Indro Montanelli non usava il computer. Anche le ultime frasi destinate alla stampa che aveva scritto prima di morire le aveva battute, come sempre, sulla sua vecchia Olivetti Lettera/22. Però è difficile pensare che questa sua irremovibile abitudine comportasse tuttora anche le conseguenze procedurali che un tempo accompagnavano, appena finiti, i suoi articoli - gli articoli di tutti i giornalisti - verso la rotativa. Che cioè quelle righe fossero poi da lui dettate per telefono alla redazione se erano state scritte altrove, o affidate a un fattorino che le portasse in tipografia se le aveva stese nel suo ufficio di via Solferino.
Mi viene più facile immaginare che, per primissima cosa, qualcuno (una segretaria, un collaboratore, un praticante di redazione, un dimafonista?) dovesse invece, quel "pezzo", andare a copiarlo di corsa su un computer. La "macchina" di un giornale da molti anni non accetta più dattiloscritti, e quando le arrivano (documenti ufficiali, lettere di lettori) vengono infatti immediatamente trasformati in prodotti di videotastiera o di scannerizzazione. La confezione di qualsiasi pagina avviene, si sa, nel computer e perchè esso, seguendo i comandi dell'operatore, possa collocare quel testo nell'area grafica assegnatagli è necessario lo possieda già nella propria memoria e da questa possa richiamarlo. Per giusto rispetto portato a un maestro il "Corriere della Sera" continuava cioè a permettere un "passaggio di duplicazione" da tempo proibito a chiunque per ragioni di economia aziendale e di tempestività operativa.
E' una metafora, questa che sto dedicando al grande decano del giornalismo italiano della cui presenza siamo appena stati spogliati (ed è un mio modestissimo modo di rendergli omaggio), che rappresenta secondo me molto bene la nostra - duale - condizione del momento. Di dover vivere cioè un presente tecnologicamente avanzato dal quale la nostra stessa professione ci impedisce di straniarci, ma di aver anche il dovere di non abbandonare in questo mare la nostra individuale personalità, i nostri comportamenti identificanti. Sta sorgendo una generazione (e molti sociologhi manifestano per questo ben motivate inquietudini) minacciata di poter diventare, in certo senso, priva di passato. E' quella, appunto, coetanea del computer. Una generazione cioè talmente bombardata dal moltiplicarsi e velocissimo sovrapporsi delle attualità usa-e-getta, da smarrire, o fortemente rischiar di smarrire - sostituendolo con quello di contingenza - il concetto stesso di esperienza.. Che non è, si badi, la somma del mio diretto e personale vissuto bensì la nozione dei fatti e degli eventi la cui concatenazione, e non altro, ci ha portati fin qui e ci spinge verso il futuro. Parola da non scriversi peraltro con una maiuscola fatale ma che consiste invece, fortunatamente, in un ventaglio di futuribili. (Sono ben tre futuribili assai diversi, per esempio, e coinvolgono la sorte del pianeta, quelli che si sono scontrati a Genova pochi giorni fa).
La macchina da scrivere (quando è nata, a metà del XIX secolo, si chiamava "cembalo scrivano") di Montanelli è la metafora della sua schiena orgogliosamente dritta e andrà messa in una bacheca come la sciabola di Garibaldi. Anche se novantaduenne egli era tutt'altro che fuori dal nostro tempo, ma quel suo pigiare quotidiano sui tasti che martellavano carta facendo tac-tac-tac era il semplice bisogno di continuare a riconoscere se stesso nella manualità artigiana (la macchina da scrivere non cancella e ti costringe quindi a meglio meditare) di tramutare il pensiero in segni alfabetici. Pur avendo sempre gli occhi della mente tanto aperti sulle novità sociali da adeguarvi, mutandola coraggiosamente non una volta sola, anche opinione propria. Va pure costatato, insieme, come ci siano tanti e tantissimi giovani che non saprebbero più fare a meno di cellulare e di web, ma che tuttavia resistono alla deriva globalizzante la quale se ne fa strumento e simbolo e non ne sposano il cinismo. Non li rendono cioè demarcanti, non li hanno per status symbols, non li usano come gadgets ipnotici, bensì li considerano strumenti di lavoro, di ricerca, di solidarietà. E anche di informazione alternativa. Chi li produce e li commercia mira al Mercato e al profitto, non farsene ubriacare sta in chi li usa.
In effetti la generazione sorgente sarà protagonista di una grande partita e il fatto che l'esito di essa sia incerto non impedisce il gusto (ma anche il dovere) di giocarla. A me, per arrivare all'età toccata da Montanelli ne mancano solo ventuno e dunque anch'io sono della generazione delle linotypes, ma dato che quando mi sono seduto per la prima volta davanti a un computer ne avevo appena cinquanta adesso sceglierò se queste 4000 e rotti battute che sto finendo di digitare a casa le faccio avere in redazione con un floppy o una e-mail.
Il cembalo elettronico (avvertenze per l'uso)
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- Scritto da Etrio Fidora
- Categoria: Secolo postmoderno