Se ti digito così &:-> vuol dire che ho i capelli ricci e ghigno, se invece così E8-) che ho la frangia sulla fronte, gli occhi spalancati e rido. I ragazzi questo lo sanno tutti. I genitori invece no. Credevo ne avessero barlumi maggiori di contezza, ma non è così. O almeno per la maggior parte. Ma loro per lo più usano il computer - quelli che lo usano - per lavoro e il cellulare serve loro soprattutto per fare parla-ascolta e non per riempirne il display di SMS. Nei quali è, p. es., l'accorciante suffisso «bla» a stare per «parola» e derivarne anche verbi («blaDT» = «Parlami di te»), «Ch6?» è «Chi sei?» («D6?», invece, «Dove sei?») e «R8» vuol dire che mi sono stufato. E questo (::0::) cos'è? Ma un cerotto, perbacco. Bene, che mi è preso a fare tutti questi esempi? E' che ho appena finito di tenere un corso di due mesi avendo in aula, a pomeriggi alterni, una rappresentanza di studenti delle medie superiori ed una di genitori degli stessi, comunque non in rapporto parentale fra loro. Quale l'obiettivo? Misurare sia l'intreccio che lo stacco (quest'ultimo è prevalente) del rapporto comunicativo fra queste due generazioni sia in termini, come dire, umani e sociologici sia in relazione all'uso delle nuove tecnologìe elettroniche. Nonché le diversità concettuali e modali (assai marcate) con cui ciascuna di esse si pone in relazione al mondo esterno.
L'esperienza è stata per me interessantissima (includeva anche una serie di pomeriggi in cui sui banchi stavano invece i docenti, ma non è dell'aspetto didattico che m'interessa qui parlare adesso, bensì proprio di quello interpersonale in differenza d'anagrafe). Cos'era interessante valutare e fornire poi gli strumenti per correggere? Fino a che punto svaria l'angolazione ottica con cui si misurano le cose e ne derivano poi mentalità e comportamenti diversi fra padri e figli, in questo convulso e postmoderno bacino epocale che stiamo attraversando, e quale tipo di scambio fra essi è dal suo canto rimasto possibile e incrementabile. Una differenza generazionale più o meno marcata è sempre stata presente, beninteso, fra gli umani, dacché si sono allontanati gli archi temporali in cui i contesti di vita dei nonni si ripetevano uguali anche per i nipoti. Una fascia generazionale cresciuta in tempi di guerra, comunque coinvolgenti, non porta con sè gli stessi marchi interiori di una che sia invece cresciuta in tempo di pace; e lo stesso si può dire per i tempi di prosperità e per quelli di depressione. E dunque se queste generazioni sono contigue non c'è dubbio che ciò si faccia sensibilmente avvertire sul piano della loro, peraltro ineludibile, convivenza.
Diciamo subito una cosa. Che anche i quaranta/cinquantenni genitori di questi sedici/diciottenni attuali hanno avuto, quand'erano di quest'età, oltre che manifestare un tanto di inevitabili abitudini diverse, degli "àmbiti riservati" nei confronti dei loro papà e mamme, e possedendo anche dei riservati codici di linguaggio che questi àmbiti proteggevano. Ma che questi codici variavano di ceto in ceto e di zona in zona, risultando alla fin fine quasi di nicchia. Mentre le ormai onnipresenti risorse telematiche hanno prodotto adesso anche in questo campo una tale omologante globalizzazione da far passare ormai come una generale faglia trasversale queste modalità linguistico-comunicative, sì da tracciare due sponde, rispettivamente al loro interno integrate, con caratteristiche generali di reciproca differenziazione. Non che sia alle porte un altro '68, intendiamoci, capace di creare proprio una separatezza radicale come allora, che poi anche si politicizzò, fra giovani che rifiutavano il tipo di mondo costruito dai padri e quelli con le tempie già grigie i quali si vedevano tramutare sotto il naso, e contestare, le scale di valori in cui avevano creduto. Ma è comunque certo che un rilevante scarto si è già consolidato fra i modi d'essere e di comunicare degli uni e degli altri in questo passaggio dal XX al XXI secolo che lasceremo poi ai posteri di giudicare.
