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Categoria: Secolo postmoderno

Questa, come preannunciato, è la continuazione della rubrica della settimana scorsa. Nella correntezza del nostro linguaggio parole entrano e parole escono. Mantengono stabilità o variano frequenza. Ne avevo scelte, per loro attualità di passerella, tre e ne avevo messo sotto la lente una, il nome Halloween. Ora tocca alle altre due. La prima di esse (seconda delle tre) è l'aggettivo patriottico. Tolto in queste ultime settimane dalla naftalina e rapidamente inflazionato. Deriva dal sostantivo patria: luogo dove si è nati, sede - per ètimo - paterna. Nell'accezione nobile assume la maiuscola ma è delicatissimo, come fatto di cristallo: i primi rèfoli di retorica (principale dei suoi nemici, da cui va accuratamente protetto) che gli arrivino sopra possono appannarlo o incrinarlo. La modernità l'aveva valorizzato assai - la sua origine latina era stata soprattutto definitoria - e ad esaltarlo furono per primi i francesi sul finire del XVIII secolo ma è il Risorgimento che lo fa maggiormente scintillare attribuendogli una valenza sentimentale e politica insieme. Il fascismo ne abuserà fino a logorarlo: se indossi il vestito buono tutti i giorni e in tutte le occasioni, diviene presto liso ai gomiti e sul sedere. Può anche diventare motivo di tragedia: oggi la Palestina è patria contesa (ragioni storico-religiose per uno, geoetniche per l'altro) di due popoli in guerra ferocissima fra loro; e un altro popolo, il curdo, risulta suddiviso per squartamento in più patrie ufficialmente altrui senza vedersene riconosciuta una propria. E' crudele non badarci, come se di patrie a ognuno dovesse interessare soltanto la sua. E capita poi di accorgersi che questo non è neanche egoismo, è autolesionismo.
Il frasario politico (e conseguentemente giornalistico) italiano presente tende a restituire vetrina a questo aggettivo. E ciò ha dei motivi in parte da riconoscere assai validi, altri ingeneranti invece delle contraddittorietà. La rivalutazione del simbolo tricolore e dell'inno nazionale propugnata per esempio dall'attuale presidente della Repubblica ha come valenza - non in questi termini direttamente esplicitata ma prendendo diplomaticamente, come si dice, "il giro largo"- di contrastare gli sciovinismi localistici e le latenze separatiste di un tipo perseguito di federalismo non decentrante ma da "ognun per sè" che caratterizza alcune aree settentrionali (Padania, Friulia). Non con modi così morbidi ma invece molto di brutto e stroncantemente fu a suo tempo presa di petto da Roma l'autonomia siciliana, pur sancita in Costituzione dal suo statuto speciale. Certo, è un po' stranizzante assistere continuamente al canto dell'inno di Mameli da parte di giocatori di calcio in maglia nostrana ma multietnici, conduttori televisivi e signore in lungo che non ne conoscono neanche le parole (e forse è meglio così, perchè alcuni passaggi che andavano bene per Curtatone e Montanara risultano oggi, occorre avere il coraggio di dirlo, francamente abbastanza ridicoli). Ma Ciampi sa a memoria anche la seconda e meno nota strofa, che dice: "Noi fummo per secoli / calpesti e derisi / perchè non siam popolo / perchè siam divisi" e che è mandata a dire a chi rivorrebbe oggi un Lombardo-Veneto come minipatria; senza austriaci ma anche senza immigrati di colore e quindi non solo autonomo ma anche autoctono.
Gli inni che oltrepassano il loro tempo sono sempre un po' a doppio taglio, da "God save the King" a "Bandiera rossa" (anche Garibaldi, cui quello di Mameli non era piaciuto, se ne fece scrivere uno, come si sa, ma quell'incipit "Si scopron le tombe / si levano i morti..." è più facile richiami ai ventenni d'oggi la penna di Tiziano Sclavi che quella di Luigi Mercantini), e forse solo la Marsigliese col suo appello ai "citoyens" contro la tirannia e l'Internazionale col suo auspicio di "futura umanità" mantengono alcuni versi intellettualmente toccanti, peraltro sorretti da note divenute cult. Bisogna però dire che emoziona anche molto l'improvviso e giustificato revival, dopo l'11 settembre, del patriottismo americano, cui va ad ogni modo riconosciuta una caratteristica del tutto particolare. Perchè si tratta proprio della nazione più multietnica del mondo e il concetto di patria non riguarda quindi tanto, dal punto di vista unificante, un dato territoriale e politico (gli USA sono sul serio una federazione di stati) bensì cultural-popolare: quello che va sotto il nome di "american way of life", un modo di essere che si può approvare o disapprovare, respingere o condividere, ma che certamente rappresenta, dall'Atlantico al Pacifico e dalle Montagne Rocciose al Rio Bravo, il collante più solido di quel Paese.
