Siamo abituati a vedere la morte sui giornali. E in televisione pure. Incidenti d'autostrada, crolli di edifici, attentati terroristici, esecuzioni mafiose, eventi bellici e catastrofi naturali, anche omicidi casalinghi. In genere però si evita di esibire cadaveri: meglio qualche bara chiusa, la fototessera della vittima, un cimelio. Casomai del sangue per terra. Però pochi giorni fa un po' tutti i giornali ci hanno esibito due volti un po' strapazzati, appartenenti a defunti freschi e anche abbastanza sgradevoli da vedere. I nomi di queste due persone erano Uday e Qusay, figli di Saddam Hussein e suoi collaboratori nell'amministrazione del dispotismo iraqeno di questi anni. Perché? Molto belli non erano neanche da vivi, come documentano altre precedenti foto con sigaroni fra i denti e bocche aperte a sghignazzo, e se proprio si voleva giudicarli male bastavano quelle, in smoking accanto a papà in divisa con la pistola alla cintura. Allora perché? c'è da ripetersi.
Negli ultimi giorni dell'aprile 1945, altre foto del genere avevano fatto - ma più in sordina e da molti giornali rifiutate - il giro del mondo. Erano quelle di Benito Mussolini appeso per i piedi, poche ore dopo la sua esecuzione, alla tettoia di un distributore di benzina in piazzale Loreto, a Milano. Condivideva, senza che ciò avesse senso se non di orrore, la macabra esposizione del suo uomo anche Claretta Petacci che non lo aveva abbandonato neanche davanti allo sgranarsi delle pallottole. Che significato e movente aveva questo barbaro ritorno a quando si portavano in giro issate sulle picche le teste mozzate dei nemici uccisi o si mostrava a Place de Grève, tenendola per i capelli, quella di Luigi XVI appena ghigliottinato? L'ordine di prendere l'ex Duce per chiudere la questione senza strascichi internazionali giustiziandolo per mano italiana, e non - come preferivano gli alleati - demandandolo invece a un incerto processo gestito dalle Nazioni Unite, era stato dato dai vertici del Comitato di Liberazione Nazionale. Ma non anche quello, però, di esporne la salma a pubblico ludibrio. Che rappresentava invece esaltato sfogo di libidine vendicativa, come dire, dal basso, contro un potere prima assunto con la forza dell'omicida intimidazione squadrista, poi sottomesso all'ascendente hitleriano e infine esercitato da Salò rastrellando, incendiando, fucilando. Possiede spirali anche la storia, non solo la geometria. Sia in Inghilterra che negli Stati Uniti questa spettacolarità mediatica fu molto severamente stigmatizzata, in nome della civiltà. Al contrario di adesso.
Uday e Qusay Hussein sono stati uccisi nel loro rifugio urbano nel nord dell'Iraq, non più segreto per via di una spiata, in seguito a un assalto in forze di marines appoggiato da tanks ed elicotteri. Circondati da terra, tenuti sotto tiro dal cielo, diroccato l'edificio dalle cannonate, difesi solo da qualche guardia del corpo, non avevano scampo alcuno e forse hanno anche tentato di arrendersi; in ogni caso li avrebbe ridotti alla fame un assedio. Non potevano che, alla fine, essere catturati. Questo lo abbiamo letto in numerosi commenti giornalistici., Sembra invece, e ne son fonte attendibili osservatori, che quel paio di giorni intercorrente fra il loro decesso e la comparsa in effige delle loro facce insanguinate sia anche stato occupato da un'opera di ricomposizione dei loro corpi danneggiati e, insomma, di fotogenìa per ragioni di decenza. Come coloro che issarono Mussolini su quei ganci, anche chi sotto l'elmetto Usa imbracciava mitragliatori in quell'azione aveva certo, e analogamente, presenti i due, tre, cinque, suoi commilitoni caduti ogni giorno nelle imboscate iraqene che la voce stessa di Saddam, ancora nascosto, aizza per radio. Così sono andati ruvidamente per le spicce.
E adesso che due dei corresponsabili della tirannide erano stati beccati, il problema della Casa Bianca era di dimostrare che ciò non era bufala propagandistica ma la pura verità. Dimostrarlo ai combattenti della guerriglia iraqena per demoralizzarli, dimostrarlo all'America che ha già tanti caduti da vendicare, dimostrarlo all'Europa sotto forma di un «Avete visto che l'ho spuntata, che adesso sto vincendo davvero?». Per prematuro che sia dire ciò con Saddam ancora uccel di bosco come Bin Laden, e con quell'area che somiglia sempre più a un nuovo Vietnam, la questione non è questa. O anzi non è solo questa.
