La più cruda è certamente la fototessera. Tanto che qualche volta ce ne vergognamo un poco e non cerchiamo tanto di aggiornarla per rappresentazione di età quanto per ragioni di esigenza estetica personale. Lo so perché capita anche a me di introdurmi per fretta in una di quelle cabine automatiche che ci sono per la strada e poi è troppo tardi per rimediare. E lo so anche perché ad ogni sessione di esami mi passano davanti molte ma molte decine di libretti su cui devo scrivere voto, e costato in controcopertina imbambolatezze, sorrisi standard oppure sogghigni involontari, occhi stralunati, capigliature e loro colori spessissimo diverse da quelle che hanno in testa coloro che stanno via via seduti davanti a me. (Non parliamo poi di scomparse o apparizioni nell'area baffi/barba). Insomma, quante volte avviene che ci accorgiamo d'aver commesso un'imprudenza ad affidare in fondo noi stessi a questo particolare mezzo di comunicazione. Poi però ci sono, certo, anche gli altri tipi di foto che ci rappresentano: dall'istantanea riuscita alle pose invece studiatissime e talvolta riprovate con più scatti successivi fra cui scegliere. Cambiando magari positura e posizioni di luce. Di quelle, ce n'è che pure che finiranno in cornice sui muri di casa o perfino pubblicate in qualche libro. Ma l'intenzione qui oggi è di fare qualche riflessione più ampia e generale sul particolare tipo di comunicazione diffusamente stabilito attraverso l'immagine rappresentata di persone.

L'identi-kit dei più antichi è fatto soltanto di parole. Sappiamo come si comportavano e cosa dicevano gli apostoli, ma per i loro lineamenti e le modalità corporee con cui si muovevano tutto è poi appartenuto per approssimata invenzione agli illustratori delle loro storie; e il David di Michelangelo non ha la stessa faccia di quello di Donatello; né sappiamo quanto era alto Carlo Magno. Di qualche Faraone abbiamo la faccia dipinta sul sarcofago che lo contiene, ma è stilizzata, così come gran parte delle sculture egizie di allora. E' stato fortunato Agamennone, riuscito a farci pervenire la sua maschera mortuaria in metallo, rimasta fra le rovine di Micene, ma anch'essa è sommaria e in parte anche probabilmente deformata dai millenni che l'avevano schiacciata. Clitennestra ne sarebbe contenta. Per tutta una lunga stagione storica sulle fattezze dei personaggi importanti si lavorò poi, e anche raffinatamente, di scalpello. Conosciamo il volto di Pericle, e più di un busto ci è pervenuto di Giulio Cesare, oltre alla statua intera famosa, in corazza e col braccio alzato. Non sono tutti uguali ma si somigliano, e possiamo farci un'idea. All'appello iconografico in pietra, marmo o bronzo non manca quasi nessuno dei potenti, o comunque importanti, che hanno costellato l'Evo antico. Congelati comunque in una fissità tridimensionale che ne fa più icone storiche che soggetti cui poter leggere negli occhi (in cui non sempre lo scultore inseriva la pupilla, sostituita casomai talvolta solo da un buchetto).

Non così fu poi con il ritratto dipinto in posa col modello davanti. Il Rinascimento e i secoli europei successivi ci consegnano una galleria di personaggi le cui fisionomie, accuratamente rese, si lasciano anche psicologizzare. Siano re, intellettuali o banchieri, persino popolani. Colori di composizione, impasto e brillantezza sempre più perfetti, pennelli sempre più sottili e spatole sempre meglio foggiate, fondi base per tele sempre meno grezze sono stati anche questi, in qualche modo, tecnologìa. Affidata a mani ed istinti artisticamente sempre più sapienti a passare da una pittura basata su simboli ed allegorìe ad una che avesse invece più a che fare con una persona umana specifica da cui far emergere non solo tratti somatici ma anche caratteriali. Imperatori e regine, nobili titolari di varie signorìe, pontefici e dame sfuse si offrivano pazientemente al ritrattista fatto venire a Corte per sua fama, attentissimi tutti al look, alla cosmesi, al fronte o trequarti (rarissimi i profili), alle fonti di luce, esattamente così come fanno ora popstars, topmodels e candidati alle elezioni per i clic che eterneranno (?) loro.

