Sono proprio la stessa cosa i concetti - e gli istituti - delle «pari opportunità» e della «par condicio»? Direi proprio di no. E aggiungerei come accada ciononostante spesso che la significante qualità dell'uno venga confusa, mischiata o sostituita con quella dell'altro; finendo col tradirle entrambe. Se ne ha riprova nella incongrua disinvoltura con cui essi vengono maneggiati in una varietà di sedi ed occasioni pubbliche, più da Paese dei Balocchi che da seria palestra di applicazioni semantiche e sociogiuridiche insieme; come sarebbe invece, e seriamente, il caso. Compare in entrambe le denominazioni, una volta in italiano ed una volta in latino, l'aggettivo «pari», col significato di stabilire se non proprio eguaglianza almeno stato di equità fra elementi o componenti diversi di qualcosa. Ma ciò non basta a concludere che si tratta di due modi differenti di indicare un sostanzialmente identico oggetto, una sostanzialmente identica intenzione. Anche perchè essi dovrebbero avere campi applicativi ben distinti, come tenterò di spiegare più avanti evidenziando quache pasticcio. E sia le «pari opportunità» che la «par condicio» hanno avuto - stanno ancora avendo appunto mentre scrivo - refluenza su un altro civile istituto regolamentato per legge: quello del referendum.



Pari opportunità è configurato (ci sono norme europee, c'è un ministero apposta) come uno strumento il cui scopo è quello di impedire che l'essere donna sia in qualsiasi modo una discriminante a svantaggio dell'essere nata di questo sesso invece che di quello maschile.

Par condicio è invece inteso come strumento atto a stabilire che i portatori all'opinione pubblica di opinioni e proposte d'indirizzo debbano disporre delle occasioni e degli spazi per farlo ciascuno di essi esattamente tanto quanto un altro. Nel caso precedente si trattava di competizione fra i sessi, in questo di competizione fra partiti politici.

Referendum popolare è qualcosa infine che serve a correggere esiti parlamentari in sede legislativa qualora si presuma (e la sua proposta deve recare infatti almeno mezzo milione di firme autenticate di cittadini o nascere dalla deliberazione in questo senso di almeno, credo, tre Regioni) che essi non hanno adeguatamente interpretato esigenze generali o il modo di risolvere determinati problemi.

Esaminiamo allora adesso, in base a casistica, ciascuno di questi tre oggetti giuridici e giurisdizionali, prospettandoci gli aspetti negativi di concatenazioni e scambi prodotti fra essi da una deriva logica conducente a conseguenze non certo sottovalutabili. Essendo tutti e tre in qualche modo afferenti al grande comparto scientifico e tecnologico della comunicazione come fatto sociale, e di essa bisognosi, non posso non darli come inclusi nell'area tematica della disciplina che insegno e quindi anche di questa rubrica.

Per parlare, costituendolo come ordinato punto di partenza del discorso complessivo, di pari opportunità, trovo riferimento fresco e facilitante comprensione nel recente bando di un master universitario. Un cui comma a un certo punto stabilisce che dei venti posti a disposizione il 50% è riservato a copertura da parte della componente femminile dell'insieme dei partecipanti. Gli ammessi previsti saranno duque dieci uomini e dieci donne. E dove sta l'incongruenza (rivestita da un simbolico manto di presunta giustizia)? Che quello che viene applicato è un criterio di condicio e non un criterio di opportunità. (C'è una mia amica e collaboratrice la quale mi dice di essere un po' stufa di essere considerata «specie protetta» invece che gareggiante ad armi pari). L'opportunità, cioè quella che questo istituto deve consentire, è infatti quella di rendere raggiungibile da parte della componente femminile la metà dei posti in tutto disponibili. Ma se questa metà è data come a priori tassativa, ecco che siamo sconfinati in un istituto diverso, quello appunto della condicio, che ha presupposti diversi e diverse norme applicative. E allora: come si gestirà la graduatoria? Separandola in due a mo' di apartheid? Senza quindi badare a rigore di punteggi, in maniera che così, essendo essi paralleli e non commisti a scalare, anche uno eventualmente più basso possa entrare e uno più alto no? Bèh, abbastanza assurdo. Non ci voleva poi molto, guardate, a sciogliere il nodo in modo corretto. Perché se fosse stato scritto che la quota riservata era di almeno il 30%. il raggiungimento del 50 non sarebbe stato comunque precluso e non si sarebbero rese possibili ingiustizie o conseguenze stridenti. Perché opportunità (ah, monsignor de Lapalisse...) vuol dire appunto conferire e utilizzare un'opportunità, e non stabilire una condicio regolamentare di fifty-fifty. Vorrei proprio vedere se una norma così venisse considerata buona anche per comporre, mettiamo, un Parlamento o una Corte, dove sarebbe comunque e senza dubbio alcuno molto ma molto più legittimata!

