Il computer e la rete servono anche per giocare, non solo per tenersi informati, lanciare messaggi ed effettuare ricerca. E quelli che lo usano spesso, o prevalentemente, per giocare sono tantissimi. Il trattenimento ludico esiste anche in tv, naturalmente, dove non è interattivo ma ci coinvolge lo stesso. Si seguono programmi di quiz o d'inseguimento di fortuna, con premi talvolta sproporzionati, che creano personaggi, macchiette e tormentoni. Ci sono degli sport che stanno a metà fra il ludico, in quanto collegati a sistemi di scommesse, e lo spettacolare: come il calcio e le corse dei cavalli. E pure qualche format tv che si presenta come spettacolo è in realtà gioco, talvolta anche estemporaneo, come i programmi di Fiorello o le cose che faceva Arbore. Ma ho premesso questo solo per metterlo subito da parte, perché è specificamente sul giocare computerizzato che voglio un pochino soffermarmi oggi.

Internet di porte ne apre moltissime, in questa direzione, ed altre ancora con l'infittirsi di chat e di webcamera, e secondo alcuni anche lo sterminato supermarket porno che esso offre rientrerebbe in questa categoria. Ma il porno, a parte lo spregevole business che lo caratterizza, non è ludico bensì patologico, come tutti i surrogati basati su ineludibile e dunque banalizzante ripetitività d'un menu fatalmente molto angusto. C'è lo strip-poker, per dire, che invece ha caratteristiche di gioco, anche perché è estemporaneo e contiene suspense e colpi di scena dipendenti dalle carte, ma quello più che porno è trasgressione. Scartiamo dunque dalla nostra attenzione tematica anche questo.

Ci sono quei computer particolari, costruiti come una volta i juke-box, che si trovano nei bar o che affollano a schiera saloncini appositi. Lì i videogiochi disponibili sono di vario tipo: d'abilità, come puzzles a incastro le cui tessere vanno catturate con tempestività, o bersagli mobili da colpire; o di simulazione, con lo schermo che ti mostra in velocità curve ed ostacoli d'una strada mentre tu reggi il volante di un'auto, o la cloche di un aereo in atterraggio; o di mera fortuna come tutti quelli con i semi e le figure delle carte da gioco, o altri simboli avvicendantisi a combaciare o meno in tutta (o quasi) fortuità di cadenza. Ma tutti questi, ed infiniti altri ancora, sono anche acquistabili in compact o scaricabili dalla rete, per essere usati sul computer di casa.

E sui computer di casa, dopo fatto questo largo giro, adesso ci fermiamo. Con la sola digressione che, diffondendosi anche il loro uso scolastico, dilagherà imminentemente anche una metodologìa ludica dell'apprendimento computerizzato. Dalla geometria con sagome animate alla grammatica con le parole che cambiano colore, dalla geografia con lo zoom ed i cartoons alla storia con i diagrammi mobili e - perché no? - con i pupazzi. Scansatela, questa prospettiva, se siete capaci. Ma il computer di casa, dicevamo... That is the question! In casa ci sono adulti e bambini mischiati, e in casa arrivano sia i videogiochi per tutti, sia quelli riservati ai bimbi (senza escludere che vi si appassioni anche un adulto), sia quelli riservati agli adulti e che ai piccoli possono invece porre dei problemi.

Seguiamo un percorso di progressivo discostamento dalla realtà verso il virtuale. Quello che alla realtà resta più vicino è il gioco degli scacchi (e similari, dama, ecc.). La scacchiera è quella che è, i pezzi invece che con le mani si spostano con un clic. Un lampeggio di casella e/o un effetto sonoro segnalano lo scacco. Manca la fisicità, ma è da sempre che a scacchi si gioca anche per corrispondenza. E poi se interrompi la partita per riprenderla domani tutto resta al suo posto senza pericolo che la colf spolverando ti sposti un pezzo già strategicamente collocato. Già è molto diverso col biliardo, dove le biglie scorrono sul tappeto verde in verticale e tu non puoi girare intorno al tavolo; lo stesso fatto che la trigonometria balistica sia elettronica e gli "effetti" automatizzati toglie al giocatore più del 50% del piacere di esercitare un'abilità; che è di raccordo fra occhio, centri nervosi e tendini.