Poi alla tela, alle tavolette di legno ed all'affresco si sostituiscno lastre di vetro, nitrati d'argento e lampi di magnesio. Non che la pittura abbandoni il campo, sconfitta dal nuovo mezzo, naturalmente; anzi è proprio questo che all'inizio imita lei: i primi dagherrotipi e le prime immagini fotografiche stampate su cartoncino riproducono solo pose pomposamente austere o plagi melensi, gruppi di famiglia gerarchicamente disposti, nature morte paradossalmente più "finte" di quelle disegnate. Non ci sono più, al cavallo precedente fra due secoli, come prima nei dipinti, delle Eve o, con le carni come lei tutte scoperte, Veneri coricate, o Susanne bagnanti, o baccanti e ninfe, ma, hehè, di sottobanco, la primizia figurativa dei velli esposti di autentiche puttane ignude (genere divenuto poi di presenza sempre più massiccia e meno ritrosa). La fotografia è per prima cosa documento, ma poi si scopre, via via che essa si perfeziona, che può essere benissimo ritratto, e ritratto dei più eloquenti, anche arte del ritratto. Si tratti di Garibaldi seduto pensoso e fiero su uno scoglio a Caprera o di Eleonora Duse col mento poggiato sul terminale-mano di un lungo braccio che esca da veli. Man Ray, Weston, Beaton, Avedon, producono gallerie di espressioni e di volti-messaggio, avendo sempre nell'obiettivo personaggi di grande interesse, ripresi con grandissima forza e fine psicologìa; e anche quando si cimentano col nudo femminile non lo fanno con risultati inferiori ai più suggestivi ed eleganti prodotti della pittura che li precedette. E si può annotare questo, della fotografia: che se da un lato fu essa, col proprio realismo pur saputo diventare assai spesso magico, a dirottare per reazione importanti correnti della pittura verso cubismo ed astrattismo, fu sempre essa a concentrare sul bianco e nero, anche quando acquisì il colore, il meglio assoluto dei propri risultati artistici.

Ma sto arrivando a quello che del «Postmoderno» che state leggendo oggi è stato il movente centrale, anche se come sempre io son partito, per completezza, dai precedenti primi. Le statue, i dipinti, la fotografia, cos'hanno consentito di se no impossibile? Che dei personaggi vissuti prima di noi, in un tempo lontano non solo di generazioni, ma di secoli e di millenni, noi avessimo anche, oltre alle pagine scritte che ce ne raccontavano gesta o pensiero, prima quella sorta di massicce fototessere che erano i busti scolpiti e poi ritratti sì soltanto bidimensionali ma plurimi. E ciò solo da un certo momento in avanti, oltretutto; essendo anticamente i supporti del disegno e della pittura e le tinte ed i materiali impiegati privi di una lunga possibilità di durata prima di degradarsi. Solo il coccio di vasi e piatti, perché cotto, ed i mosaici, perché di pietruzze dure, potevano sfidare il tempo e molti di questi pezzi arricchiscono oggi musei. Ma né il coccio, per lo più solo bicromatico, si prestava per convessità e concavità, e anche per gli usi cui era destinato, ad ospitare ritratti, né il mosaico, pure policromo, poteva, per il semplice fatto di essere composto di tèssere, ossìa blocchetti infissi, rendere se non schematicamente i tratti personali di un volto o le pieghe e fluenze di una stoffa.

Da quando però le immagini han potuto acquisire movimento col cinematografo, diffusione con la televisione e presenza ciclica o richiamabile con le videocassette e i DVD è avvenuta una svolta di portata enorme, sia pure per passaggi graduali ma con prevedibile ineluttabilità, nel modo di rapportare le immagini di persone all'acquisizione del loro intero anche temporale da parte di chiunque. Mi spiegherò adesso meglio, perché detto così può sembrare ancora non chiaro.

