Palinsesto e Timone potrebbero essere, a orecchio, due personaggi omerici. Invece sono due fratelli dei nostri giorni. Operano in campi diversi ed omologhi e sono due tipi molto rigidi ed abitudinari. Ma se succede qualcosa di grosso di cui si devono occupare sono capaci di svolte acrobatiche, trovate estemporanee e anche di capovolgersi del tutto. Non sono comunque due persone, sono due schemi. «Palinsesto» è la mappatura preventiva di una giornata televisiva (o di un più lungo arco temporale di emittenza), «timone» è un foglio, singolo o doppio, che contiene tante caselle quante saranno le pagine di un giornale. Il primo corrisponde a una sequenza di tempi assegnati a vari generi di programmazione, il secondo a quale sarà di ciascuna pagina il contenuto. Entrambi hanno un ruolo di guida per quanto riguarda l'ordine da seguire, rispettivamente, dei tempi e degli spazi nella emissione e nella stampa. Entrambi accettano però un criterio di tempestiva disponibilità a modifiche. Tanto è vero che, etimologicamente, palinsesto era la pergamena contenente testi di potenziale durata secolare ma occorrendo raschiabile per sostituire questo suo contenuto con un altro. E il timone serve a mantenere la rotta ma anche per sterzare a dritta oppure a manca a seconda da dove arrivi un'onda improvvisa. Tuttociò che vediamo seduti davanti alla tv o che leggiamo in poltrona su un quotidiano od un periodico obbedisce alla necessità di questo preliminare lavoro. E del resto anche prima del film viene uno story-board, la pianta di un palazzo ne precede l'assonometria e pure Michelangelo per dipingere partiva da un bozzetto. Perfino l'autore di un romanzo giallo, pur se induce noi a provare a scoprirlo, chi è l'assassino lui lo sa da prima, per potersi regolare a seminare gli indizi. Nei giornali audiovisivi e stampati questo è tanto più indispensabile per l'enorme relativa ristrettezza di orario fra quando ci si mette mano e quando il prodotto deve essere finito ed offerto.

Per ora palinsesti di televisione e timoni di stampa quotidiana prevedono ogni giorno che la parte di essi che è notiziario attribuisca in video il maggior tempo e in edicola il gruppo di pagine iniziale alla Guerra Mesopotamica («Americani, rispettate i resti archeologici di Babilonia» è un appello che parte dal Cremlino mentre Bagdhad tenta di diventare una nuova Stalingrado), che in realtà più che una guerra fra eserciti è un campionario di alta macelleria urbana. Lì una volta ci stavano gli Assiri, coi primi prodotti culturali, artistici e scientifici da cui ebbe genesi la così poi divenuta "civiltà occidentale", anche se dopo il nome Siria è invece pervenuto a un altra nazione, che con l'Iraq confina. Cerchiamo però di ricordarli com'erano prima di ciò, palinsesti e timoni, e come si auspica ritornino ad essere quando (quando?) a tutto questo sarà succeduto un "dopo" che comunque speriamo davvero ci sia e non abbia invece rimandi generazionali. Perché è appunto a come essi si presentavano ante questo evento e come si ripresenteranno a guerra espunta che vorrei dedicare questa settimana la postmoderna rubrica che vengo scrivendo.


Tutte le redazioni, sia di stampa che televisive, sono dipartimentate, cioè suddivise in settori. Dire "tutte" esclude naturalmente le locali più piccole, perché ovviamente uno staff di quattro gatti non può che essere impegnato in una versatilità tuttologica. Ed esclude anche quelle delle agenzie di stampa, le quali le notizie le devono dare via via che se le procurano, e facendole dunque susseguire senza ordine tematico e magari integrando o rettificando quelle già date in precedenza. E questi settori sono gli stessi per ognuna di queste testate: esteri/interni, cronaca, economia, sport, cultura/spettacoli. Quelle maggiori hanno il gruppo politico non unificato ma spartito in due settori: esteri e interni; e così quello di intrattenimento: cultura e spettacoli. Inoltre ne hanno uno per gli "speciali" (inchieste, reportages, varietà), uno dedicato alle pagine riservate ai capoluoghi di provincia dell'area di più intensa diffusione, e uno infine che cura le pagine cosiddette "di servizio" (ci sono pure le notizie meteorologiche, gli orari delle farmacie e dei treni, la posta dei lettori, i cruciverba e gli oroscopi, no?).