Anche questa pioggia di stelle e striscie di conseguenza ricaduta sull'Europa è stata stimolo di neopatriottismi e molti governi se ne sono riempiti la bocca nel momento in cui mobilitavano forze armate, unità navali salpavano e decollavano bombardieri. Capaci di colpire a morte città ma non di bloccare e disarmare il terrorismo, che vive di ben altre ragioni e agisce usando ben altri mezzi (e richiede dunque ben altro tipo di interventi di diverso indirizzo e basati su altre logiche). La presente continua però ad essere esclusivamente un'analisi di linguaggio e di questo aggettivo "patriottico" dunque continua qui a interessare solo il cogliere l'uso semantico e mediatico che se ne fa. E le sfumature concettuali che ciò comporta. Accusare per esempio da pulpito governativo la sinistra italiana di mancare di patriottismo in quanto esitante ad avallare in pieno un'iniziativa militare ha un po' del nonsenso. Perchè se sinistra è, essa per definizione non è "patriottica" bensì "internazionalista"; se poi sinistra non è, o non è più, allora va casomai ricercato cosa sia invece. (E poi uno può essere internazionalista e portare egualmente amore sincero alla terra delle sue radici e magari, perchè no? anche commuoversi per un campanile). C'è un notissimo detto inglese di cui non occorrerà io spieghi il senso: "Right or wrong, my Country"; se fosse tassativo nella sua forma letterale dovremmo condannare esuli antifascisti ed esuli dall'ex Urss, gli ufficiali della Wermacht che attentarono a Hitler e i comunardi dell'871, partigiani e maquis, eccetera. Ma fortunatamente "country" non è "government" e il bene della patria non sempre coincide con quello dei suoi governi. Immaginiamo un normale grafico strutturato in ascisse e ordinate, interesse nazionale (patriottico?) queste, interesse globale (sociale?) quelle. E immaginiamo in esso delle curve in cerca di un corretto punto di intersezione. Potremmo anche riferirlo all'Unione Europea ed ai suoi singoli Stati membri. Verrà, è possibile, un "patriottismo" supernazionale, continentale? Non possiamo certo considerarlo molto vicino, ma nel novero delle tendenze c'è e forse anche diverrà necessario. Negli anni '50 un americano di nome Garry Davis si dichiarò, con scalpore, "cittadino del mondo". Non fece più che tanti proseliti ma nel 1968 il movimento studentesco riuscì ad unire la Sorbonne e Berkeley e le università tedesche e quelle italiane. Guardando ai risultati, una trentina d'anni dopo, anch'esso è fallito, pur se i motivi per cui era nato sono ancora tutti lì e ci circondano.
Un grande cineasta francese, Claude Autant-Lara, eletto al parlamento di Strasburgo, vi pronunciò nel 1989 un discorso che, pur non convidendone personalmente la gran parte, io considero, questo sì, "patriottico". Non c'è in esso nulla di politico, nulla di territoriale, nulla di militare. E' il discorso di un artista e le sue ragioni camminano esclusivamente su un terreno culturale. Egli dichiara di non capire bene verso dove questa Europa va ma afferma di esser certo di una cosa: che bisogna essa continui a sfaccettatamente rivelare se stessa dicendo "pain", "bread", "pane", "pan", "pao", "psumi", e via così e non uniformarsi all'omologazione di dire solo "bread". Lui parlava di Hollywood, non della White House o di Wall Street, intendiamoci, ma era a una colonizzazione ed a una condizione subordinata che si riferiva e il suo era il discorso di un uomo di destra. Ma che importanza ha essere di destra o di sinistra se queste parole difendono l'Europa e, in sostanza, l'indipendenza, la cultura e il futuro dell'Europa?
Ecco, anche stavolta una sola parola ha occupato tutta la rubrica. Il previsto trio sarà dunque completato la prossima settimana.