Se la parola «comunicazione» ha un senso, ne è venuta verifica, e clamorosa, negli anni più intensi del pontificato e nei giorni approssimanti la morte di quell'uomo vestito di bianco che invece di starsene seduto in Vaticano come i suoi predecessori ha percorso il mondo in aeroplano per creare contatto diretto fra le idee di cui era portatore e folle immense d'ogni continente. Pur essendo stato certamente uno dei personaggi pubblici più televisivi, con appuntamenti sempre più frequenti e finiti con l'essere prima quasi quotidiani e da ultimo quotidiani in video, egli non s'è mai contentato delle tecnologìe, pur così abitualmente ormai diffuse, per incontrare la gente, ma ha sempre cercato con le masse, non solo di fedeli ma indistinte e tuttavia pronte alla corresponsione, contatti di persona, presenzialmente fisici cioè, rivelatisi molto più elettricamente carismatici di quelli veicolati dalle telecamere. Non è forse uno share più eloquente quello di avere centinaia di migliaia di persone ad ascoltarti dal vivo, assommando una tappa dopo l'altra milioni e milioni? Fra i più prestigiosi leaders annoverati dal Novecento il posto che manterrà Karol Wojtyla è per molti versi luccicante e, detto questo da un non credente come io sono, penso possa aver pure il suo non emotivo ma razionale valore.

Perché è stato sì un fermo sostenitore di valori chiesastici antichi, sostenendo per esempio l'illiceità del divorzio, dell'aborto, della procreazione assistita, in quanto erede del vicariato di Cristo e dei suoi dettàmi, ma (pur restando l'uomo terreno che, sciatore, andava in montagna con Pertini e s'era fatto costruire una piscina in Vaticano) non si è limitato ad essere pastore d'anime ed ha invece assunto anche i connotati di un grande e positivo conduttore di politica su scala internazionale. Quando si rivolge vibrando il braccio in su e con voce tonante alla mafia - che non è più da tempo solo un fenomento siciliano ma un potentissimo sovrastato multinazionale - profferendo quella sua frustata «Il giorno del giudizio, sappiatelo, ci sarà! Pentitevi prima!». O quando si indirizza direttamente al presidente americano Bush esclamando dal suo scranno, dito pnntato, «La guerra è Satana!» a proposito dell'Iraq (avesse osato Pio XII Pacelli a fare qualcosa del genere con Hitler...). Quando ripetutamente si pronuncia contro la pena di morte applicata anche in Stati che si reputano civili. Quando spinge il suo ecumenismo ad essere il primo pontefice romano a mettere piede in una sinagoga, a entrare nella più storica delle cattedrali anglicane, chiesa il cui capo è ancora oggi una regina, a recarsi a baciare il «Muro del Pianto» di Gerusalemme chiedendo perdono per quella chiesa da lui stesso rappresentata. Quando prima si reca a Cuba domandando agli USA la fine di quell'embargo economico che soffoca una popolazione e poi riceve Fidel Castro in San Pietro. Quando si reca ad essere voce aperta nel Parlamento Italiano e all'assembela dell'ONU. Quando si sforza, nel suo sogno non potuto coronare, di essere visitatore ed ospite colloquiante anche a Mosca e a Pechino.

Come sarà difficile proseguirlo ed eguagliarlo, lo ammettono tutti, cardinali compresi, per chi il già indetto Conclave eleggerà dopo di lui. Che era polacco ed era stato operaio, proveniente da quel più esteso Paese del Nordest d'Europa che più di tutti aveva conosciuto gli orrori del nazismo razzista, che due guerre mondiali avevano mutilato, cui solo le prudenti saggezze di un Gomulka e in seguito di un Jaruzelsky più ancora avevano poi risparmiato le spietatezze e le cruenze post-staliniane vissute dagli altri Paesi dell'ex blocco sovietico. Quanta esperienza lì ed allora maturata, anche in clandestinità, ha potuto e saputo trasfondere in questi ultimi anni di un cristianesimo governato da lui. E quanta di essa sarà dal prossimo Papa, di cui ancora non conosciamo né il nome né il passato, ereditabile nella misura che dobbiamo augurarci?