Mentre un palinsesto, per quanto riguarda le news, è unidirezionale e la sua gerarchia scorre dalle cose più importanti a quelle che lo sono meno, cioè da un inizio a una fine scandite intermediamente dai minuti o da gruppi di minuti, a una testata cartacea si accede da due parti. Fateci caso: a colpo sicuro su tema annunciato dalla prima pagina e sapendo che lo trovi subito ci arrivi solo sfogliando da pagina uno, due, tre... oppure da pagina ultima, penultima, terz'ultima... Per il resto devi aprire il fascicolo a casaccio o cercare con pazienza in alto a sinistra il numero della pagina indicata, o forse anche no, nella prima. Il che, quando sono 64, non è un'operazione veloce. Solo il paginone centrale, fra le intermedie, è raggiungibile senza fatica, dando cioè un'occhiata o tastando col dito per trovare, e si fa presto, il luogo interno di ultima piega. Dunque le pagine "previlegiate" sono quelle iniziali, quelle di coda, e in subordinata il luogo centrale dell'intero incarto. Si comincia con il primo gruppo, che contiene i fatti eclatanti; della politica, normalmente, ma soppiantati spesso dalla cronaca più o meno nera (un delitto, un processo); ma sono in tanti a cominciare invece la lettura del giornale partendo dal fondo, dato che le pagine dedicate allo sport proprio lì si trovano. Per questo i giornali un tempo - e parecchi ancora - dànno/davano collocazione lì alle cosidette "pagine di servizio": programmazione dei cinema e loro orari, programmi tv, arrivi e partenze di treni, e farmacìe di turno. Tuttociò, insomma, che ti serve di sapere con prontezza.


Sono in genere i tifosi quelli che cominciano a guardare il giornale dall'ultima pagina, viaggiando poi a ritroso nel suo interno. E anche quelli che tifosi non sono ma considerano il fatto che il Real Madrid abbia rubato il centravanti a una squadra di casa notizia più importante di una dichiarazione di Kofi Amman sul voto del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Una volta era la cultura a stare in fondo, nel senso che la penultima pagina era quella delle recensioni dei libri, dei teatri, dei concerti (quelle dei film stavano invece spesso assieme alle programmazioni dei cinema e alle rispettive pubblicità). La cultura più "alta", quella dei grandi temi e delle grandi firme, aveva invece per sé la pagina numero tre, la famosa «Terza». Con le lettere, le scienze e le arti, insomma, i giornali facevano iniziare il viaggio del lettore fra le proprie pagine, e lo facevano poi anche terminare. In mezzo tutto il resto. Sono le pagine di destra quelle su cui cade per prima l'attenzione di chi sfoglia, cioè quelle col numero dispari; è un semplice fatto ottico posizionale, per cui una cosa su cui va richiamato l'interesse è a destra che i responsabili dell'impaginazione la collocheranno. E anche come spazi pubblicitari quelle di destra infatti hanno un certo ritocchino in su di tariffa, e per lo più è l'inserzionista stesso a chiedere l'«a destra» del suo annuncio, che può anche essere a pagina intera.


