Quasi tutti noi, prima che sia Natale, andiamo in cartoleria a comprarci l'agenda per il nuovo anno e un paio di calendari, per casa e per l'ufficio. Uno da mettere sicuramente in cucina, un'altro più elegante nello studio o nel soggiorno. "Artistici" o almeno spiritosi, preferibilmente colorati, e possibilmente con uno spazio per segnarci una crocetta o un sintetico memo accanto a singoli giorni. Però ci sono anni che non cominciano da gennaio e non sono dunque intesi come solari. Quello "accademico", per esempio; ma non solo l'Università e tutti gli altri istituti scolastici iniziano con autunno: analoga è la decorrenza per il calendario calcistico e anche per l'annata delle sale cinematografiche. Sono tutte attività, anche quelle segnanti solo il nostro "tempo libero", che avranno fine con il periodo delle vacanze estive, non terminando cioè a Capodanno ma sotto il solleone. C'è una logica, in questa cadenza differenziata di messaggi segnatempo. E ce n'è una anche per quel particolare tipo di calendari che pendono vistosamente proprio in questi giorni fra magazines e gadgets in quasi tutte le edicole. Le cui caratteristiche sono due: che - solo loro - partono da un settembre e arrivano al dicembre dell'anno successivo, annoverando dunque non dodici ma sedici paginate; e che in ciascuna pagina del loro grande formato espongono, oltre - come tutti gli altri - alla tabella dei giorni divisa in settimane, la maxifoto a colori di una donna nuda. Dalla pancia in su, dalla vita in giù, o tutta.

Non che sia in sé fenomeno nuovo, beninteso: s'era cominciato più di vent'anni fa con il calendario Pirelli, che era un regalo aziendale di fine anno e rientrava nel budget pubblicitario di quel marchio. Mobilitando fotografi di grido e modelle di rango. Poi arrivò il calendario di «Playboy», che era allegato alla rivista e puntava, con diversità ed evidenza, più sul richiamo sessuale che sul gusto estetico. Poi, piano piano, anno dopo anno, analoga iniziativa assunsero altri mensili e settimanali e anche di matrice editoriale seriosamente benpensante e/o politicizzata ma, con la scusa del costume fattosi più duttile, costretti ad essere indulgenti verso il cosiddetto mercato. L'ha fatto anche il mondadoriano (ma oggi sarebbe più esatto dire berlusconiano) «Panorama». Protagoniste interamente svelate foglio dopo foglio, ecco fotomodelle e top models, "veline" televisive, ex miss, qualche "fidanzata" importante, attrici più disposte a questo passo. Esempi maggiormente eclatanti e noti Sabina Ferilli e Monica Bellucci qualche anno fa. Prima l'anticipazione era a novembre, poi scalò (la concorrenza, l'essere i primi) a ottobre, s'è finito per portare questo anticipo addirittura a settembre.

Ma qual è il vero fatto nuovo, quello che induce a includere i calendari nudi 2005/06 nell'osservatorio di una rubrica come questa, dedicata alla comunicazione, alle tecnologìe, ai linguaggi? E anche se già l'anno scorso qualche sintomo di questo trend più invasivo s'era notato? Esso si compone di tre elementi, che si sono venuti sommando fino, adesso, a generalizzarsi. Il primo è che questo genere di calendari si è venuto nel più dei casi sganciando dalle pubblicazioni periodiche e non è più loro strenna ma si propone e viene venduto come prodotto a sé stante. Il secondo è appunto quello da cui abbiamo iniziato il discorso, cioè che adesso si tratta di calendari di sedici mesi e non dodici, così la carne femminile offerta è aumentata di un terzo. E l'ultimo è, sotto il profilo mediatico, il più importante: che cioè al calendario è ora quasi sempre abbinato un CD o DVD contenente una mezz'oretta di backstage, in cui ovviamente il visual di quei corpi è più completo, non fissato in posa simboleggiante il mese ma sciolto nei preparativi di ripresa, nel trucco, nel mescolarsi al girotondo dei fotografi e dei teleoperatori, nelle indicazioni posizionali del regista. E c'è anche un audio con qualche battuta. Ecco così che il calendario è diventato non solo proseguimento immediato, e con l'accrescitivo dell'esenzione da pudore, delle nudità appena finite di osservare al mare o in solarium, ma pure addirittura spettacolino.

Non siamo al porno, naturalmente, ci vorrebbe un bel salto non considerato ammissibile. Ma si tratta di un tipo di editoria sempre più addentratosi in quell'area della comunicazione cui si dà il nome di hard. La cui sempre più acquisita liceità è peraltro insistentemente convalidata dal cinema, dalla televisione notturna, dai fumetti, dagli stilisti e dai promoter di moda, dalla pubblicità d'ogni genere, dalla disk-music. Le pin-up hanno da tempo preso a fare a meno di sottovesti e bikini ingombranti la vista e da tempo non sono più appese solo nelle caserme e negli abitacoli dei camionisti. E siccome in quelle sedi esse esercitavano solo supplenza cartacea di oggetti del desiderio, andrebbe oggi approfondito se il senso odierno di questa evoluzione, pur sempre ahimè al servizio di un maschilismo duro a morire, è uno di questi due. Quello che ora uno se le porta a casa facendosene disinvolto status symbol accompagnante la maggior libertà di linguaggio, finita anch'essa con l'imperare distruggendo una quantità di tabù lessicali. Oppure quello che le voglie represse dalla tipologìa di lavoro non appartengono più solo a camionisti e militari ma dilagano anche ad altri àmbiti e livelli. E ciò come causa indotta da una maggior disinibizione dell'altro sesso ormai abbastanza comune anche fuori dal privato, e allora da riferirsi in questo caso a una spinta ad esorcizzarla da parte di un ex dominus che se ne sente spiazzato.

Ci sono un paio di mie laureande che sul tema del linguaggio del corpo (interpersonale l'una, riferito all'area dell'abbigliamento l'altra) stanno costruendo la loro tesi in Scienze della Comunicazione per la prossima sessione. Ed elementi per un approfondimento del genere posso riscontrar bene come trovino stimolo in più d'uno dei loro capitoli. L'antropologìa culturale è fatta anche di psicologìa della trasgressione, scambio fra esibizionismo e voyerismo, relative assumenze neomerceologiche. E sarebbe gravemente erroneo pensare che queste tematiche e il loro studio siano disdicevoli o secondarie fra quelle che compongono la nostra vita sia come individui che come membri della società. Dobbiamo pur capire in che mondo viviamo e tentar di sciogliere, nel nostro interesse, i suoi perché. Che qualche volta sembrano essere futili ma sono in realtà determinanti, e come, di una somma di comportamenti più generali.