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Categoria: Secolo postmoderno

 

«Ora non si iscrivono più all'Università per fare Ingegneria o Legge, ora tutti vogliono fare Comunicazione...». Non ricordo più da chi l'ho sentito e neanche in quale di tutti quei dibattiti televisivi nei quali stiamo affogando. Magari la frase detta così è pure troppo drastica, ma è vero che questa parola comunicazione, da Umberto Eco definita «magica», sta occupando il mondo. suggestionando dunque inclinazioni e inflazionando aspirazioni in modo crescente. E alla fine anche eccessivo: pare sia il mestiere che oggi avvince di più, fare il comunicatore. Il punto è: per comunicare che cosa? Tutto, forse? Eh no, tutto no. Perché ci son le cose che non riescono ad essere comunicate e quelle invece che comunicarle proprio non si vuole, o lo si impedisce. Non tutto ciò che dovrebbe essere comunicato lo è, e poi ci sono anche le cose che privacy vorebbe tenessimo per noi e invece nel circuito finiscono lo stesso, vuoi per narcisismo vuoi perché ci vengono carpite. Entrano nei giri comunicativi persino segreti e, in cambio, gran parte di ciò di cui si fa oggetto di comunicazione anche e soprattuto circolare è futile, superfluo, in una parola spazzatura (in inglese trash).

Quando, dodici anni fa, dopo pensionato come giornalista e direttore di giornale, ho cominciato a insegnare scienze della comunicazione avevo in aula una quindicina di studenti. Adesso quindici sono solo i faldoni di tesi di laurea in questa specialità che ho sul tavolo dopo averne appena licenziati in due sessioni altri quattordici, e la Facoltà triestina ha dovuto assegnarmi un'aula da 250 posti e lo stesso qualcuno deve pure sedere sui gradini che scendono tra le file di banchi. Anche se poi si rarefanno sulla fine del corso perché stanno a casa a studiare per gli esami (una volta che la frequenza, effetti di una riforma che si blatera sia migliorativa, non è più obbligatoria). Per fare poi cosa, nella vita? appunto i comunicatori. Nei campi professionali più vari (molto qualificati o comunque qualificati) il numero minore, nel precariato più variegato e dispersivo la maggior parte. Compresa purtroppo una quota dei migliori, perché chi se li prende non ha interesse a che essi pensino in proprio preferendo considerarli pedine da muovere su una scacchiera predefinita o commutabile.

La comunicazone può divenire anche ossessionante, se sempre più spesso suona il telefono e qualche volta una voce umana e qualche volta (grrr...) un disco registrato ti spappardella corteggiamenti per farti comprare i prodotti di un certo mobilificio oppure farti passare da Telecom a Infostrada o che so io. L'ultima - ed è la seconda con questo particolare oggetto che mi arriva in una settimana - è proporti un lavoro, per te ma anche, se li hai e sono in età, per i tuoi figli. Che sarà naturalmente un lavoro precario e a provvigione. Ecco, io posso con molta verosimiglianza immaginare che a far di queste telefonate pagate a basso cottimo possano essere anche (le voci son tutte giovani) dei laureati in scienze della comunicazione, dai vertici del mercato però intesa come scienza della persuasione. Se incappi in spot puoi fare zapping, in pagine di magazine le puoi voltare di corsa, in manifesti girare la testa dall'altro lato, in pieghevoli nella cassetta postale buttarli (e già è una noia dover uscire di nuovo dal portone per arrivare al cassonetto). Ma al telefono, adesso... a quello devi rispondere per forza e, dato che sei una persona educata, non lo sbatti in faccia a chi ti sta dolcemente parlando e dunque al massimo cercherai di interromperlo spiegandogli che i mobili li hai già tutti e non desideri cambiarli, che ti va bene il gestore telefonico/telematico che hai, che i tuoi figli sono per fortuna lavorativamente sistemati.

La comunicazione insomma non deve diventare calvario, e pure forse fra non molto (un lavoro anche questo, no?) vedremo di nuovo gli uomini-sandwich percorrere a passo lento i marciapiedi. Non è infatti tornata in auge persino la pubblicità sulle fiancate dei bus (quand'era, una volta, sui tram a cavalli era più modesta) che talvolta, in qualche città, a prima occhiata addirittura non ti accorgi, così cromaticamente tramutati, essere loro? Come se, insomma, anche i vigili urbani indossassero una qualdrappa con su scritto di bere questo oppure quello? E' inutile aggiunga qui, ovviamente, anche considerazioni sulla televisione perché l'afflizione comunicativa che essa ci dà quotidianamente con talk-show da baraccone (quelli interessanti si contano sulla punta delle dita d'una mano sola) o giochini del cavolo (con ricchi premi per tenerne alta la frequentazione, pagati dal contribuente o qualche volta da uno sponsor), quella la conosciamo già fin troppo bene tutti quanti e dunque tornarci sopra non occorre. E, per altro verso, industriali, commercianti, operatori di terziario, politici e preti e persino il pizzaiolo qui all'angolo, ti scrivono a casa, le banche e le assicurazioni sono diventate come la tua mamma che ti corre dietro porgendoti la maglietta da indossare per non prender freddo, e le edicole scoppiano d'un lussureggiamento pluviale fatto di copertine discinte e di gadgets i più strampalati

Il punto centrale della questione, allora, è il seguente, e concludo. Esistono, sia pure in molte forme, sostanzialmente solo due categorie di comunicazione: quella che noi cerchiamo e quella che cerca noi. La prima è amplissima, ci serve, per lo più ci appaga, qualche volta però accade che il nòcciolo ci sfugga o resti nascosto; siamo comunque noi, e questo importa, che decidiamo cosa cercare e cosa no. La seconda è altrettanto ampia, è difficile non ci raggiunga o che ce ne riusciamo a sottrarre, il più delle volte ci viene anzi proprio imposta e spesso ne restiamo vittime, ipnotizzate o illuse. Attivissimo nella prima, alla seconda io cerco di alzar barriere - non sempre si può ma qualche volta sì - o se no dei filtri critici. E' come la storia della gazzella e della leonessa: quest'ultima conosce a menadito le abitudini della prima, e questa ha altrettanto bene imparato le tattiche dell'altra. Risorse ne hanno entrambe. La leonessa, in genere, la cena riesce a procurarla al re suo marito che ne è in attesa e ai cuccioli che da lei dipendono. Noi dobbiamo imparare come si fa a restare gazzelle vive. E se sappiamo cercare come e dove acquisirle avremo nozioni, e dunque armi, nuove anche noi. E', come alla fin fine sempre, una questione di cultura e di disposizione civile.