Mettiamo che noi abbiamo un ritratto del conte di Cavour fanciullo e poi una sua fotografia da anziano con quella sua barbetta a girocollo e gli occhialini ovali che lo rendono stereotipo. Oppure un manifesto della giovane danzatrice conosciuta come Mata Hari e poi una immagine fotografica della stessa scattata anni dopo alla vigilia della sua fucilazione come spia. Si tratta in entrambi i casi di ritratti-documento riguardanti due momenti diversi e distanziati di una vita. Naturalmente incompleti in quanto non solo, com'era anche prima, non conosciamo la voce di questi rappresentati, ma neanche come gestiscono o camminano. Resta tutto immaginario e congetturabile, affidato a fantasia e a qualche intuizione, con cui comunque non tutti sono capaci di misurarsi. Un filmato invece, prima senza voce e a scatti di fotogramma, poi di più fluente scorrevolezza, poi sonoro e poi infine a colori, ci darà - che sia documentario o che sia fiction - di un personaggi mostrato ben di più. Raccontare con questo mezzo una storia o illustrare un fatto vero consente di vedere una faccia piegarsi in diecine di espressioni (cosa che era impossibile a teatro dove potevi al massimo vedere un modo d'inarcar la schiena, o di condurre il passo o di agitar le mani), rappresentandosi e rivelandosi fin quasi a denudare l'anima a quel momento incarnata. Ma non finisce qui la prospettazione che ho incardinato, e la riflessione che voglio suscitare porta ben oltre. Seguitemi.

Tutti possiamo sfogliare un libro di storia le cui illustrazioni mostrano Giordano Bruno bruciare sul rogo e Cristoforo Colombo sbarcare nei Caraibi. Anche la mia generazione può sfogliare un album di famiglia in cui io sono fotografato decenne e vestito alla marinara nel giardinetto dei miei nonni. Solo che quella volta le fotografie normali privatamente fatte avevano più o meno le dimensioni consuete nel quadretto di una strip, cm. 8 x 5 per intenderci. Più grandi costavano davvero assai e le facevano solo giornali e riviste, e i maxiritratti fotografici del Re e del Duce che campeggiavano affiancati nelle aule scolastiche sopra la cattedra li forniva la Pubblica Amministrazione. E' difficile che rintracci in quei piccoli ritratti se non dei simboli, delle lapidarie icone di me stesso e dei miei allora giovani genitori. Ma i miei nipotini ripresi oggi dai miei figli con la telecamera digitale, non solo manifestano poi in proiezione tutta la loro estroversa personalità ma quando si riproietteranno questo filmetto da anziani avranno un ritratto epocale di se stessi e dei contesti in cui stavano che permetterà nozione e riconoscimento con una definizione e una penetrazione impensabili nell'omologo caso del loro nonno che ho appena riferito.

Ma andiamo ancora avanti, perché l'argomento offre più d'una importante ulteriore sceverazione del fornire a chi vive nel mondo attuale molti più elementi sia di nozione che di pensiero. Anche se poi non so quanti li adoperano davvero o se ne hanno comunque consapevolezza, poiché chi è dei new media coetaneo trova difficoltà a rappresentarsi gli stessi meccanismi di pensiero precedenti. Che risulterebbero invece fecondissimi se integrati, divenendo così capaci di riselezionare il presente con criteri meno superficiali e più fruttuosi. C'è un paradosso infatti che si pone. La televisione permette più cose del cinema. Al cinema si andava una o due volte la settimana e neanche mi ricordo più l'ultima volta che ho visto una sala piena. Ma la televisione in casa può stare accesa praticamente sempre e anche in più stanze e, a parte quelli che produce e propina lei stessa, propone e ripropone continuamente, di giorno e di notte e su molteplicità di canali, film d'ogni epoca e anche "retrospettive" sia documentarie che di spettacolo. Le quali ci consentono sia di veder cantare Mina quand'era magrissima che di assistere a episodi anche della prima guerra mondiale o ricadenti nel successivo regime fascista.

