Scrivo appena uscito dal cinema e quindi ancora sotto impatto emotivo, tuttavia capace - spero - di quell'inquadramento funzionale in via logica che è sempre il caso sussista. E che sarà ad ogni modo esposto di getto e contenente quindi anche elementi grezzi probabilmente meritevoli d'essere meglio rifiniti e lucidati. Ma tant'è, meglio così che prendere tempo a farlo; finché cioè il film è ancora in circolazione. Parlo di «La caduta», di Oliver Hirschbiegel, con Bruno Ganz - eccellente attore di cinema e di teatro dalle molte corde - senza troppo trucco nei panni di un Adolf Hitler ormai dittatore sconfitto sia politicamente che sul campo di battaglia e meditante insieme rivincite e suicidio, irrealistiche le prime fatale il secondo ché se no sarebbe anche lui finito impiccato a Norimberga e con precedenza su tutti gli altri. Sono due ore e quaranta che riassumono la sua ultima settimana nel bunker scavato sotto la sua Cancelleria, al centro di una capitale prima accerchiata e bombardata dall'alto e infine dall'artiglieria e poi penetrata e invasa dai tanks dall'Armata Rossa velocemente avanzante; sì che la città dovrà dopo la morte del Führer arrendersi ai russi e non agli americani, determinando così anche il proprio futuro. Il tutto in un'ambientazione da incubo (con poche uscite "in esterni" e solo per scene di devastazione), labirinticamente composta di scale, corridoi, camerette e porte blindate, dall'illuminazione imperfetta, in cui si affollavano pezzi di governo, di vertici di partito, di stato maggiore militare, e segretarie, mogli, amanti, bambini. In un'atmosfera soffocante, nevrotica o meglio isterica, da Walhalla sempre più inquinato e decomposto cui ben si attagliava anche il titolo di quel «La caduta degli dèi» con cui Luchino Visconti dipinse invece, a suo tempo e con più ampia scenografia concettuale, non centrata su Hitler ma sul ceto da lui nutrito, la dissoluzione di quel regime; sul piano cioè, per il regista italiano, anche economico e della morale privata e non solo ideologico e militare.

Detto quel che questo film tremendo ci rappresenta, un'altra osservazione, e personalissima questa, voglio fare ed è la seguente. Non mi interessa per niente, adesso qui, esprimere giudizi di merito sulla fattura del film, sceneggiatura, regìa, fotografia, interpretazione; lo faranno per mestiere, sancendole belle, mediocri o discutibili, i critici cinematografici. Devo invece solo dire quali sono i motivi per cui esso a mio avviso va visto. Che sono questi. Nulla che già per altre vie in qualche modo sapessi, ci ho trovato, ma ben altro è l'effetto che tutto ciò, sia pure in realistica fiction, produce allo spettatore quando sia mostrato. Ciò che ci entra dalla porta comunicativa dei nostri occhi come immagine resta più indelebile di quanto passa da lì come scrittura. Ammesso in ogni caso che fossimo anche assidui lettori di saggistica storica, ammesso che sian stati da noi ben metabolizzati i materiali forniti dai libri di scuola, ed ammesso infine che i programmi scolastici del nostro tempo siano riusciti ad includere anche gli eventi più freschi o almeno oltrepassanti la soglia temporale di (eventuali) racconti dei nostri genitori. Cosa che, come si sa, colpevolmente non è. Colpevole lacuna dell'istruzione nazionale, intendo. Cui non bastano, per essere riparata, le commemorazioni anniversarie, sempre rischianti retorica da un lato e veterocontestazioni strumentali dall'altro. E poi il vantaggio che la macchina da presa ha sulla stampa rilegata è quello di saperci imporre forme e reazioni di un orrore e un rigetto ai quali quest'ultima, più adatta anche se non sempre a farci ragionare, lascia spessissimo spiragli alternativi, non solo d'opinione ma anche d'interpretazione.