Poi ci sono i labirinti e i giochi di prontezza. Non c'è praticamente quasi nessuno degli espedienti passatempo da «Settimana Enigmistica» che non possa diventare tavoliere animato straordinariamente più ricco di quello originale. E la ricostruzione di grandi battaglie della storia in cui tu sei Wellington e l'avversario Napoleone e potrebbe così anche essere che Waterloo abbia stavolta un altro vincitore e che Lepanto possa vedere un finale rovesciato. E senza che ciò ovviamente abbia nulla di cruento e sia un semplice giocare a «Risiko» con colorate figure segnaletiche da spostare o eliminare come fossero pedine di scacchi. Infine lo slurp, frequentato da molti, del fumetto interattivo: si tratti dell'idraulico Mario in salopette o della sexissima Lara Croft di Tomb Raider, questa è una storia con una trama e tu puoi variarne i momenti e le alternative ma sempre entro i limiti entro i quali lo story-board è programmato.

Veniamo ai giochi di squadra, ma che si possono anche fare in due: antagonisti cioè due persone e non una sola che in questo caso giochi, praticamente, contro il computer. Cosa ci può essere di più classico, ed anche emozionante, di una partita di calcio? Due squadre che si affrontano e tu che sei (wòw!) tutti gli undici giocatori della tua... Mouse e tastiera, o joystick, e vài. Contemporaneamente sei stratega e regista, autore di passaggi praticamente da te a te, e infine singolo che corre verso la porta avversaria in compagnia del pallone. Non è il gioco che appassiona me, che preferirò sempre quelli dal vivo e col computer arrivo al massimo agli scacchi, ma capisco possa essere entusiasmante e soppiantare facilmente il ping-pong da battere sul terrazzo od in giardino. Ma non è tutto qui, perché questo è uno schema di gioco il quale di varianti ne ha molte e adesso parlerò di una su cui è proprio fondato lo stimolo che mi ha determinato alla scelta di questo argomento per il «Secolo postmoderno» di questa settimana. Portava proprio qui il percorso di tutte le righe che avete finora letto: siamo arrivati al tema.

Non ne conosco il nome ma ho assistito a questo gioco recentemente in casa di amici. Si gioca a distanza, che può essere di via o anche di città, in due ma anche in più che si alternino nell'azione. Si possono sul computer di ciascun gareggiante chiamare quando si voglia in sovrimpressione il quadro degli eleminati e quello dei punteggi. Spiego il gioco. La scena è una bassa costruzione labirintica, con cortili e loggiati, corridoi e cameroni, scalinate e scivoli; ce n'è comunque più d'una e possono essere scelte e cambiate. Come se avessi degli occhiali-telecamera tu a quella scena sei "dentro", e muovendoti te la vedi scorrere davanti e passi come vuoi da interni a esterni. E lo stesso il tuo avversario, nell'altro luogo dove sta il suo computer. In realtà però siete in Web entrambi, da dove gli elementi del gioco sono stati scaricati.

E il gioco in che consiste? Siete due squadre, non avversarie ma nemiche, in campo; quel campo che non è un verde rettangolo erboso ma quella specie di complessa fortezza di pietra che ho descritto. Non siete in undici, ma in sette per ciascuna, e le vostre realistiche figure in movimento, isolate o in gruppetti, che scompaiono e riappaiono da ogni angolo dell'ambiente, a sorpresa, sono caratterizzate o da camicie verdastre e jeans o da tute nere con cappuccio. Siete insomma Terroristi contro Forze Speciali. Avete tutti in pugno, basta un clic per cambiare arma, pistole, fucili di precisione, kalashnikov, bombe. Vi inseguite, vi affrontate, vi sottraete, fate appostamenti e tendete agguati a vostro piacere. Vince la squadra, anche se decimata, che faccia fuori anche l'ultimo uomo di quell'altra. Bello, no? Per un disteso week-end coi bambini che ci guardano, tifano e chiedono: «Posso giocare anch'io?».

