Anno dopo anno, campagna dopo campagna, neanche i manifesti, uno strumento "classico" che ne costituisce come sempre il mantello urbano, son più riusciti a mantenere caratteristica di messaggio convincentemente completa, o anche solo pertinente, ai fini elettorali. Facciamoci dunque una bella passeggiata domenicale per le strade di una Palermo finalmente soleggiata in modo (quasi) stabile e prendiamo qualche appunto. Cerchiamo immagini proponenti e slogan contenenti ratio ma troviamo solo facce; un defilé di facce a colori: composto di fototessere e mezzibusti. Oddìo non tutte uguali, per carità. Qualcuna con un sorrisone da invito a cena, qualche altra col piglio di uno sfidante che scambia l'atletica per la problematica. Qualcuna mansueta come concorresse al premio di bontà, qualche altra grintosa alla «Ti faccio vedere io chi sono!». Qualcuna addirittura pare strizzi l'occhio e qualche altra invece non s'accorge di star emettendo un messaggio che comunica proprio solo «Bòh!?» e nient'altro.
Perché la curva discendente è stata questa, se voltiamo un attimo la mente indietro: s'era cominciato che i manifesti elettorali proponevano dialetticamente idee, nette e precisamente contrapposte; poi s'è passati ai simboli di partito, più generici, più metaforici, più prudenti; ora siamo arrivati, ancora più semplicisticamente, ai candidati come persona, anzi unicamente come fattezze. La gara non pare essere più fra (primo tempo) visioni complessive del mondo né (secondo tempo) programmi politici mirati; ora ci ci si propone, più terra terra di scegliere ometti e femminucce che san meglio presentarsi o che riescono a parerci più simpatici/che, così a occhio. Diciamo che è un po' poco. Per farsi un'idea adeguata occorrerebbe qualche cosa in più. Invece ecco qua: un campionario di baffi, occhiali, cravatte, pettinature femminili, compunzioni, smorfie. Qualche volta, si sa, le mani dicono più di un naso anche sul carattere. Ma dove sono le mani, qua? Il personaggio finisce poco sotto gli òmeri, massimo si arriva all'altezza delle prime costole. E invece nasi e nasi a fornire casistica completa e sono casomai le orecchie a sporgere qualche volta. Una campagna elettorale così farebbe la felicità del prof. Lombroso, potrebbe sollevare dubbi nei visagisti professionali, e tanta curiosità misuratrice negli esperti d'antropometrìa.
Mostrare la faccia e basta (sì, talvolta c'è anche qualche frasetta, ma ne parleremo più avanti)? Bèh, una ragione ci sarà, anzi uno psicologo anche dilettante ne trova almeno due. La prima è fatta di reticenza: se chi domina in questo rettangolo sono io e il simbolo politico è molto più piccolo, è di me che ti devi ricordare, e se domani da eletto cambierò, per convenienza mia o vento che tira, formazione, non hai nulla di che preoccuparti perché è la mia persona che hai votato; le hai dato fiducia e stop. La seconda è di paura: paura di compromettersi troppo con enunciati precisi che potrebbero scontentare qualcuno, meglio dunque solo sorridere ed ammiccare (solo quelli della Lega hanno il berretto verde, la camicia verde, la cravatta verde, il fazzoletto verde, la tuta verde, che voglion dire Italia fatta a pezzetti e ognun per sè; una posizione cioè da cui si potrebbe recedere solo spogliandosi quasi del tutto, ammesso non sian verdi anche le mutande). Per le signore poi, qualcuna appena uscita dal parrucchiere, qualcuna appositamente scarruffata, varrebbe la pena di far la prova se scompigliando i capelli alla prima o pettinando la seconda potrebbero rispettivamente diventare più votabili.
Quella che predomina è la mancanza di fantasia. Sembra che i "creativi" della cartellonistica si siano messi tutti in sciopero per cedere la dritta ai consigli dell'elegante segretaria o dello scafato capogabinetto, e magari a quell'amorosa annodacravatte e pettinatempie che è la mamma. Se poi è il caso che tu rida a tuttodenti oppure a labbra strette, questo merita un consiglio di famiglia o una riunione di comitato esecutivo. Intanto sono tutti fotografati di faccia, come se quello scatto dovessero ciascuno incollarlo poi sulla patente. Ma perché non c'è un cavolo di candidato che si metta in posa di profilo? Perché mezza faccia è meno rassicurante (un sopracciglio, un occhio, un orecchio, una guancia) di una faccia intera? O perché così non potresti guardare dritto nelle pupille il passante dubbioso e dovresti storcerti in uno sguincio la coda d'un occhio solo come se l'altro non ce l'avessi proprio?
