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Categoria: Secolo postmoderno

 

L'ordinario rapporto comunicativo con le banche presso cui abbiamo conto corrente consiste soprattutto nel tramite d'estratto-conto; esse ce lo inviano mensilmente o trimestralmente a domicilio facendoci pagare il francobollo. E non è motivo mai di allegria arrivare alle ultime righe, dove si evidenzia lo sbalanco abissale che c'è fra le indicazioni del tasso attivo e di quello passivo come al cliente attualmente si presentano. TG e giornali ci ripetono quotidianamente che l'economia va male, i conti nazionali sono in dissesto e l'Europa ce ne rimprovera continuamente; e che aumentano tutti i prezzi, il portafoglio delle famiglie è in sofferenza, si estende il precariato del lavoro. Solo il capo del nostro governo tiene la testa voltata dall'altro lato come se guardasse le meraviglie del paese di Alice e continua a declamare che tutto va bene, non risvegliandosi neanche se, come è appena successo, l'elettorato, cui si son riempite le scatole, gli ritira i voti. E, su questo sfondo, cosa fanno le banche?

Guardatevi in giro. Non c'è istituto di credito che non abbia commissionato campagne di manifesti murali, di spot televisivi e di pagine patinate sui magazines per trasmetterci una serie di messaggi che più color rosa confetto di così proprio non si può. Veniamo da essi corteggiati come se fossero tanti spasimanti che si presentano alle donzelle con in mano un bouquet floreale e sulle labbra la proposta di uscire stasera con loro. Qualcuno è melenso, qualcuno trasuda doppiezza, qualcuno appare anche francamente ridicolo. Ce l'avete presente quello di un grande istituto siciliano che dice a grandi lettere, mostrando una tenera coppietta, «Il primo mutuo non si scorda mai?». Commovente appunto come la melodìa di quella «signorinella pallida, dolce dirimpettaia al primo piano...» che solo chi ha la mia età ricorda ancora in mezzo a tanto rock. E come si può effettivamente scordare, scusate, se dura vent'anni, 'sto mutuo, e alla fine tra una cosa e l'altra quell'appartamento sarà costato il doppio? Non è stato mica sentimentalismo, ma bisogno e contabilità, a farcelo stipulare, perbacco.

La massa dei cittadini viene bombardata da un tipo di neo-comunicazione bancaria la quale più che di seduzione porta le stìmmate dell'adescamento (peraltro un cànone che la pubblicità stampata e televisiva è venuta rendendo via via abbastanza comune). Sentite questo slogan, che echeggia in uno spot: «La nostra banca è costruita intorno a te». Intorno a me? E in effetti la profluvie concorrenziale di questo tipo di messaggi è tale da farci sentire appunto circondati: gli istituti di credito stanno sgomitando come pazzi fra di loro per farci «ghiri ghiri» sotto il mento ad occhietti dolci e mettersi in cattivante primo piano presso di noi. La banca che ha ordinato questo spot è quella del Cavaliere che ci fa attualmente da premier, e richiama appunto la personalità di uno che ormai ce lo troviamo con petulanza proprio da tutti i lati, perfino quelli più impensabili.

Ma non è la sola. Ce n'è un'altra e importantissima di queste banche da cui ti sfreccia continuamente addosso questo tormentone: «Un agente delle Generali ti è sempre vicino». Oddìo che incubo: viene da voltarsi indietro ad ogni passo per individuarlo fra i pedoni che ci son più dappresso. Bèh, sì, sarà quel sorridente lì che ha in una mano un modulo e una penna già scapucciata nell'altra. Ha anche le ali, come un angelo custode, vedi? E come vi pare il biglietto da visita di quest'altro colosso finanziario, che gestisce in Italia anche parecchie esattorie? E' concepita così, la descrizione di se stesso: «Siamo una banca nella quale per noi le persone contano più dei numeri». Ma davvero? Esiste al mondo una banca dove i numeri possano essere in sottordine a qualcos'altro? C'è proprio una disfrazione concettuale, in questo, che nessuna struttura la cui esistenza si fonda sul profitto potrebbe ad alcun costo permettersi.

