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Categoria: Secolo postmoderno

 

Quando morì Karl Popper, riconosciuto come uno dei massimi filosofi del XX secolo, ebbe anche un'altra sfortuna oltre a quella di defungere. Che era lo stesso giorno (il 17 settembre del 1994) in cui morì anche un'altra persona che più distante da lui non poteva essere, e in ogni senso: Moana Pozzi. Per cui, l'indomani, quest'ultima notizia sopraffece la pur rilevantissima contestuale e titoli e spazi di tutti i giornali furono dedicati alla scomparsa di questa trentatreenne regina del porno, oscurando del tutto - evento, biografia ed opere, e attestati - l'ultranovantenne pensatore austriaco lungo tutta la sua vita così prodigo di lucidissimi regali al nostro intelletto e alla nostra comprensione delle cose. Che in seguito ciò fosse recuperato - peraltro dovutamente - con omaggi, memorie ed esegesi, non ha molta incidenza in termini comparativi perché non era più comunque, per lui - tempo scaduto - roba da prima pagina e da copertina. Come era stato invece, tempestivamente, per lei.

Si tratta, ammettiamolo, di ordinario cannibalismo giornalistico per cui la rilevanza di una personalità (o di un fatto) non viene commisurata con riferimento al suo ascendente mondiale e al debito che abbiamo nei suoi confronti (o alla sua natura e conseguenze) bensì alle emozioni che questo nome o questo fatto sono in grado di suscitare. Nella fattispecie, anche se triste per quelle che furono le circostanze che portarono alla fine di Moana, vincenti sulla saggia canizie dello studioso e sul suo vigoroso motore mentale furono le forme della di lei carne e la disibinizione d'atti con cui le aveva dispensate. Considerate latrici di un messaggio assai più vastamente raccolto e ancora raccoglibile che non quello lanciato da «Problemi fondamentali della teoria della conoscenza» o «Razionalismo critico», considerate fra le opere maggiori e più illuminanti dell'altro. Poppe contro Popper, se possiamo ineducatamente permetterci di scherzare su questo macabro punteggio di dieci a zero.

Per gli stessi precisi motivi i passaggi clou dei campionati di calcio fan premio sui titoli, che meriterebbero invece d'essere quotidiani, sulla lacerazione dello strato di ozono che protegge l'atmosfera terrestre e quindi le vite dei nostri figli e nipoti, e di cui è responsabile la dissenatezza suicida che caratterizza inquinantemente il nostro progresso (?) industriale. Eppure è un "buco", quello lassù, che, altro non essendo che un tragico e al momento irreversibile - dato che occorrerebbe smettere qualcosa che i "poteri forti" smettere non voglino - autogol, di gol reali ne vale quanti? Venti? Cinquanta? Cento? Mille? Di più ancora? Fate voi, a mente fredda però.

C'è una gerarchia, nelle visualizzazioni grafiche delle prime pagine, che tiene soprattutto conto di ciò che si ritiene più interessi il target di riferimento della testata. Una morìa di pesci nel medio Adriatico potrà indurre ad apertura di prima un quotidiano di Ancona ma non certo uno di Bolzano. Se confrontate però le prime pagine di quotidiani a diffusione nazionale costaterete come esse abbiano costantemente in apertura lo stesso oggetto, e spessissimo esposto anche con le medesime parole, o quasi. E, rivolgendosi tutte a un mercato più o meno analogo come area e ben conoscendolo, è anche abbastanza logico sia così. Se nello stesso giorno cade un aereo e muoiono in duecento, a Stoccolma viene assegnato il Nobel per la medicina allo scopritore/sperimentatore della più efficace delle cure anticancro, e un signore ignoto vince novanta miliardi alla superlotteria, non c'è dubbio che se anche il secondo di questi eventi trovi spazio in prima, esso otterrà comunque il più piccolo dei tre titoli. Perché quella vincita ha una dimensione straordinaria e suscita invidia e l'altro riguarda qualcosa, cioè una fulminea Morte collettiva, che pur accadendo di questi tempi alquanto spesso, "scuote" certamente assai più che non il consolante apprendere che in futuro di cancro si morirà molto meno. Ecco: quel che prevale è il contenuto di emozione che un titolo possiede, non la rilevanza effettuale che una notizia ha per il bene e nell'interesse della comunità.

L'esempio che ho fatto è inventato apposta, naturalmente, a differenza di quello con il quale ho dato più su apposito incipit alla presente rubrica. Ma trova la sua efficacia proprio perché ogni tanto una congiuntura così si verifica davvero. E viene allora adottata una scalarità visiva che trova ratio nel maggiore o minor numero di lettori che a una o all'altra delle news viene attribuita. Eppure, trattandosi di dar guida qualitativa all'occhio di questi lettori, andrebbe adottata, poiché ciò è possibile, anche fantasiosamente, quella soluzione grafica capace di pareggiare presso di essi l'effetto visual di ciascuno di questi tre argomenti. E basterebbe, per dire la cosa più semplice, che il titolo inferiore sia tipograficamente più "forte" di quello che occupa la posizione comunque previlegiata proprio in quanto superiore, e che il terzo si prenda p. es. il vantaggio ottico di essere sforato su una fotografia suggestiva. Diciamo che queste ed altre variabili d'espediente le troviamo, per la verità, ogni tanto qua e là; ma che in genere si preferisce scegliere quale sia - una cosa sola - da "montare" quel giorno, e a fornire così quella sola di un impatto maggiore. Di fatto imponendola.

E' che l'imporre, pur sapendo perfettamente che VALE DI PIU', qualcosa che si calcoli INTERESSA DI MENO rientra sì nell'essenza squisita della professione giornalistica ma non anche nell'esercizio ordinario del suo mestiere. Ma che peccato.