Insomma, una cosa è sapere che il ministro della Propaganda del Terzo Reich Goebbels e sua moglie uccisero i loro sei figli adolescenti e bambini prima di eliminare anche se stessi sull'esempio del loro dio in terra («Continuare a vivere in una Germania non più nazionalsocialista è inconcepibile») e una cosa è assistere all'introduzione nelle bocche di quest'unico maschio e delle cinque femmine di una capsula di cianuro, previo sonnifero, prima di spararsi impassibilmente una di fronte all'altro una pistolettata in fronte, e d'averci fatto ascoltare conversazioni preparatorie, e la stesura d'un testamento, allucinanti fino a dare persino al tragico i lineamenti del grottesco. E che sempre in quel bunker dove per prima si era nello stesso modo fatta uccidere consenziente Eva Braun da Hitler, sposata da lui il giorno avanti e che subito dopo rivolse l'arma contro di sè, altri ufficiali e gerarchi ne imitarono il gesto. Un po' per la proibizione giurata dell'arrendersi e un po' nell'esaltazione di compiere un gesto da samurai sconfitti che però non conteneva, a loro differenza, nulla della dignitosa trascendenza religiosa di esso. Ciò infatti ci consente di percepire una misura di fanatismo maturata in un momento culturalmente preciso, anche se eccezionale, proprio nel pieno di quell'Europa dove i generali, napoleonici o prussiani che fossero, quando battuti, si limitavano a spezzare sul ginocchio la lama della propria sciabola prima di consegnarla al vincitore. E dove la stessa fine di Mussolini e della Petacci è contemporaneamente più vile e più romantica di quella di Adolf ed Eva.

Misurare a confronto il fanatismo ideologico o religioso che sia, e le sue motivazioni, meccanismi e traguardi, è, poiché il fanatismo è costantemente messaggio, importantissimo in un momento storico in cui esso è nuovamente presente alla ribalta in altre forme. I kamikaze islamici sì che somigliano di più a quelli giapponesi da cui hanno preso il nome e che si buttavano con i loro aerei in picchiata sui ponti delle navi da guerra americane per affondarle. Si tratta di un suicidio aggressivo, infatti, non "d'onore" vero o presunto oppure autopunitivo. Per sostenere insomma con arma efficacemente scioccante e produttrice di strage una causa non sconfitta o fallita ma ancora viva e durevole, al di là dell'essere giusta o sbagliata, inaccettabile ovvero fornita di ragioni in qualche modo riconoscibili. E nell'indifferenza però delle innocenti vite civili che ne vengono coinvolte e soppresse. Indifferenza appartenuta del resto anche ai bombardamenti su Berlino allora, o di Belgrado pochi anni fa, o di Baghdad adesso. Per non parlare di Hiroshima e Nagasaki, contraltari perfette dell'Olocausto ebraico se non nel numero di vittime nel significato preciso di soluzione finale. Vedete un po' le dimensioni che ha l'immenso mea culpa da cui nessuno può in Occidente con onestà chiamarsi fuori.

Le bombe che cadono nel film su Berlino, distruggendo caseggiati chiese e monumenti e uccidendo anche donne e bambini, sono il corrispettivo dei missili V1 e V2 lanciati a pioggia su Londra negli anni Quaranta e di quelle gettate a distuggere le strutture civili - condutture e ponti - di Belgrado in tempi più recenti. E' la guerra che è questo, lo è in sè, ed è la mia età ed il luogo dove sono nato che mi ci han fatto passare attraverso.

Fino al 1945, quando le sirene del cessato allarme aereo urlavano dopo la mezzanotte l'indomani eravamo esentati dall'andare a scuola, supposte le ore notturne passate nelle cantine o nei "rifugi". In cambio, oltre al quaderno a righe per l'italiano e quello a quadretti per la matematica, ne avevamo uno a pagine bianche, che veniva periodicamente ritirato per visionare da parte dei responsabili scolastici i disegni colorati e gli slogan con cui dovevamo riempirle. Si chiamava «Quaderno Unitario» e ci si dovevano tracciare con fantasia, settimanalmente, simboli littorii e stemmi regi, icone antibritanniche e ricordi di episodi eroici, figure esaltanti prima l'Asse Roma-Berlino e poi il Patto Tripartito Germania-Italia-Giappone. Non sono "intelligenti" le bombe d'aereo adesso, e figuriamoci allora: il fratello di mio nonno e sua moglie morirono schiacciati sotto le macerie del loro palazzo condominiale, che certo obiettivo militare non era, in una notte infernale. Una delle loro figlie invece, cugina di mia madre e che io chiamavo zia, fu fucilata sull'orlo di una foiba carsica perché, professoressa di tedesco, faceva traduzioni anche per la Kommandatur germanica. Lo fecero i partigiani slavi del IX Korpus orribilmente ritenendo di vendicare così gli eccidi che ufficiali in camicia nera - uno di essi era un altro parente, stavolta fratello di mia nonna - avevano ordinato lungo i due anni precedenti nei villaggi istriani occupati dalle SS e dai fascisti di Salò. Questa è la guerra, ed è così ogni volta, ricordiamocelo sempre. Chiunque sia a dichiararla e condurla. I numeri insanguinati sono altissimi, non scherziamo, anche se io ho richiamato solo quelli della memoria famigliare del quindicenne attonito che allora ero.