Ancora (un altro istituto nazionale) : «Vuoi casa? Tu metti il 5%, il resto lo mettiamo noi». Che sottigliezza lessical-psicologica non dire «te lo prestiamo noi», anche se si sa che è così e che non saranno interessi da scherzarci. Ma il linguaggio della pubblicità è di carezze che dev'esser fatto, se no non funziona. Anche se c'e un altro big del settore che un po' più brutalmente esclama, sia in video che in carta: «Hai bisogno di contanti? Eccoci». Ma è un po' come con le donne: ce ne son tante che preferiscono il tipo più macho. Insomma, è istruttivo sotto il profilo del costume mediatico farsi un giro in centro a guardare cosa c'è per ora esposto nelle vetrine delle filiali e delle agenzie bancarie, che vi sono abbastanza fitte, oltre che negli spot che a casa ci interrompono il film. Ci si propongono come mamme pronte a porgerci il seno, nonni affettuosissimi e accudenti, maggiordomi al nostro totale servizio, amici da pàcca sulla spalla e via. Vuoi vedere che si sono tutte d'un colpo malate di filantropìa? Anche se vien difficile pensare che un filantropo possa mettersi a fare proprio il banchiere invece del medico condotto o del seguace di Robin Hood.

Le banche, ma anche le compagnie di assicurazioni e le finanziarie che gestiscono fondi d'investimento - tre forme peraltro spesso intrecciate in unica mandanza - non è un mistero che fondamentalmente costituiscano "cartello". Se non fra i rispettivi consigli d'amministrazione (infatti ogni tanto una ne inghiotte un'altra e ne fa bolo intestinale unico) certo di fronte all'utenza sì, al momento di regolare poste tariffarie. C'è qualche assicuratrice che abbia rinunciato ad aumentarvi la polizza auto o non l'abbia fatto poco più o poco meno nella misura di tutte le altre? E c'è qualche banca che vi paghi oramai gli interessi attivi a un livello che grottescamente non sia da miseria? Magari se depositate presso di questa il provento di un "sei" al Superenalotto un tasso decente lo spunterete, ma i Paperoni da noi son davvero pochissimi. Io ho due conti correnti in due banche diverse e una me lo remunera con l'1 virgola 04% e l'altra con lo 0 virgola 00 e non ricordo quali due altre buffe cifroline dopo. E' stato un piano inclinato che fra poco, poiché scendi scendi ormai allo zero assoluto manca poco, sarai tu che pagherai un tantum mensile a loro per il servizio che ti rendono custodendoti i tuoi soldi. E questa prospettiva non si peritano neanche di nasconderla. Eppure io mi ricordo ancora di quando in banca il mio conto corrente (un conto normale, alimentato cioè di solo stipendio anche se entro il mese non lo consumavo mai tutto) mi rendeva il 14% annuo. E ogni estate era con quei soldi lì che imbarcavo moglie e figli in auto per farci quaranta giorni di vacanza in giro. Cosa è dunque mai successo da allora per indurre un cambiamento così?

In sostanza niente: pure allora le banche ci guadagnavano, perché pure allora i nostri soldi li investivano e il ricavato, anche se il grosso restava a loro, lo ripartivano però in qualche modo con coloro che tenevano i propri soldi nelle loro casse. E allora? Allora l'operazione ha davvero dell'esemplare e quel barbone di Carlo Marx ci avrebbe potuto scriver sopra un altro ponderoso saggio a quattro mani col suo ideologico partner Engels. Dandoli alla banca, oltre che a stare più tranquillo che conservandoli sotto il materasso, anch'io a mia volta in effetti investivo. E se il conto corrente oggi come oggi un investimento non lo è più, anzi fa ridere (tragicamente) che lo possa essere, una ragione pure ci sarà.

E la ragione è questa. In economia - quella cosiddetta capitalista - anche il danaro ha un costo (Bettino Craxi, per giustificare Tangentopoli, diceva che ha un costo anche la politica). Che per le banche - per la politica invece ci pensavano i mazzettieri - viene regolato periodicamente dalla centrale Banca d'Italia a seconda di come risulta messo, nella sua mobilità, il mercato monetario. Essendo ormai da decenni prevalsa una tendenza inflattiva nel valore del denaro, a un punto o mezzo punto alla volta la remunerazione che devi dare per quello che ti vien prestato è salita in parallelo col progressivo taglio di quel valore. Ma questi sono i cosiddetti interessi passivi, oggi alzatisi via via ad un livello enorme che può anche sforare il 20% (controllabile con facilità sui vostri estratti-conto). Le banche però hanno applicato lo stesso meccanismo, ma inversamente, anche all'istituto degli interessi attivi, cioé quelli che spettano a chi è che i soldi li affida. E cosa sono i nostri conti correnti - l'assurdo della disparità è proprio questo - se non soldi che siamo noi, sotto questa forma, a prestare alle banche? E che, come tali, è per la banca che dovrebbero mantenere la figura di interessi passivi, così come avviene per i soldi che è essa, quando lo fa, a prestare a noi, avendoli in questo caso come interessi attivi per sé. Due pesi dunque, e due misure, a seconda di qual è la direzione in cui il denaro attraversa lo sportello. Occorre commentare?