Sono i sensibili mutamenti intervenuti a livello di costume e incalzantemente indotti dai media, ed è la sempre più diffusa precarietà del presente generata dagli sbalzi dell'economia mondiale, che hanno soprattutto fornito ragione a tutto questo; creando delle logiche forti cui c'è ben poco da contrapporre. Negli ultimi anni, poi, se non proprio qui in casa cioè nel cosiddetto Occidente, dove però ne rifluiscono inquietanti barbagli, il pianeta ha ripreso ad incendiarsi in troppe sue parti perché non ne risentano emotività e programmi e altre sicurezze ancora non prendano a sfilacciarsi. Non era proprio «pace» neanche la cosiddetta «guerra fredda», stata di lungo periodo, fra gli egemoni della Terra; ma essa, stabilendo un regime di equilibri bilanciati, molto le somigliava egualmente. In questo domani invece così incerto fra il buio e il rosa, è pure comprensibile che nell'allentarsi delle certezze vi sia anche voglia di distrarsi dai meccanismi mondiali che sono in moto, di stringersi fra contigui e magari di rifugiarsi un'altra volta nella rassegnazione o nel «carpe diem». O nel pragmatismo assoluto: vorrà pur dire qualcosa che in un mio test un quarto del campione (diplomandi in arti figurative) stia presentando domanda per 200 posti messi a concorso dalla polizia? Non è una scelta che grida desiderio di sicurezza messo davanti a tutto, aspirazioni e vocazioni proprie comprese? Ma anche quest'ultimo dato che prospetta incertezze avvenire, quando c'è, e per fortuna non vale per tutti, reca il segno di diversi modi d'essere, d'inverarsi, di manifestarsi. Sia passivamente che inerzialmente che reattivamente. Con disarmata sincerità o con diffidente ipocrisia, oppure con vero e proprio atteggiamento di sfida.
Quelle che oggi i giovani apertamente sfidano sono tante delle convenzioni che li avevano preceduti: voltano le spalle alla piattezza di quelle e scelgono magari di appiattirsi in un'altra dimensione, che però offre maggiori varianti di sfogo periodico oltre al vantaggio di possedere l'elasticità di trend più brevi. C'è una sola cosa che gli adulti hanno imparato da loro alla grande, e riguarda il vestiario; ma questo non è un adattarsi, bensì pure una concorrente spinta alla comodità e anche in altre epoche storiche è avvenuta: sono ancora tanti che non dismettono cravatta e giacca a tre bottoni, ma insomma guardiamoci in giro per costatare quanta prevalenza c'è, ed anche fra gli anziani, di jeans, camicie fuori dalla cinta, maglioni e giubbotti informali, calzature che non abbisognano più di lustrascarpe operosi agli angoli delle strade. Ma il resto no, e soprattutto i codici di cui parlavo prima: quelli con cui non si imita ma si comunica davvero. E del resto, vistisi uniformati nell'abbigliamento, eccoli trovare qualcosa cui «i grandi» sono invece con difficoltà portati ad aderire: tattoo e piercing. Qualche volta solo per carineria aggiuntiva o per differenziarsi, qualche altra volta per provocazione sottilmente polemica, qualche altra ancora per sottintesa protesta se non addirittura aggressività (tipo: lo-faccio-perché-so-che-non -ti-piace).
Ma torniamo ai codici comunicativi ricadenti nel campo della telematica e agli altri aspetti differenzianti way of life. I giovani per lo più non fanno in edicola gli stessi acquisti dei padri e delle madri - e del resto le testate hanno target appositamente mirati - e comunque generalmente non condividono predilezione per gli stessi film, nè si trovano accanto ai "matusa" quando si stipano a migliaia negli stadi entusiasticamente squassati dal rock e dal reggae. E la generazione precedente normalmente nemmeno sa cos'è un MUD (Multi User Dungeon, o Dimension, o Dialogue), e quando per la prima volta, parlando dei loro figli, ho pronunciato la parola «emoticon» - vedi l'incipit di questo stesso mio scritto -qualcuno si è allarmato perché aveva capito «eroticon». Ma poi si son fatti fare tutti le fotocopie del dizionarietto iconico che gli avevo illustrato in video. Per spiegargli poi l'essenza dei MUD, dopo aver accertato che un gioco come Monòpoli lo conoscevano tutti li ho semplicemente invitati, per intuirne la fisionomia a più o meno parità di meccanismo, a sovrapporgli qualcosa come «Il Signore degli Anelli». Non più poker e dadi ma questi sono i momenti di agonismo ludico da seduti di gran parte della gioventù. E, dopo averli richiamati in ampia rassegna da Internet sul computer di cattedra collegato con uno schermo a parete, e averli sollecitati a percorso analogo con i computer disposti sui banchi davanti a ciascuno, gliene ho mostrato alcuni tavolieri e repertori di scenografie e costumi. Perché sempre di un «gioco di ruolo» si tratta, con inventabili attribuzioni di personaggio ed alterni episodi di una storia in progress che, a seconda della fantasia e dell'abilità dei partecipanti, in una quantità di diversi ed anche imprevisti modi potrà finire.