Passiamo ora appunto alla par condicio, cioè all'altro istituto nel quale abbiamo appena visto confuso il precedente. E che ha invece altre caretteristiche, altre ragioni ed altri obiettivi. E stavolta il riferimento lo troviamo in una modifica di legge di cui ha avanzato recentemente proposta nientemeno che il nostro capo del governo. Cosa dice adesso la legge? Che agli effetti di una campagna elettorale ognuna delle forze politiche in gara ha diritto a uno spazio televisivo del servizio pubblico (gli altri giornali fanno quello che vogliono e ai manifesti e comizi provvedono le singole entità che sono in campo secondo le proprie risorse) uguale a quello delle altre per manifestare indirizzi, programmi e critiche. E come vorrebbe modificarla quegli che adesso se ne dice insoddisfatto? Assegnando invece ai singoli concorrenti uno spazio proporzionale alla rappresentanza ottenuta in Parlamento la volta precedente. Secondo lui sarebbe più par condicio così. Con una specie cioè di immobile e anzi irreversibilmente castrante unicuique suum. Ma se, in base al suo ragionamento, io che avevo 150 deputati posso con questa riforma mettere in campo alle elezioni un volume di suggestionante propaganda mediatica doppio del tuo che ne avevi solo 75, allora le cose non cambieranno mai ma anzi si squilibreranno di più perché tu non ce la farai, avendo meno voce e meno tempo, a invertire il rapporto conquistandone stavolta più di me. Bella furbata per parare possibili alternanze che poi sono l'essenza della democrazia, vero? Mentre quando si gareggia è chiaro che occorre una regola del gioco valida erga omnes per cui la partenza sia sempre alla pari, cioè in parità di chances presso gli elettori, come per ora quando chi perde è per colpa sua e non per trucchi regolamentari. Ma è una proposta, questa di dare un addio a una par condicio come si deve, che artatamente nasce dopo aver costatato, come si sa e detto per inciso, una flessione di consensi ed allo scopo di ricostituirsi un vantaggio.

Veniamo al referendum. Qui non siamo più in politica, ma su terreno di coscienza: diritti umani e problemi etici; e infatti i «Sì» e i «No» dividono trasversalmente, ed è anche naturale dato l'oggetto, tutti quanti i partiti al loro interno. Quando consegnerò questa rubrica i risultati non saranno ancora noti, ma ci sono questioni di principio che possono qui essere affrontate egualmente. Procreazione assistita solo per coniugi o anche per coppie informali e per singles? Quanti embrioni impiantabili? Limiti a tre o di più? E con o senza preliminare e cautelativo studio scientifico di questi? L'embrione ha già natura e quindi diritti di individuo oppure no? E' possibile o no, in caso di sterilità del partner, ricorrere a una «banca dello sperma» anonima e sicura? Non entrerò nel merito di nessuno di questi specifici argomenti - anche se su ciascuno le mie opinioni le ho ed ho votato di conseguenza - perché su ciascuno vanno considerati legittimi sia i «Sì» che i «No» che si vogliano pronunciare, sia la scheda bianca in caso di dubbio o di agnosticismo. E' un'altro aspetto importante quello che voglio invece mettere in luce, che appare il più grave e che ha reso del tutto abnorme questa vicenda viziandone comunque quel che ne è per essere l'esito. Perché coinvolge anche entrambi gli altri due istituti di cui abbiamo appena parlato, creando sia una situazione di «impari opportunità» che di «dispar condicio». Vediamo come.

La legge vigente che è oggetto del referendum, approvata dal Parlamento, è una legge necessaria ma è frutto di un lungo e laborioso compromesso fra coloro che l'hanno votata, quindi contiene sia qualcosa di pasticciato sia diversi elementi imperfetti e quindi passibili di più duttili miglioramenti. Spostando insomma solo qualche paletto senza modificare l'intero impianto. Le componenti parlamentari e sociali favorevoli al suo mantenimento così com'è, che includono la Chiesa e che si oppongono a quelle (a loro volta includenti movimenti di società civile e organizzazioni femminili) le quali sono state invece le proponenti di questo referendum, essendo insicure di una prevalenza dei «No», cui aspirerebbero, hanno scelto un'altra strada. Cioè di sabotarlo impostando una massiccia campagna per indurre la massa a disertare il voto, dato che se i votanti non raggiungono un quorum del 51% il risultato, quale che sia, non sarà valido (lo prescrive la legge). A questa campagna un forte contributo lo han dato evidentemente le parole provenienti da Piazza San Pietro e riprese dai Vescovadi e dalle parrocchie. Ma se forse papa Wojtyla avrebbe brandito il suo pastorale dando luogo a una tonante scesa in campo ecclesiastica a favore del «No», la scelta politica di papa Ratzinger è stata di tuonare a pro dell'astensione dal voto unendosi così all'iniziativa di altri ambienti e palazzi e anzi quasi guidandola. L'Italia è un paese ancora non sufficientemente laico e queste cose dunque, da noi, contano e incidono. Ciò ha prodotto alcune conseguenze. La prima è stata quella di fornire ai cittadini una spiegazione dei contenuti del referendum, che pur sono sottili e delicati, abbastanza superficiale e lacunosa, ma irta tuttavia di termini difficili, fuori per molti dalle capacità di comprensione chiara. La seconda quella di far psicologicamente ritenere che si tratti in sostanza di un referendum solo mentre in realtà sono quattro, e ciascuno articolatissimo. Tarpando così la possibilità di votare, oltre che quattro «No», tre «No» e un «Sì», oppure due «No» e due «Sì» oppure un «No» e tre «Sì», si è omologato tutto in modo da ottenere un sostanziale «No» complessivo e per giunta inespresso ma capace di seppellire il referendum anche se per ipotesi ottenesse una maggioranza di «Sì» e se votasse il 50,99% degli aventi diritto.