Il messaggio che questo film ci comunica è appunto un messaggio di ricollegamento alla memoria. Nell'aprile-maggio del 1945 i russi arrivarono a Berlino prima degli americani e gli jugoslavi prima degli americani a Trieste. A Yalta Churchill, Roosevelt e Stalin si erano già divisi l'Europa tracciando una linea su una carta, e fu passando in obbedienza a ciò per quelle due città che scòrse, dal Baltico all'Adriatico, la quarantennale "Cortina di Ferro». Il territorio di Trieste fu diviso in Zona A e Zona B e a Berlino fu eretto un muro che la spaccava a metà. I nuovi antagonisti avevano ora come capitali Washington e Mosca. Poi l'impero dell'Est è collassato ricostituendosi solo gradualmente in altra forma e quello dell'Ovest si è cacciato in un folle ginepraio. A Krusciòv non era riuscito il tentativo di istallare basi missilistiche a Cuba scavalcando l'Atlantico e a Breznièv non era riuscito di prendersi militarmente l'Afghanistan portando così l'URSS a incunearsi fra Medioriente e subcontinente indiano. Ma a Bush II è riuscito invece di occupare sia Afghanistan che Iraq insediandovi fantocci, e perfino di avere adesso influenza in area caucasica ribelle al Kremlino. Il Sacro Romano Impero aveva bisogno della benedizione papale ma da almeno un secolo in qua è il petrolio che fa da calamita al potere ed è il suo controllo che conferisce non rinunciabile unzione alla sua presunta legittimità di fatto.

Dopo la "guerra fredda" e i suoi congelanti stalli adesso gli equilibri del mondo sono insomma di nuovo precari come lo erano diventati dopo il consumarsi dell'ordine istaurato nel '19 a Versailles che costruì nuovi Stati con forbici e colla, e sia l'integralismo da crociata degli Stati Uniti che il fondamentalismo islamico sono da tempo, e oggi più che mai, intenti al pericolosissimo gioco dell'uovo e della gallina. Mentre sull'esempio hitleriano le grandi potenze momentaneamente arbitre hanno allestito (non si sa mai) quartiergenerali in bunker sotterranei anch'esse. Ci sono Stati completamente inaffidabili che possiedono l'arma nucleare o la stanno mettendo a punto, e all'orizzonte ci sono due miliardi e mezzo di cinesi e indiani il cui potenziale economico cresce a vista d'occhio minacciosamente, anche se con pieno diritto, ogni anno, mentre il più delle risorse energetiche mondiali essenziali per l'Occidente in Occidente non sono. E a questo punto occorre chiedersi, proprio ricordando quel bunker di Berlino, se alcune megalomanìe attuali e alcuni desideri di controllo unilaterale del mondo mascherati da ipocrite canzoni sull'esportazione di democrazia (di che tipo? e ad ogni modo solo formale e senza corrispondere a realtà) non vadano segnalati fin d'ora a viva voce, pieni polmoni e in tempo e, se la ci si fa, sventati e neutralizzati. Scavalcando, naturalmente, l'informazione ufficiale, tanto artatamente rosa da fare schifo. Oltre che paura, autentica questa, che possa essere, da parte più sprovveduta ma non per questo non incidente della gente, ritenuta attendibile.