Ma certo, anch'io dieci/dodicenne giocavo a indiani e cowboys, oppure a moschettieri del re contro guardie del cardinale. Avevo spada, fuciletto e pistola, tutti prodotti di artigianato casalingo in legno. Puntavo le mie armi e facevo «Pùm!» oppure «Bàng! Bàng!» con la bocca. Non correva ancora il termine «virtuale», dunque quelli che usavo, in questa mia recita, erano non altro che dei simboli. Credetemi non è davvero la stessa cosa del virtuale di questo videogioco così realistico nel rumore delle raffiche, così meticoloso nel contorcesi del personaggio colpito, così puntuale nella pozza rossa che subito si spande appena quello si irrigidisce stecchito per terra, così prodigo di schizzoni di sangue in primo piano sul video quando invece il colpito sei tu. Eh no, non è proprio lo stesso. Il bambino non ancora telematico distingueva molto meglio la finzione dalla realtà con la sua spada fatta col manico sottile di un piumino da spolvero il quale aveva come coccia d'elsa il coperchio di latta d'una scatola tonda di lucido da scarpe, e con la sua pistola fatta con la raspa, la quale non aveva neanche il grilletto.

Credo debba essere considerato molto pericoloso per un essere in crescita, la cui esperienza è ancora consistente in plastilina da modellare, la cui psiche è ancora oggetto da imprinting, la cui nozione del mondo e della società è ancora tutta da assorbire, l'essere immerso in una normalità di gioco la cui definizione visual sia così indistinguibile da quel che si può vedere grossomodo così non dico in un film ma anche in un telegiornale della sera. Solo che qui il protagonista sei tu. Protagonista della banalità dell'uccidere. Credo che qui non occorra tanto, o solo, una mobilitazione di psicologhi, di pedagogisti e di esperti di neurologìa infantile. Credo con fermezza che tocchi anche ai politici di avviare atti legislativi capaci di togliere dalla circolazione, o di impedire addirittura la produzione, di videogiochi di questo genere. E questo farà certo del bene anche agli adulti cui stoltamente piacessero e che non potrebbero giocarci più. A che serve se no marciare in corteo con le bandiere iridate e la scritta «Pace»?

Se posso permettermi un parallelo così, c'è una tesi di laurea di cui sono relatore in questi giorni che è dedicata, con adeguata documentazione, alla strumentalizzazione del nudo femminile in pubblicità. Tanto commercialmente redditizio, dimostrano i dati di marketing, anche quando non si tratta di saponette o di vasche da bagno, quanto contraddicente nel modo più indignitoso tutto quanto si va affermando e proclamando in materia di emancipazione e di parità sessuale. Bene, siamo talmente attorniati e sottoposti a pressione da parte di questo tipo di prodotti mediatici oltretutto spesso di pessimo gusto, che, anche se c'è una quantità di donne che se ne indigna e una quantità di uomini che se ne infastidisce, la gran parte di noi finisce per assuefazione a considerare "normale" ciò che titolo di normalità assolutamente non merita e che comporta anzi un marcato scadimento proprio di tipo socioculturale.

Bene, la normalità che in tanti ormai attribuiamo alla guerra e alla morte violenta generalizzata, e di conseguenza anche a questi prodotti ludici da video in cui si vede (ce n'è di vario tipo, badate, oltre a quello che ho descritto qui) lo spasimo e il sangue di chi muore, ed è morte determinata da un nostro clic così sportivamente somministrato, è frutto dello stesso fenomeno assuefativo. Ed ha un livello di rischio sociale evidentemente molto maggiore dell'esposizione pur futilmente utilitaria di una tetta o di un popò per vendere qualcosa che con una tetta o un popò non ha proprio nulla a che fare. Se pur, nel gioco, quello a cui spariamo con entusiasmo bambino o di adulto immaturo è definito «terrorista» ciò non è proprio per nulla assolutorio di alcunché. Anche perché in questo gioco, non scherziamoci, vince la squadra di chi maneggia il mouse con più bravura. Quale sarà, di volta in volta? E allora tant'é, abilità di mouse per abilità di mouse, non è molto meglio che quelle due squadre abbiano invece semplici magliette di colore diverso ed un pallone da mandare in rete? E che quel CD con le armi da fuoco vada invece vergognosamente al macero?