Cosa succede allora? Che possiamo, per dire, rivedere Berlusconi quando aveva più capelli e la faccia meno tirata. ma anche Dario Fo o Enzo Jannacci da giovani, da mezz'età e da anziani, mettendoci in grado di controllar contraddizioni e grado di disinvoltura nel primo caso, di paragonare performances nel secondo, apprezzandone le loro varianti temporali. Assistendo cioè a una sorta di continuum della loro vita in rapporto col pubblico. Le generazioni precedenti questa possibilità non l'avevano mai materialmente avuta, e la massa di quelle precedenti ancora poteva orientarsi e valutare solo col canale dei giornali ma solo da quando essi avevano cominciato ad esistere, senza cioè presa diretta, e su quello dei "sentito dire". Ma ho parlato di un paradosso, nel capoverso precedente. E il paradosso è questo. Che noi, specie aggiungendo supporti nostri comprati od affittati, ai programmi televisivi, possiamo seguire nel tempo il debuttare, l'affermarsi e il proseguire di una serie di personaggi reali infinitamente meno che il debuttare, l'affermarsi e il proseguire di una quantità, per esempio, di attori che interpretano una quantità di personaggi diversi. Nessun francese del '600 ha potuto conoscere così da vicino gli attori di Molière e di Racine; nessun londinese o veneziano ha mai potuto seguire, paragonandoli in retrospettiva negli anni, gli interpreti di Shakespeare o di Goldoni che erano coevi di questi autori. Tutti però abbiamo seguìto dal debutto alla morte e possiamo rivederli di fila a nostra volontà John Wayne e Orson Welles, Gino Cervi e Vittorio Gassman. E veder passare gli anni sul volto e sul corpo di Sean Connery e di Charlotte Rampling, di Jeanne Moreau e di Stefania Sandrelli. Nascere le rughe e diminuire l'agilità, pur permanendo nel suo cambiar spessore la tipologìa dell'atteggiare bocca o delle movenze corporee rispettive. Vale anche per Jean Gabin e per Marlon Brando., per Sophia Loren e per Marlène Dietrich; per Charlie Chaplin. Per moltissimi altri.

E con l'enunciazione di questo paradosso, noi che possiamo riassistere, per capirne l'atmosfera, alla mussoliniana Marcia su Roma e al processo di Norimberga con tutti i gerarchi nazisti alla sbarra preliminare di patibolo, ma non certo alla proclamazione dell'Editto di Ròtari di cui è a nostra disposizione la pergamena originale in un museo, o alla fastosa incoronazione di Elisabetta Prima d'Inghilterra la Grande (ma a quella della Seconda sì, in Eurovisione registrata), e rivedere tutte le fasi attraversate dai governi repubblicani in Italia, non abbbiamo a nostra disposizione per valutare le persone fisiche dei loro protagonisti un materiale così fitto come quello che ci permette di avere invece come familiari e a nostro piacere ricontrollabili le prestazioni di un'infinità di attori e di attrici. Anche per i politici ad ogni modo il materiale c'è e si accumula e verrà il giorno che sarà anche disponibile a nostra volontà per riacquisire in modo cronologicamente ordinato ed antologico anche di questi sia la spontaneità che la recita vedendoli (è un modo di dire) in progress.

Nell'epoca postmoderna i veri ritratti sono insomma questi. E non più quelli come conformati ed esposti all'inizio dell'excursus qui svolto. In termini di mercato le prestazioni di Errol Flynn e di Carlo Verdone potranno essere certamente più richieste di quelle di Bossi e perfino di La Malfa senior, mentre forse potrà interessare di più tantissimi un confronto fra Meazza e Maradona o tra Mazzola e Falcao, o fra Binda, Bartali e Pantani. Ma non è la TV, ciò è molto chiaro, che ci consentirà questo da utenti. Lo strumento cui accedere per conoscere e confrontare in movie questi ritratti con sufficiente completezza e on demand sarà fra non molto soltanto Internet, e tutto starà nel saperne far uso. Così forse - non è detto ma è da sperare - sulle persone che davvero hanno mosso e stanno muovendo il mondo la generazione sucessiva a questa, la quale oggi è bambina, potrà avere più nozioni di noi. E trarne anche conseguenze culturali e civili adesso impensabili anche se fin d'ora occorrerebbe anche a noi averle a portata di mano e tesaurizzarle.