Di quel paio di centinaia di pontefici che si sono succeduti per oltre due millenni a quel soglio noi molto pochi, ed è anche naturale, ne abbiamo presenti. Parte soltanto per via scolastica e parte anche più piccola per vissuto. Qualcuno anche per virtù negative, come Celestino V definito «vile» dall'Alighieri o quel Borgia lussurioso e venale che solo Macchiavelli poteva perdonare, o tutti quelli che indissero Crociate da macellai in Terrasanta o autorizzarono tortura e morir bruciati per gli eretici o sospetti tali. Altri per qualità diverse e taluna egregia. Gregorio XIII che rimise ordine nel calendario sforato da Giulio Cesare, cancellando audacemente dallo scorrere del tempo i dieci giorni che avanzavano. Giulio II uomo di spada e coltivatore di ingegni, senza sostegno del quale non avremmo posseduto tante opere di Leonardo, Michelangelo, Bramante e non solo. Pio IX che concesse lo Statuto, trascinando su questo esempio altri regnanti e salvando così l'Europa da altri moti sanguinosi. Giovanni XXIII, che si ricordò essere da qualche secolo che la Chiesa non indiceva un Concilio e la rimise così su molte questioni al passo con i tempi. Predecessore di Wojtyla fu un papa-meteora, Giovanni Paolo I Luciani, che - smentendo il detto «ad ogni morte di Papa» - durò solo pochi mesi e il cui decesso restò misterioso e avvolto in sospetti. Di lui si rircorda più che altro l'aver enunciato la non chiara metafora che «Dio non è padre bensì mamma».

Ora è giunto sipario, con un'agonìa lunga e straziante che il mondo ha vissuto praticamente in diretta TV, anche per il pontificato di Giovanni Paolo II Woityla, papa ecumenico e non più scomunicatore (due evidenti accezioni, per questa parola, una attinente al diritto canonico e l'altra alla concettualità mediatica). La forza comunicativa da lui saputa esercitare è sempre stata tale che egli è stato anche temuto. La chiesa ortodossa russa, la cui storia contemporaneamente affonda in una cultura contadina quindi molto attraibile dalla popolarità ma che è anche stata impregnata di autocratismo di tipo zarista, è per timore e non per alterità di fede che gli ha ricusato invito. La freddezza nei suoi confronti della Casa Bianca, così spesso da lui rimproverata, ha avuto più occasioni per manifestarsi anche se Bush ha annunciato che ai funerali ci sarà. La Cina, potenza mondiale impetuosamente emergente anche sul fronte dell'economìa, incita le masse all'accettazione del capitalismo, ma la continuità di un potere centralizzato che nasce dal Celeste Impero, passa attraverso Mao e prosegue imperterrita tutt'oggi mal sopportava l'eventuale idea di una Tien-An-Men che, come in altre parti del mondo, si potesse riempire anch'essa di folla entusiasmabile da qualcun altro. E mandanti ancora oggi abbastanza occulti gli hanno persino fatto sparare, ferendolo gravemente, nel tentativo di interromperlo.

Ma quale altra manifestazione di comunicazione, comunicazione di massa, può superare quella di questi ultimi suoi giorni? Certo, lo sono state anche tutte le altre che han visto folle immense accorrere al richiamo della sua presenza in tutti i Paesi del mondo da lui visitati. e sempre nella vastità di luoghi aperti perché non c'era salone, basilica o teatro in nessun posto che fosse tanto ampio e capace. Ma Piazza San Pietro fitta di folla giorno e notte a vegliare le sofferenze di questa agonìa per tutta la sua durata, con gli sguardi fissi sulle uniche due finestre dei palazzi vaticani sempre illuminate e dietro le quali il trono si era trasformato in un letto di dolore e un lenzuolo si accingeva a diventare sudario, questo è un esempio di comunicazione eccezionale e senza precedenti. Soltanto uno stadio durante um derby mondiale o una performance di popstar della musica s'era potuto finora riempire sino al limite in modo spontaneo (lasciamo stare, infatti, le "adunate" comandate dai dittatori), solo che il fluido bidirezionale che stavolta correva fra una scena e una platea e viceversa non era fatto d'emozione agonistica o di partecipazione sensoria ma era con tutta evidenza fatto solo d'amore, di reciproca gratitudine e di pietà.

Stabilire comunicazione umana così vasta ed autentica è molto difficile, oggi, nonostante il nostro mondo sia ormai costruito essenzialmente con chips di silicio e maglie strettissime di impulsi elettromagnetici. Scriveva recentemente Vincenzo Consolo che la corrente di comunicazione che si stabilisce fra «Il sorriso dell'ignoto marinaio» di Antonello da Messina e chi lo guarda è talmente netta, immediata e comprensibile, ancorché quasi beffardamente misteriosa, da dimostrare - interpreto così - come la tecnologìa più facilmente ottunda, pur fingendo chiarezza, col diminuire corde al nostro archetto, sostituite da automatismi, e lasci fatalmente il primato all'arte anche se non tutti se ne accorgono. Pure quel papa morente e tutto quel popolo si sono a lungo proprio guardati, e capiti, in questo tempo prima che il suo respiro fosse l'ultimo. Non si comunica mai unilateralmente. Non esistono comunicatori se non scambievoli. Comunicazione è solo questo. Diversamente da quel che si tenta di farci imparare per ora da Silicon Valley e da molte altre cattedre. Che magari ufficialmente ammettono la comunicazione sia qualcosa di au pair, ma sotto sotto invece...