Mi sono imbattuto l'altro giorno in una schermata che fin qui non m'era mai capitato di vedere. Cercavo in Web con apposito «motore di ricerca» quella bellissima locandina del film «La chiave» di Brass dominata dalla giacca tailleur rossa e dal cappellino nero anni Trenta della protagonista, che mi serviva per illustrare una cosa che sto scrivendo sul linguaggio della moda. E così, per trovarla, digito «Sandrelli» e clicco. Ventaglio di proposte, e quel vestito c'è ma non è così che lo volevo perché dalla camicetta bianca sbottonata s'erge nuda di fuori la punta d'un seno. Vado avanti nell'indice e il nome di Stefania Sandrelli adesso è commisto a quello di altre bellone e per arrivare a lei devo passare da Francesca Neri. Che m'appare per una frazione di secondo scosciatamente nuda com'era, se vi ricordate, in «Le età di Lulù» di Bigas Luna e poi il video si sbianca e compare in grandi caratteri quanto qui trascrivo: «Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma / Servizio Polizia postale e delle Comunicazioni / Sito Web sottoposto a sequestro ed oscurato giusto decreto emesso nell'ambito del procedimento penale numero... (eccetera)».

Ho subito pensato: OK, allora il braccio della legge arriva ogni tanto anche qui, ma poi scopro, nel procedere avanti per vedere se ce ne sono degli altri, di documenti così, che invece si scatena una gragnuola incontrollata di offerte non solo esibenti singoli nudi femminili ma anche accoppiamenti vuoi burocraticamente correnti che orali e/o sodomitici e spesso anche acrobaticamente plurimi. Tutti segnalanti, unitamente a tariffa, che se vuoi «aprire» queste eloquenti copertine occorre digitare il numero della tua carta di credito (quello del telefono lo sanno già perché da lassù sei ovviamente spiato). Il porno non è solo spettacolo ma anche, e soprattutto, industria e commercio. E dunque sta lì in agguato a precipitarsi, a scopo di aggancio che trascini oltre, su chiunque e per qualsiasi motivo abbia bisogno di stampare l'immagine di un'attrice che può essere magari brava ma sia anche classificata come più o meno bonarda. E siccome l'invasività di queste schermate qui (pur dichiarandosene non condividente responsabilità) le alimenta con settimanali inoltri di piccante soft in via autopromozionale anche qualcuno dei maggiori server nazionali ai quali il porno hard sa però agganciarsi in automatico, bisogna confermarsi nel fatto che le tutele di legge siano davvero carenti. Siccome a cliccare il quadratino cancellante di ciascuna ne emerge subito dietro a quella un'altra e poi un'altra ancora, con testate e headlines diverse, inarrestabilmente (ne ho stampata per documentazione qualcuna e, in termini sociologici, ne scriverò ) non resta poi che digitare «Esci» e sconnettersi così dalla rete, e dai suoi ganci proditori e astuti, in modo troncante.

Perché allora quell'intervento che ho citato più su, e non altri su esibizioni di ben maggiore audacia e grevità? Non resta che supporre che l'agente sia stato alieno e che in Procura, cioè, si sia presentato l'avvocato della signora Neri esternando in denuncia che era al di fuori della volontà e del consenso della sua cliente che una sua immagine così ginecologica stesse là in etere a disponibilità totale. Insomma, diritto alla privacy abbastanza sacrosanto. Di suo, la magistratura non interviene mica. O, se lo fa, lo fa come - apprendo sempre da Internet, sentite questa - autorizzando la polizia di Stato ad aprire un sito porno «civetta» tra la cui affluenza pescare, ed arrestare in flagranza, pedofili. Lodevole il proposito, ma fin dove il fine giustifica i mezzi? Anche Putin ha usato gas micidiali per far fuori, l'anno scorso, quel commando di ceceni pronti a suicidarsi facendo saltare un teatro a Mosca; ma uccidendo insieme, con quel suo ordine, un centinaio di spettatori chiusi lì con loro. Nel nostro caso è solo la privacy dei non pedofili frequentanti quel sito che viene lesa, e stavolta da mano statuale, ma la tipologia del fatto è la stessa.

C'è un abbonamento gratuito da poter fare in Internet, e lo segnalo per civico interesse: è una rivista che si chiama «Interlex» e che documenta settimanalmente sotto il profilo giuridico tutta l'esistente problematica negativa infestante la rete e che non riguarda certo soltanto il sesso. Ne scaturisce a pieno campo come il Legislatore, pur fervidamente prodigo su stampa e tv, ignori invece del tutto, oggi 2003, proprio e addirittura che cosa sia nel suo utile ma anche temibile specifico ciò che va sotto il blando e universale nome di «comunicazione elettronica».