Eppure Berlusconi ogni tanto ci prova, a uscire di profilo su cartellone, ché poi così si scorge meno l'avanzante incavo sottozigomatico e fa meno impressione anche la calvizie perché gli si vedono i capelli scendere di dietro. Lui solo, però, perchè chi lo faceva proprio di preferenza, per chi se lo ricorda, era Mussolini («profilo da centurione romano», si diceva). Il cipiglio orbitale, il naso latino e il mento volitivo, quei suoi tre punti da esibire al meglio, facevano più effetto così, e alla crapapelata ci pensava il fez con le frange o l'elmo con la piumetta di lato. Mentre per il nostro premier attuale un copricapo, data la bassa statura, sarebbe disastroso. Io ce l'avevo. da ragazzo, un fermacarte di lustro acciaio pesantissimo che fondeva una sovrapposizione di dischi rigonfi di leggermente vario diametro sopra un basamento cilindrico e terminante a cupola. A vederlo così non si capiva ma, se gli mettevi davanti una luce e ne proiettavi l'ombra al muro, ecco stamparvisi nitidissimo e ben riconoscibile il Profilo del Duce. Me lo invidiavano in tanti, sapete, perché si trattava di un regalo per alti gerarchi, in pochi esemplari, che era appartenuto a mio padre e anche a me dispiace sia andato smarrito - era un bel pezzo raro da collezionista - in chissaquale dei miei molti traslochi.
Viene una certa nostalgìa di quando i manifesti elettorali erano botta-e-risposta (magari succede lo siano anche adesso, ma per questo macché pareti d'edificio o «spazi appositi»: ci sono dei siti in Internet che pure ci si divertono); o di quando la sinistra era tutta unita ed affiggeva Garibaldi in camicia rossa e con la sciabola alzata sopra un cavallo bianco sulle reni del quale svolazzava il suo poncho, e gli corrispondeva il terroristico manifesto dc mostrante una vecchina introducente la sua scheda nell'urna sotto la grande scritta «Nella cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no». Poi succedeva anche che Piazza del Gesù erogasse un manifesto con una dolcissima biondina biancovestita e sopra in caratteri di scatola «La Democrazia Cristiana ha vent'anni», e la risposta - un po' smodata, per la verità, ma dal cuor venuta - era su ogni esemplare a pennarello concepita così: «Allora è proprio venuto il momento di farle il culo». E invece seguì il momento della politica vegetale, dove si sono melanconicamente affollati gigli e garofani, rose e edere, girasoli e margherite, ulivi e quercie, e nessuno ha ancora pensato al crisantemo che meriterebbero in tanti, dato che nessuno esplicita più chi davvero è e cosa davvero vuole.
Album di figurine dunque è il risultato di questa nostra passeggiata. Ce ne sono di quelle che stan lì a chiedere solo il voto e altre che recano delle scritte da latte alle ginocchia. Sono elezioni europee, quelle di stavolta, no? E allora puoi scegliere tipo fra queste, frutto tutte di fervidi cervelli tenuti forse su a zabaione e marsalino: «Più Europa in Sicilia», ma anche un contrapposto analogamente vuoto di contenuti «Più Sicilia in Europa» (c'è anche, per carità, la variante geniale «Più Mediterraneo in Europa»); e una candidata sfrontatella enuncia di sè addirittura - si chiama Eleonora Non-mi-ricordo-il cognome - «Un uomo in Europa», come a dire, dio la perdoni, che l'unica con le palle è lei. Insomma, tutto materiale per la prossima raccolta della premiata ditta Panini, che a occuparsi solo di giocatori di calcio si dev'essere pure stufata. Vien quasi da piangere, davanti a quest'alluvione di vuoto cartaceo stratificatamente incollato e tra poco finalmente al macero.
'Sti manifesti... e con quel che costano, poi. Non sarà certo da essi - la dò ormai come acquisita certezza - che potrà venir fuori come regolarmi a votare. Occorre proprio che ci pensiamo da soli; e in relazione, data la carenza propositiva che così leggermente ci dimostrano, a quello che NON vogliamo.