Perché il punto è proprio questo. Se i genitori non si rendono conto dei linguaggi interni alla generazione di propri figli (ma ciò vale anche per i docenti), gli sfuggirà una gran parte di possibilità di dialogo con loro e la conoscenza stessa dei loro percorsi mentali. Il rischio è alto, perché solo attraverso una reciprocità di codici la nostra esperienza (cioè il vantaggio che abbiamo su di loro) potrà verso di loro scorrere. E usare la loro lingua per fargliela pervenire è l'unico sistema possibile. Analogamente e per inverso occorre che, per giudicare forma mentis e motivazioni dei loro ascendenti invece di istintivamente contrapporvisi, i ragazzi e le ragazze abbiano sensazione di una serie di "perché" differenzianti cui probabilmente non hanno mai pensato. Ce n'è di molto grossi, naturalmente, ma io sono - con loro - partito da una serie di esempi minimalissimi. Dato che una quantità di cose oggi apparentemente normali non lo sono invece affatto e occorre ricondursi al modo del tutto diverso nel quale le recepivano questi genitori quando avevano la loro età, introiettando dati ambientali che oggi non esistono più. Pur restando psicologicamente differenzianti in modo incisivo.
Per dirne alcuni. Cosa vediamo per strada se alziamo gli occhi al cielo sereno di notte? Su uno sfondo blu piombo la luna e forse Venere, che è la stella più grossa e luccicante, e forse altre due. Ma a papà e mamma e ai nonni invece si presentava in tutto il suo emozionante fascino un tappeto scintillante e fitto di miriadi di stelle di varie dimensioni, capace di conferire tutt'altra natura al rapporto con l'universo. Oggi le illuminazioni urbane, proiettando verso l'alto dal 30 al 40 per cento del loro potenziale, tutto questo abolitivamente lo spengono, isolandoci. Col concorso delle emissioni gassose industriali nell'atmosfera, che opacizzano in modo rilevante le sue particelle. E perfino se sei in crociera nell'Oceano le luminarie della nave sono altrettanto occludenti. E tolgono a questi ragazzi la possibilità - che non è, si badi, solo poetica - di distinguere Orione o le due Orse e la Stella Polare come potevamo noi. Solo molto al largo in barca, o su in montagna lontano da centri abitati questo commovente spettacolo ce l'hai ancora. Non basta infatti neanche allontanarsi dalle città in autostrada perché sei chiuso in un abitacolo e hai davanti a te la luce dei tuoi fari. Occorrerebbe fermarsi e scendere, ma chi lo fa (essendo oltretutto pericoloso)?
Passando al regno animale, è l'esperienza di riempirsi gli occhi delle notturne lucciole che rabescavano di puntiniforme movimento fogliami non solo campagnoli ma anche di giardino, a non essere più possibile e a non permettere più l'incanto di una serie di riflessioni cui la generazione precedente veniva indotta per forza. Sono morte tutte e le abbiamo uccise noi inquinando l'atmosfera, fragili com'erano e non bestie fortissime come le zanzare o gli scarafaggi. Per quanto tempo ancora resisteremo noi a camminare fra gli scarichi d'auto e un'aria sempre più piena d'elettromagnetismo? E chi conosce più, sul piano del gusto, che è pur esso imprimente particolar cultura, qual è il sapore di una cozza cruda? Leggi giustamente restrittive a parte chi mai oserebbe più, sapendo da che degradato mare viene? Il fatto che sian gradevoli anche cotte con aglio e prezzemolo nulla toglie a quest'altra sconfitta che abbiamo procurato alla natura, la quale ci costringe ormai sempre più anche alla minerale in bottiglia dacché non è più potabile l'acqua dei fiumi e non è più consigliabile bere quella che scorre dal rubinetto di cucina.
Il petrolio non è solo responsabile di inquinamento atmosferico per la sua trasformazione in benzina, e di eventi bellici per il controllo delle sue fonti. Dagli scarti della produzione di carburanti vengono i polimeri con cui si fa la plastica, la quale viene soppiantando legno e metalli, porcellane e vetri; non è nè giusto nè sbagliato, diciamolo, ma produce eccome due culture dissimili. Investenti, in questo caso, entrambe le generazioni, però in accezioni diverse perché l'una ne è stata "occupata", l'altra ne è invece coetanea e indotta per questo a sua accettazione naturale. Sono differenze che fanno mentalità, non è una questione di nostalgìe, che la sopravvivenza imprigiona e calpesta fatalmente. Chi è cresciuto in quel modo, insomma, restandone segnato dentro anche se magari adesso non se ne accorge più neppure lui, resta per forza umanamente diverso. E in questo campo è ai giovani che tocca di sapere. Allo scopo di poter poi anche percepire e dunque capire, di più.
Insomma, per diversa fruizione della propria giornata possono anche non coincidere più sempre, a livello d'età, gli orari precisi dei pasti in famiglia una volta costantemente plenari, ma un canale comunicativo continuo di reciproca comprensione va disinfragilito, o ripristinato, a scanso di comunicazionali catastrofi; accettando da un lato imparandi codici di linguaggio e dall'altro comparazione non respingente di esperienze; rendendo cioè bilateralmente presente e non respinto quanto può esserci di dannosamente ignorato, o sottovalutato, o addirittura inavvertito, da un lato e dall'altro. Io spero molto di essere riuscito a fare in qualche modo passare, in tale occasione, e dati i segnali di feed-back ricevuti, almeno una parte congrua di questi concetti.