Nel corso degli anni la gente, trovando pertanto sempre meno conveniente tenere i propri risparmi depositati in un conto bancario, aveva cominciato a comprare invece Buoni Ordinari del Tesoro. La ricordate l'èra dei BOT? Era sempre la tua banca che te li gestiva ma ti fruttavano ogni anno fra il 9 e il 10%, cioè circa il doppio di quel che questa stessa banca era, calando a poco a poco, arrivata a darti direttamente lei d'interesse attivo per i tuoi depositi. Poi anche i BOT son passati pian piano per identiche forche caudine e adesso anche quel rendimento lì è diventato solo di qualche punto sparuto. Ma ecco nascere, tempestivamente, i cosiddetti Fondi di Investimento, detti comunemente Fondi Gestione (dei tuoi risparmi). Anche dietro questi, beninteso, ci sono cartelli bancari, o banche singole, o comunque in banche si trasformano. Rastrellano appunto risparmi (avanzi di stipendio, "castelletti" di pensionati, accantonamenti di attività commerciali od artigiane minori), frutti di alienazioni immobiliari, di vendita d'altri beni familiari, oppure di eredità e di vincite, e li investono, per loro e tuo conto insieme, sul mercato azionario, anche in direzione di imprese multinazionali e di joint-ventures. Così l'ex singolo investitore privato in deposito di c/c a sé intestato e che poteva ritirare in ogni momento per trasformarlo in liquidità propria (i BOT conveniva vincolarli almeno per un anno, e nei fondi di gestione è facile entrare ma qualche volta difficile l'uscirne) è diventato adesso uno "scommettitore assistito" - poiché è nata anche la figura del "promotore finanziario" che, pagato a provvigione da questi istituti, appunto ti assiste, se vuoi - il quale segue col cardiopalma, assistito che sia o no, gli sbalzi quotidiani di Borsa; e non riceve più, periodicamente, semplici estratti-conto bensì rendiconti delle plusvalenze e delle minusvalenze che ti si sono verificate, e a seconda dei quali esulti o ti disperi, stappi champagne per brindare o ti strappi i capelli pensando al suicidio. Conosco persone incorse sia nell'uno che nell'altro di questi casi.

Dicevo prima che non è cambiato nulla, nei meccanismi bancari e nella loro filosofia (e dai Fugger sino ad oggi, vorrei restasse sottolineato: una banca è sempre stata una banca, per finalità e struttura), ma che si è semplicemente compiuta, lento pede ma con lungimirante sagacia, un'operazione alla fine da considerare, se la guardiamo dall'altra parte, brillantissima: le banche hanno sempre fatto investimenti (e se no come vivrebbero?) ma sono alla fine riuscite (cosa volere meglio di così?), col percorso c/c-BOT-Fondi, a spostare il rischio d'impresa da se stesse alla propria clientela. E senza che essa neppure sia, come facevano loro prima, in grado di governarlo da sé. Insomma - io lo dico sempre - il povero Marx che sul proletariato le sbagliò tutte ma proprio tutte, e anche con conseguenze gravi, sul capitalismo e sulle sue ottiche stravolgenti fu invece, e lo si può dire oggi come non mai, analista e profeta lucidissimo.

Ci rivolgiamo sì alla banca quando abbiamo bisogno di un prestito per dotarci di un tetto o affrontare un costosissimo intervento chirurgico che può salvarci la vita, ma lo facciamo perché non c'è altra strada. E non abbiamo dunque bisogno alcuno di manifesti coccolanti e di calamite ipocrite che vorrebbero con siffatta insistenza poterci prestare ancora più soldi, cioè investire ulteriormente su di noi; anche persuadendoci che è cosa talmente facile e non granché costosa (?) da valer la pena di contrarre con loro debito anche per futilità. Lo fanno da tempo i fabbricanti di automobili, che ci mitragliano via tv con esposizione di vetture conclamate come sempre più succulentemente meravigliose (ma, attenzione, sempre meno durature). Anche le banche sono motori di qualcosa e, per inciso, oggi sono proprio loro le padrone della FIAT, però non è proprio carino, ed anzi infastidente, questo nuovo e mediatico modo di farci sentire il loro fiato sul collo come se fosse - ma che teatrino - alito dolcemente altruista di benevole fatine che trasformano una zucca in un cocchio. Ci sono già il Mulino Bianco e le altre big-business dell'alimentazione infantile e adolescente di tipo taylorista ad aver privato i bambini di oggi, sostituendolo non certo in meglio, e sotto ogni profilo, di quel salutare e fresco ovetto sbattuto che era la mattiniera quotidiana manna delle generazioni precedenti. E anche questa è postmodernità.