxfordiani. Il quale lucidamente dimostra come l'umanità non abbia davanti a sé più di cinquant'anni di tempo per «invertire la marcia». Per darsi cioè da fare a cancellar programmi ed allestirne di nuovi allo scopo di far retrodecedere l'inquinamento atmosferico e delle acque, lo scioglimento progressivo dei ghiacci polari e montani, la distruzione delle foreste, l'assottigliamento dello strato di ozono che protegge il pianeta dalla micidialità dei raggi ultravioletti. Tutte conseguenze dell'irragionevolezza dei nostri scarichi industriali e dell'incontrollato intensificarsi della movimentazione elettromagnetica nell'etere. Cui non sono del resto estranei né le effusioni degli effetti bellici né le sperimentazioni nucleari e relative scorie. Cinquant'anni non sono tanti, sono anzi pochissimi poiché contengono due sole generazioni, e cento, se si continua così, ci farebbero raggiungere il "punto di non ritorno" in direzione di un suicidio collettivo per ecodissoluzione del nostro habitat. Nessun'altra specie animale, da noi - hehè... - considerata inferiore, è così dissennata da comportarsi così col proprio. Ma la specie uomo si comporta invece, per dirla efficacemente nel modo più crudamente volgare, come chi defecasse nel letto dove dorme. Che bel quadro, eh? Verne non lo avrebbe immaginato ma noi ne siamo a questo punto in grado con tutta verosimiglianza. E si tratta ormai non solo di ipotesi bensì di proiezioni matematiche.

Ci saranno governi nazionali o istituzioni sovranazionali che tuttociò realisticamente e responsabilmente ascoltino, finiscano col percepire e recepire, e trovino infine la volontà e la capacità necessarie a un colpo di timone all'indietro? Oppure questo secolo della postmodernità estrema sarà davvero l'ultimo che noi cosiddetti bipedi intelligenti saremo in grado di raccontare (e poi a chi, se posteri non ci saranno e solo esemplari di qualche razza mutante brancoleranno tra spazzatura liquefatta, deserti e macerie?). Per scettici che si possa essere, per chiara che si possa a questo punto vedere in faccia la morte dell'ottimismo, auguriamoci lo stesso davvero, con tutte le nostre forze, che possa non finire così.

Ma che bello se avessi appena finito di scrivere un sacco di cose sbagliate... Ad ogni modo la prossima settimana, rubrica n° 201, sceglierò un tema meno inquietante. Anzi, se posso, addirittura allegro. Come si prende un cordiale digestivo dopo un pasto troppo greve, no?.