Secolo Postmoderno è stata una rubrica pubblicata tra il 2001 e il 2006 sul periodico telematico ateneonline-aol.it della Scuola di Giornalismo professionale dell'Università degli studi di Palermo

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"Oh, sì, L'ORA!". Può essere che un piccolo giornale che si pubblicava nella Sicilia Occidentale abbia un nome conosciuto dappertutto non perchè c'era ma per gli eventi giornalistici che provocava e la cui eco oltrepassava più d'una volta anche i confini nazionali? Può essere che questo piccolo giornale scrivesse continuamente cronache di realtà locale capaci di fare assassinare dei suoi giornalisti, farne processare degli altri come fossero incallitamente dediti a presunta diffamazione, farsi diroccare dal tritolo un pezzo di tipografia? Che a un paio dei suoi direttori fosse nel tempo imposta una cautelarmente protettiva scorta di poliziotti? Può essere che la sua giovanissima squadra di cronaca, venti e più anni dopo aver appreso questo mestiere proprio in quel palazzetto di Piazza Ungheria a Palermo, sia oggi e non per caso quasi tutta sparsa per l'Italia a dirigere quotidiani importanti o ad esserne redattore capo o editorialista o inviato speciale o corrispondente da capitali estere? Può essere che questo piccolo quotidiano abbia adottato quaggiù, nei contenuti e nella veste, tematiche e modi e tipi d'intervento cavalcando innovazione e fantasia quando gli altri ancora nuotavano nel loro grigio? Beh, sì che può essere e questa fu un'esplosione dalle caratteristiche eccezionali che durò due decenni e qualcosa in più, che ebbe clou fra gli anni '50 e '70 e porta un nome, quello del suo direttore-leggenda, Vittorio Nisticò, che anche quando smise di esserlo era lo stesso - e per lungo tempo - come se ci fosse ancora.
Nisticò ora ha raccolto in libro l'esperienza sua e del collettivo da lui guidato. Un'esperienza entusiasmante e di giornalismo alto, con ruolo protagonistico nella comunità regionale. L'ha pubblicato Sellerio e sono due volumi (uno di inquadramento, fotografie e apparato cronologico e uno che raccoglie un centinaio e mezzo dei suoi "fondi" di prima pagina: un ventennio circa di incandescente storia siciliana, e non solo): "Accadeva in Sicilia - Gli anni ruggenti de L'ORA di Palermo". E perchè dedico ad esso la rubrica questa settimana? Perchè il nostro Ateneo ha un corso di laurea in giornalismo e perchè questo è dunque un buon testo per i suoi studenti. Dieci anni fa, e quindi già con ottica "storica" rispetto al periodo cui ci si riferisce, il più grosso ed antico quotidiano di Roma, "Il Messaggero", commentando l'assegnazione dell'ambìto premio Pulitzer a un piccolo quotidiano americano di provincia, scrisse che se esistesse in Italia un prestigioso premio del genere, questo già nel 1958 avrebbe dovuto essere assegnato al palermitano L'ORA.
Era l'anno della sua prima grande inchiesta sulla mafia, inchiesta squarciaveli su un fenomeno sanguinoso e inquinatore della politica e dell'economia il cui nome era finallora impronunciato e da cui anzi istituzioni e media si tenevano alla larga giungendo pure a negarne l'esistenza. La risposta fu una bomba collocata di notte fra redazione e tipografia, la reazione fu ("La mafia ci minaccia, l'inchiesta continua") l'immediata ripubblicazione in inserto anche di tutte le puntate precedenti. E ne comportò un'altra ("Ci voleva quest'attentato per capire che la mafia c'è", dichiarazione del presidente della Repubblica Saragat), cioè il via della commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia, che diventò poi permanente e che da qualche parte si vorrebbe ora spegnere. E lo si voleva peraltro già quand'era in fasce: al suo disegno di legge istitutivo, primo firmatario Sandro Pertini, si opposero in aula, inutilmente, i deputati e senatori siciliani della Democrazia Cristiana, tutti nomi illustrissimi, che la reputarono "inutile, offensiva e (addirittura) incostituzionale". Senza L'ORA di Nisticò quella commissione non l'avremmo avuta.
Il suo L'ORA comunque non fu solo questo, e chi non ha oggi l'età sufficiente a possederne ricordo diretto può ritrovare nelle circa settecento pagine di questi due volumi il suo grande interesse per i fatti non solo della politica (creando opinione e movimento d'opinione che portò per esempio, sempre in quel periodo, alla estromissione della DC dal governo della Regione e alla rivolta milazziana che la sostituì: ricordiamocelo, Silvio Milazzo, ora che si fa tanto gran parlare di federalismo che allora si chiamava Autonomia) e dell'economia (riforma agraria, industrializzazione dell'Isola, partecipazioni pubbliche) ma anche del costume e dello spettacolo, e di tutti quei temi più leggeri ma tutt'altro che futili che la gente pur ha come gratificanti. L'ORA di quegli anni ha infatti avuto non solo cronisti poeti (Mario Farinella) e cronisti investigatori (Mauro de Mauro) ma anche cronisti cantastorie (Salvo Licata) e cronisti attori (Gabriello Montemagno). E poi la cultura: è dalle pagine de L'ORA che passavano le firme di Leonardo Sciascia e di Vincenzo Consolo, di Michele Perriera e di Gioacchino Lanza Tomasi anche prima di conquistare tutto il peso che hanno successivamente meritato. Ma vi passavano anche matite e pennelli: Renato Guttuso e Bruno Caruso vi erano di casa. E in quante case stanno oggi in scaffale libri traboccanti impegno civile e scrittura affascinante per la penna di Giuliana Saladino e di Mario Genco, già giornalisti di punta di quest'ORA che fu (ma che resta).
Marcello Cimino, Mario Farinella, Aldo Costa: tre nomi di giornalisti che sarebbe sommamente ingiusto non comparissero qui insieme, e motivatamente, prima che lo spazio destinato a questa rubrica si esaurisca: perchè dell' ORA ruggente di quegli anni sono state zampate forti - e il libro lo mette in rilievo - proprio i loro servizi, inchieste, corsivi. Anche quello di chi la scrive ha spazio nell'indice dei nomi che chiude questi due volumi. Anche lui ha infatti lungamente avuto ruoli in quel giornale, e ne è stato con infinitamente minor merito direttore dopo Nisticò, ma ciò che per lui qui davvero conta è solo ricordare oggi quale fortunata occasione della sua vita sia stata quella che gli ha permesso di partecipare e di collaborare con Vittorio Nisticò e tutti loro alla fattura di un prodotto-giornale dalle ali così forti e spiegate.