Poiché il dispari 3 è quello che viene subito dopo l'1, e poiché i dispari sono a destra, la pagina 3 è quella che cade per prima sotto l'occhio appena si apre un giornale. Ed è dunque, in un giornale, non "una" ma "la" pagina previlegiata. Da quanto tempo non è alla vetrina culturale della testata che essa viene dedicata più, venendo così meno a una costante nel tempo radicatissima? Esattamente da quando la televisione incalza la stampa. Privati ormai dal video, come essi sono, del primato della notizia, e arrivando su di essa solo in seconda battuta, i giornali sono costretti ad esaltarla al massimo servendosi dei mezzi che i Tg non hanno: mentre quelli, cioè, possono restare su un argomento non più di un certo minutaggio questi possono dedicargli quante colonne, e fotografie, e titoli, vogliono, e per quante consecutive pagine vogliono. E, se la vogliono esaltare come si deve, non possono fare a meno di cominciare a trattarla appunto fin da quando tu il giornale appena comprato lo apri. Come poteva dunque la cultura star più, diventando interruttiva, a ingombrare il timone proprio là, in terza? Occorreva dunque farla "scivolare".
Ma scivolare dove? Dopo il gruppo esteri/interni, cioè dopo la politica, e dopo quello dei fatti di cronaca? Eh no, perché oggi c'è l'economia che tira anch'essa come notiziario. Ogni giorno c'è qualche grossa entità di questo comparto che ne compra un'altra, o viene venduta, o si fonde, o lancia un'OPA, o va in crisi, o sostituisce presidente od amministratori, o invade un nuovo campo. E poi ci sono i cambi, e la borsa, e le refluenze sui prezzi e gli aumenti tariffari; e il teatrino dell'auto, e quello del petrolio, e degli alimentari; e le norme comunitarie, e le reazioni alle norme comunitarie. E poi i personaggi: manager come spadaccini o addirittura come corsari, e quindi duelli e battaglie; paperoni che paperoneggiano e nuovi emergenti spericolatissimi e fortunati, slalom sull'orlo del crack e colpi a segno da far saltare il banco. Le loro facce appaiono ormai in fotografia con la frequenza di quelle di ministri (di molti dei quali sono più potenti) o di attori del cinema (ai quali contendono accompagnatrici splendide). Che palcoscenico. E come si tira dietro i lettori. Controprova ne sta nel cospicuo numero di pagine ormai dedicato all'andamento dei titoli quotati, fitte di numerini che impongono lente d'ingrandimento, ma che i lettori divorano perché ormai i risparmi non li tengono più nei conti correnti o in BOT ma li affidano agli investitori che attraverso le pagine e gli spot pubblicitari ti promettono delle Bengodi, poi magari non mantenute.


Potevano queste pagine qui non spingere quelle della cultura più indietro ancora nel corpo del giornale imponendosi nel precederle? C'è un quotidiano che, pateticamente, intitola «Terzapagina» la numero 29. Dunque adesso nel timone dei giornali il settore cultura precede solo quello dello sport. Ma è una precedenza, anche questa, abbastanza apparente. Primo perché lo sport dispone di molte più pagine. Secondo perché, come abbiamo visto, le pagine sportive si raggiungono da un accesso diverso: non cioè dalla prima pagina bensì dall'ultima, alla quale sono addossate. E chi considera Schumacher più interessante di Eco e i calci di Totti più entusiasmanti di una riflessione su Garcìa Marquèz il giornale lo apre da lì. Un'altra conseguenza è che nel più delle testate questo trascinamento all'indietro del comparto Cultura nella sequenza impaginativa lo ha fatto praticamente fondere con quello Spettacoli. «Cultura & Spettacoli» è infatti diventata un'epigrafe unificata.


Ma non c'era anche il paginone centrale? Sì, anche quello, s'è detto, era una sede o d'inchiesta o di servizi culturali. Ma l'effetto di deriva delle successive causato dalla moltiplicazione delle pagine di economia ha fatto nascere il paginone finto. In cui i servizi si sviluppano sì su due pagine affiancate ma non sullo stesso foglio, dividendo così su due quartini separati anche una foto o un titolo, che non saranno così estraibili se non a strappo. Il paginone, cioè il "verso" del foglio centrale della fascicolazione, precede invece di qualche pagina ed è stato dedicato ad altro. Per adesso, comunque, i giornali assegnano una gran quantità di pagine dopo la prima (dalla 2 si arriva anche fino alla 7 o alla 9) alla Guerra Mesopotamica e ai suoi connessi. Così come i telegiornali si intrattengono su di essa anche per venticinque dei trenta minuti di cui dispongono, strizzando tutto il resto nei rimanenti. Sarà così ancora per un certo tempo. Nel frattempo gli altri tipi di notizie ci rimettono. Tranne quelle dell'economia, che hanno bisogno perenne d'esser messe in circolo, e anche la forza per ottenerlo ma che però non sono sempre affidabili. E quelle dello sport, che comuque in tv hanno una testata particolare a parte, e nei giornali, il lunedì, hanno a loro disposizione metà del timone.


Vogliamo trarre una conclsione di tipo sociologico a quel che s'è detto? Può essere anche telegrafica. Fa audience oggi, suscita interesse lettorio, solo l'immediato, non le prospettazioni, le analisi, i ricordi. La cultura tout court sta venendo travolta da una "cultura di massa". E' la gente che ha cambiato orizzonte? No sono i media che glielo fanno ballare intorno. Ma sono i media ad essere malprogrediti? No, anzi, ma essi sono sempre più in mani non acconce.