Non so se esiste a oggi qualcosa in merito di già formalizzato, ma ne esistono delle bozze documentali e gli organi accademici ne discutono in tutta Italia come punto importante ed urgente al loro ordine del giorno. A qualcuno di questi dibattiti ho partecipato anch'io (con la pelle d'oca, devo aggiungere). Sarà magari perché sono un giornalista che ha un contratto di docenza e dunque ho un'ottica diversa da quella di un docente strutturato in carriera, ma sento delle cose che mi sembrano, a meno di non essere io una specie di alieno, davvero metalogiche. Sto parlando, naturalmente, della laurea (il nome, ma quello solo, le è stato mantenuto) cosiddetta triennale. La quale, essendo appunto arrivato tale corso di studi al termine del proprio terzo anno dopo la riforma, necessita ora, sia pure così tardivamente, di un apposito regolamento.
Ripeto che non mi pare ci sia ancora nulla di consolidato con timbri e sigilli, ma i punti su cui verte attualmente dibattito e che registrano proclività di accettazione pressoché generale sono i seguenti: quanti CFU vale tale finale e definitiva prova; che caratteristiche differenzianti debba avere la tesi rispetto a quelle che si presentavano secondo l'ordinamento precedente; quali i parametri del punteggio ad essa attribuibile. Da Università ad Università si possono registrare diverse sfumature di criterio, ma il traguardo cui tendono le decisioni non sarà alla fine granché dissimile, anche perché esse percorrono un binario abbastanza rigidamente già prefissato in sede ministeriale. Diciamo comunque subito una cosa, perché è alla luce di questa che tutto il resto va commisurato. Ed è che lo studente, pur trovandosi davanti a piani di studio comprendenti tre anni e non più quattro o cinque, non vi trova in essi un numero inferiore di materie, solo che tante di esse anche importanti sono, come dire, "rimpicciolite"; ce n'è per esempio parecchie che prevedono, come si sa, solo un monte di 20 ore.
I "crediti formativi" attribuiti a una laurea triennale sarebbero 6 (sui 180 complessivi, quindi tre in meno d'un esame di materia semestrale "piena" del vecchio ordinamento o di alcune di quelle del nuovo; un po' di sproporzione, no?), equivalenti, secondo la stravagante tabella vigente, a 150 ore di studio, diciamo dunque tre settimane circa. Si allestisce una tesi in ventuno giorni? Ma sì, se non la si vuole configurare come una vera tesi di laurea, che comporta lavoro di ricerca, di documentazione, di esposizione d'apparato, di accurata stesura testuale per il numero occorrente di pagine. E' che sento affermare che una tesi di laurea triennale non dovrebbe superare le 40, di pagine. Come se si potesse misurare in numero di fogli A4 quel che occorre per valutare la qualità di un prodotto. Io, che in questi anni sono stato guida e relatore di parecchie tesi e so che si tratta di lavori mediamente sulle 200 pagine o giù di lì, e tutti di ottimo risultato, ho anche per certo che il numero di pagine è ogni volta, unicamente e semplicemente, quello necessario a rendere esauriente l'approfondimento e l'analisi (poiché di un prodotto scientifico sempre si tratta) dell'argomento scelto: le pagine cioè si contano dopo e non prima. Ho in carico attualmente, fra Palermo e Trieste, sei laureandi, e responsabilmente non mi sogno neanche di seguire criteri quantitativi e qualitativi diversi nel seguire quelle tra esse che sono di vecchio e quelle che sono di nuovo ordinamento. Ma c'è di più: è in discussione anche la possibilità che queste tesi di laurea di nuovo ordinamento possano consistere anche, addirittura, in una esposizione orale invece che scritta. E' norma che fa il paio con l'invalenza di far accompagnare prodotti accademici scritti dal cosiddetto abstract, che ha soprattutto lo scopo di fornire a chi deve giudicarlo la comodità di non leggerselo tutto ma solo un suo succinto riassuntino.
Quanto al punteggio, quella che nei discorsi detti un po' in tutte le sedi si valuta come applicabile ad esso è una vera e propria "prova del nove" di come si intenda considerare a tutti gli effetti una minusvalenza assoluta la così definita «laurea di base» del nuovo ordinamento: che sia di base (tre anni) o che sia specialistica (due anni), sempre laurea e non laureetta («diploma di laurea» si chiama infatti quel titolo da appendere al muro e da presentare per un posto di lavoro) dovrebbe essere considerata. E invece si pensa possibile che il suo voto massimo non debba raggiungere il classico 110 bensì fermarsi a un livello inferiore (100?); eppure è rimasto il 30, e magari con lode il voto massimo d'ogni singola materia. Diciamo pure che allo stato si tratta ancora di ipotesi, ma il solo fatto di porsele è indicativo della forte possibilità esse si trasformino sul serio in prescrizione regolamentare. Che fornirà così al mercato delle professioni una classe di laureati i quali non solo avranno studiato spiccioli di materie invece di materie intere (ce n'è che erano di 60 ore e son state ridotte a 20, come se tre discipline superficialmente affrontate fossero meglio di una approfondita) ma recheranno al collo un cartello di convalida di questo loro status da cui risulterebbe così patentemente - e persino, per bravi che sian stati, da una limitazione di punteggio - la loro serie B. E non illudiamoci che tutti i laureati di primo livello accedano poi anche al secondo per passare con questo alla A, sui cui piani di studio ci sono ancora incertezze in molte sedi e Facoltà nonostante esso sia ormai alla soglia del varo, con la fame che c'è di cercare rapidamente un lavoro all'insegna (parafrasiamo un noto programma televisivo) del «Saranno precari».
In questa sorta di dequalificante teatro dell'assurdo io le ho pure esposte, le personali opinioni che ora ho scritto anche qui. Non nascondendo in nessuna sede quale sarebbe a mio modo di vedere la sola conclusione dignitosamente alternativa all'attuale così astratta e pericolosa discussione: promuovere, prof e studenti insieme, la raccolta delle firme per un sacrosanto referendum abrogativo di questa riforma Zecchino che danneggia la gioventù studiosa, offende l'Università, menoma e spiazza in prospettiva le stesse risorse umane del Paese.