Qual è il difetto di par condicio dunque venutosi a verificare? Che una gran parte di cittadini non è stata messa in condizione di capire quali sono tutti i vari oggetti di questo referendum, percependo solo, semplicisticamente, che qui si tratta (e proprio non è così) soltanto di uccidere delle vite umane ancorché non uscite dalla forma di embrione ma già ritenute accese. Che sono comunque a un certo rischio anche con le norme vigenti. E, lasciando così che la decodificazione piena di questi temi resti solo alla portata di chi possiede gli strumenti intellettuali per oltrepassare spiegazioni schematiche o barriere linguisticamente complesse di termini lessicali spcialistici o scientifici, quella che prima di tutto si abroga è proprio una parità di accesso alla questione, insomma la par condicio: che pretendeva spiegazioni chiare e in soldoni col raffronto preciso delle due posizioni.

Quanto alle pari opportunità, esse sono state lese mettendo, con la scelta compiuta, comunque i «Sì» in svantaggio rispetto ai «No» persino se fossero questi ultimi a risultare in minoranza fra i votanti. Perché essi verrebbero di fatto, anche se irritualmente e senza poter distinguere quanti davvero siano in realtà, sommati a quella vastisima percentuale di persone che a votare non ci vanno mai, o che preferiscono dato il bel tempo andare a prendere il sole al mare invece di recarsi al seggio, o che sono indifferenti ai quesiti loro sottoposti, o che semplicemente non li hanno decifrati e compresi. (Questo l'ha messo chiaramente e giustamente in luce, per esempio, il vicepresidente del Consiglio Fini, definendo «diseducante» e pericoloso per il futuro quest'incitare ad astenersi dal voto). Insomma, mentre i «Sì» dovrebbero correttamente misurarsi solo con la percentuale dei votanti e resterebbero invece schiacciati dal doverlo fare col 100% degli iscritti alle liste elettorali, assenti cioè compresi, i «No» godrebbero dell'enorme vantaggio d'essere assimilati nel peso a tutti gli altri assenteisti per i più svariati motivi. Come se anche questi, invece di contare come "astenuti" equivalessero pure loro ad altrettanti «No». Che razza di moltiplicatore è stato dunque indotto!

Io spero davvero di essere riuscito ad esprimermi e a mettere in tavola tutto con chiarezza, perché ammetto tutta la insolita complessità di ragionamento logico cui costringe questa eccezionale vicenda, la quale farà passare come trèpidi tutori - e di quelli sinceri e dunque rispettabili ce ne son comunque tanti - dell'embrione forse nascituro (che invece potrebbe essere tutelato, e insieme alla madre, poi, anche molto meglio di così) pure coloro che restano indifferenti all'eccidio delle balene per ragioni di lucro commerciali, dato che vivremmo benissimo anche senza il loro grasso e i loro fanoni, e che non si scandalizzano dell'uccisione in massa dei cuccioli di foca (a bastonate, naturalmente, così gli resta integra la pellicia da scuoiare). Mi si notasse come cosa bizzarra che ho scelto esempi animali invece di ricordare i vari genocìdi umani in corso in più d'un continente e per i quali tutti costoro, solerti o ignavi che siano verso il bersaglio di questo referendum, non stanno muovendo un dito, preciserò che l'ho fatto perché mi è stata in quest'occasione ricordata, da un'altra amica e collaboratrice, la seguente frase di Leonardo da Vinci: «Giorno verrà in cui un crimine contro un animale verrà giudicato alla stregua di un crimine contro un uomo».

Solo che sembra quel giorno dopo cinquecent'anni non sia ancora venuto. Anzi, salvo questioni di lana caprina, anche dei crimini contro l'uomo (e il loro elenco potrebbe essere assai pià lungo di questa rubrica appena finita di scrivere) ci si occupa davvero assai poco.