Un'organizzazione cattolica di cui non ricordo il titolo mi ha telefonato alcune settimane fa per dirmi che il mio nome le era stato segnalato come autorevolmente includibile in una rassegna di giudizi da esprimere sull'attuale pontefice nell'occasione del compiersi del venticinquesimo anno dalla, come si dice, sua «ascesa al soglio di San Pietro», e che un intervistatore sarebbe, allo scopo, venuto a trovarmi con un magnetofono. Due motivi avevo per rispondere positivamente e con piacere a questa richiesta d'opinione: sono un giornalista che segue senza distrarsene mai la vita ed il costume sociale del suo tempo, e insegno Scienze della Comunicazione in due Università. Papa Giovanni Paolo II è infatti con certezza uno dei comunicatori più efficaci tra quelli che hanno per ora palcoscenico, e il suo è mondiale. E lo è sia sotto il profilo concettuale sia sotto quello emotivo. Emettendo un messaggio, fatto di pensiero, parole e comportamenti cui si può senz'altro attribuire valenza di grande etica storica.
Poi però quell'intervistatore il mio campanello non l'ha suonato più. Forse perché, accettando, avevo imprudentemente ma con lealtà premesso che pur portando a questo personaggio un'enorme ed affettuosa stima, non sono un credente nell'Aldilà né un praticante dei suoi accessori nell'aldiquà. Peccato, se tale mancata visita avesse avuto davvero questo come movente, perdendo così un contributo attestativo che proprio per una sua fonte del genere avrebbe potuto - lo dico davvero molto umilmente - assumere ancor più significante valore. Ecco comunque di seguito quel che al non più presentatosi microfono avrei volentieri in proposito detto.
Credo che l'ultimo pontefice che abbiamo visto portare in capo un, peraltro già allora anacronistico, triregno (quella sorta di cono bianco molto rigonfio cinto da tre corone. dorate) sia stato Pacelli, Pio XII. Un simbolo questo, includente anche la temporalità del potere, che certo per nulla a un Woytila avrebbe mai potuto addirsi. Papa operaio, papa sciatore, papa nuotatore, papa inserito nella folla sino a rischio di vita, egli ha sempre messo per sé l'accento sulla normalità di essere uomo. Viaggiatore instancabile, quanto nessuno dei suoi predecessori, preferibilmente chiusi in San Pietro, egli ha visitato non solo i Paesi ma pure i continenti, badando bene a non limitarsi allo spirituale ma ad essere giustamente invasivo anche nella strutturazione del sociale e nelle sue conflittualtà. E il suo messaggio, pregno di ecumenismo, ha costituito spesso anche pressante invito politico.
Come quando, da Cuba, aveva sollecitato gli Stati Uniti a togliere a quell'isola il soffocante embargo economico da questi impostole costringendola alla povertà, e in coincidenza di ciò quello stesso giorno i media USA ritiravano, con indifferenza (scoop vale scoop?), i propri inviati da L'Avana per spostarli a Washington nell'aula dell'iniziato clamoroso processo al presidente Clinton sul pruriginoso caso Lewinsky. O quando, avendo deciso gli USA di invadere militarmente l'Iraq, s'era affacciato al suo consueto balcone vaticano per esclamare con voce vibrante alla folla in ascolto nella piazza e nelle case: "La guerra è Satana!". O come, recentemente, quando ha esercitato pressione appassionata "in nome del comune dio di Abramo" perché in quell'infiammato Paese venissero liberati gli ostaggi italiani. Ma questo è un appello che già risente della concezione che Woytila ha e diffonde del sentimento religioso: non esistono cioè più infedeli.
Ovvero, se ci sono, non lo sono perché hanno Talmud e Corano al posto dei Vangeli o perché questi loro codici non sono solo rispettivamente sacri, ma in qualche modo anche statuali e dunque con riflessi legislativi e dunque d'amministrazione civile; resta solo che rispecchiano culture diverse, da rispettare come autentiche. Così come esistono diversità culturali analoghe anche forti, e taluna da fermamente respingere e anche combttere all'interno stesso del mondo cristiano e persino della sua componente cattolica. "Mafiosi, pentitevi! Perché, sappiate, il Giorno del Giudizio verrà ", è stato una volta da lui proclamato con voce di ruggito alzando un braccio con il dito teso. Eppure un giorno neanche tanto lontano, solo qualche decennio, c'era stato a Palermo un cardinalc arcivescovo il quale affermava che la mafia non esisteva...
Fra i personaggi del nostro tempo, questo è il nome di papa che sopravviverà certo più a lungo. Compie quest'anno il suo venticinquesimo di Pontificato, ha subìto un attentato che poteva essere mortale (e ha visitato in cella, portandogli il proprio perdono, il fanatico che gli aveva sparato), compare in pubblico con intensa costanza anche se malfermo fisicamente e con appariscenti difficoltà nella voce, ed anche per questo risulta, con affettuosa pena, emozionante la frequenza del suo emtrare nelle case attraverso la televisione. Potremmo anche dargli appellativo di martire: perché forma di martirio sicuramente è, questo suo sforzo di ignorare il proprio stato di salute per aderire alla da lui irreversibilmente abbracciata altruistica missione di intervento, conforto e stimolo.
Papa comunicatore, dunque, di qualcosa che non riguarda solo i cattolici né solo ai cattolici è rivolto. Io non lo sono, sono laicamente ateo, eppure sento tutto il penetrante valore di quanto egli afferma anche per me, quando si rivolge per intero al consorzio umano ed alla sua necessità di compenetrarsi. Certo, la sua contrarietà a istituti di conquistato diritto come il divorzio e l'aborto potrebbe pesare sul piatto opposto della bilancia, ma se li considero come ritenuti con sincerità doveri della sua fede riesco, pur convintamente discordandone, a collocare questi su un piano diverso e meno importante rispetto a quelli che in altri campi incisivamente dà la sua combattiva presenza procurandogli ampio merito. Come sottovalutare che al presidente americano nei giorni scorsi in visita a Roma ha dettato consigli e istanze sul piano internazionale proprio del tutto opposti rispetto a quelli genuflessamente (ognuno piega le ginocchia davanti a chi sceglie) offerti lo stesso giorno al capo americano dal nostro Presidente del Consiglio?
Questo papa che ci comunica quotidianamente il suo dolore mentre tremano all'unisono la sua voce e le sue mani in un'attività pastorale che la sua volontà non riesce a dismettere, questo papa mediatico che quasi si accinge a morire "in diretta" come fosse in croce, da che tipo di papa sarà sostituito? Ce l'avrà anche lui la televisione, figuriamoci, ma saprà riempirla di una sostanza carismatica altrettanto vibrante che quella di costui, al quale s'era, non dimentichiamolo, cercato di dare l'identica morte impartita con pallottole di piombo al Mahàtma Gandhi e a Martin Luther King?