Che Bush abbia sentito il bisogno d'una diffusione in tutto l'Iraq di quei due volti stampati, riconoscibilissimi nonostante insanguinati e malconci, proviene dalla necessità di certificare, con l'impatto di una lezione, che l'America è l'America e non può non avere il sopravvento completo. Lo stesso per tutti gli states dell'Unione, cui si intende confermare che chi è nel mirino dei "buoni", cioè loro stessi, non può che soccombere. Ma i giornali europei, quelli italiani, che bisogno avevano di recepire questo impressionante documento rappresentante due cani sconciamente abbattuti, imponendone la vista anche ai lettori non sadici e non necrofili? Non tutti, fortunatamente, sono privi di gusto, di stile, di deontologia, in uno specifico come questo, in cui fa premio lo stimolo ad emozionare, a scuotere (ricordate l'affondamento a piene mani nel noir di Cogne?). Ho infatti visto, al posto di quelle foto, anche due riquadrati bianchi con sotto rispettivamente scritto Usay e Qusay, con implicita polemica verso le agenzie di stampa che le avevano diffuse. E un servizio in cui si diceva che la notizia della loro uccisione era vera, ufficiale e certificata e che proprio non ne occorreva anche una documentazione fotografica di questo tipo.
Ma il punto, dicevo, non è solo questo. Il punto è quello di un sostrato culturale. L'attuale presidente americano non è né un Roosevelt né un Clinton, che dietro a sè avevano un'America più rispettosa del sociale che della finanza privata, e anche individualmente più altruista e non razzialmente armata. George Bush è un texano di ranch che dimostra ad ogni piè sospinto il proprio spirito western. Tutta la vicenda afghano-irakena è intessuta con la corda della legge di Linch, tapezzata con la carta dei manifesti «Wanted», vivo o morto che sia, e con quella dei dollari delle taglie, ispirata dalla prontezza dello sceriffo che è "più lesto ad estrarre" e dal profumo asfissiante del petrolio. Bene contro Male, buoni contro cattivi. Solo che quando i "cattivi" sono da entrambe le parti, rappresentanti l'una un imperialismo economico che attenta con cinica indifferenza alla sopravvivenza di un terzo della popolazione del pianeta e inquina mortalmente l'atmosfera che respiriamo tutti, e l'altra una tirannide feudale e integralista che vive di violenze poliziesche e di sfruttamento, a sua volta, delle masse popolari proprie e non di quelle altrui, béh, è davvero difficile parteggiare per l'una o per l'altra. E infatti la gente iraqena senza risorse e senza censo non ne può più né di Saddam né degli americani ed agisce in fondo contro tutti e due. Bene, pensano, se i marines facessero fuori anche Saddam senior ma bene anche ammazzare più americani che si può, nel frattempo, considerati rapinatori di idrocarburi più che altro. Un osservatore obiettivo non può che impallidire di fronte a queste prospettive, da qualunque lato le si guardi.
Potrà anche accadere, uno di questi giorni, che ci sbattano in faccia Saddam crivellato di colpi o impiccato con la lingua di fuori e il titolo «Adesso sì che abbiamo vinto» (e comunque ad "aver vinto" non basterà; anche perché non dall'Iraq provenivano i deflagratori delle Twin Towers di New York, nè altri eventuali attentatori che probabimente ci dovessero ancora essere). Ma sarà anche questo soltanto un surrogato di quelle immagini che Casa Bianca e Downing Street pagherebbero miliardi per poter invece possedere e diffondere: cioè quelle delle famose fantomatiche «armi di distruzione di massa», nucleari e chimiche, che Saddam avrebbe posseduto, che comunque non ha usato neanche per difendersi, e che tuttavia dopo mesi di ricerche in tutto l'Iraq non si sono trovate, suffragando così un gran dubbio di bluff di quelli da tavolo di poker. Poiché era stato proprio questo il motivo ufficialmente accampato per muovere, in sprezzo dell'Onu e violando il diritto internazionale, guerra all'Iraq.
C'è sempre però ancora il sistema (non ci badate, sto scherzando) che qualche spregiudicato poliziotto talvolta adotta non solo al cinema: di infilare una bustina di coca in tasca a uno spacciatore in quel momento "pulito" e poi arrestarlo gridando: «Flagranza!». Anche al di fuori di questo caso, però, una "giustizia sommaria" ocorrerebbe saperla impedire. E' impensabile che Saddam se la cavi con una Sant'Elena come quel generale francese divenuto imperatore che pure aveva per ben diciannove anni messo a ferro e fuoco l'intera Europa. Ma non deve neanche essere ammazzato come i suoi figli. Il suo posto è sul banco degli imputati del Tribunale dell'Aja accanto a Slobodan Milosevic.