Questo «Secolo Postmoderno» n° 212 che sto digitando è quello del suo congedo. Era comparso per la prima volta il 25 novembre del 2001 ed è sempre continuato puntualmente ogni settimana, tranne gli annuali periodi di vacanza accademica, quindi per la bellezza di cinque anni e un mese, quasi un piccolo record. Perché smetto (e devo dire molto, molto, a malincuore)? Non certo perché se ne sia stufata questa testata, e altrettanto certamente neanche perché se ne sia stufato il sottoscritto, suo autore. Le costanti tematiche di essa - comunicazione, tecnologìe, linguaggio - continuano ad essere base della disciplina che insegno ed a fornire in modo anche incalzante ondate di attualissimi spunti. E' invece un altro, dunque, il motivo della mia decisione e consiste nel moltiplicarsi dei miei impegni professionali, i quali hanno finito per occupare in modo ormai non più estensibile le mie giornate (io sono uno che lavora pure la domenica e fin tardi la notte anche se sono ormai in avvicinamento al diventare ottantenne, e che campa tuttavia bene psicofisicamente appunto per la buona adrenalina che ha cura e stimolo di tenersi sempre in circolo). Il fatto è che ho assunto recentemente un altro paio di lavori in campi d'attività diversi e quindi mi son venuto a trovare nella necessità, o meglio nell'obbligo, di effettuare delle scelte. Scelte nelle quali ovviamente incidono, e così non può non essere, anche le contropartite economiche che dal mio spendermi ricavo. Provo per questo, ovviamente, molto dispiacere, ma senza trovarvi in termini umanamente comprensibili motivo alcuno per scusarmi; anche se resta chiaro che nessuno, e tanto meno io, si distacca volentieri da un proprio target di lettori, nella fattispecie parte antico e parte più volte avvicendato. Queste mie rubriche son state dedicate qualcuna a mettere accenti, qualche altra a lanciar segnali, altre ancora a decodificare ed approfondire, taluna ad assumere prese di posizione. Nel complesso penso di avere espresso più diagnosi critiche che entusiasmo d'apprezzamenti su quanto nei campi che ne son stati oggetto accade e di non avere sparso un granché di ottimismo sul nostro futuribile mediatico, non costituendo quest'evo postmoderno, così cinicamente arido e sempre più forzatamente scevro da illusioni, il migliore o più tranquillo momento dell'umana storia. Per rivoluzionari che sian stati l'avvento della ruota nei trasporti e nelle attività produttive, della mobilità dei caratteri di stampa nell'informazione e nella cultura, e quello dell'elettricità in una molteplicità di campi, non sono mai stati insieme anche fonte di mutazioni antropologiche così radicali come quelle appunto dalla mentalità postmoderna e dall'affermarsi dei new media causati. Né di vantaggi pratico-scientifici alternati a disastri socioculturali proprio tipo gli strati di un panino, come elettronica, cibernetica e biotecnologìe stanno, sommandosi, facendo per ora. E' figlio del progredire telematico sia il "villaggio globale" che tutti (potenzialmente, eh) ci avvicina, sia quel digital divide che sparte il mondo fra aree territoriali abitate da comunità dedite alla materialità d'un welfare diffuso ma contenente sia generalità di consumi obbligati che ristrettezza di selezioni accumulative di maxi-ricchezze, e aree territoriali abitate da comunità che non hanno come noi il computer al centro della vita e sono invece destinate a sfruttamento, a desertificazione, a fame, a mortalità accelerata. Nihil novi? Certo, nihil novi sostanzialmente ma non in queste proporzioni. Si possono, mostra la storia, esportare con la forza le tirannidi, ma non la democrazia: quella ciascuna comunità che ne sia capace può, se ne ha ideale, conquistarla soltanto e unicamente da sé. (Che test, in materia, la guerra portata in Iraq, Paese che non c'entrava niente con quel famoso 11 settembre ma che è stato oggi fatto irresponsabilmente diventare per il mondo assai più pericoloso di quando c'era Saddam...).
Di quando e come nasce e si configura il Postmoderno, superando, rigettando e sostituendo i valori che avevano fondato e guidato la modernità, avevo parlato cinque anni fa nella rubrica n° 1 che aveva iniziato questa serie, esponendo poi nel corso di tutto questo tempo come fosse stata proprio la comunicazione - interpersonale e di massa, fatta di segni/suoni o non verbale - ad esserne principale connotato e motore essenziale. E usando eventi, comportamenti, evoluzioni ed involuzioni linguistiche, innovate particolarità messaggistiche via via prospettantisi, per documentare ed esemplificare tutto questo. Più o meno bene, più o meno felicemente ma sempre per supportare di riscontri quelle che sarebbero se no state delle semplici opinioni personali. Riuscita e valore effettivo di una rubrica così - lo ammetto doverosamente in giusta ed assoluta modestia - sono dunque tutte da stabilire, e tutte da considerare ancora sub judice le sue singole puntate. Io le ho comunque elaborate e messe giù con grande impegno e anche con il gusto passionale, oltre che intellettuale, di farlo. E ora che considero conclusa tale fatica, poiché anche fatica è stata, e senza escludere di potere in futuro utilizzare, chissà, ancora e magari anche altrove, questa formula di testata («Secolo Postmoderno») da me inventata ed i suoi particolari e sempre molto personalizzati contenuti, non mi resta che ringraziare con sincera effusione chi me lo ha permesso; cioè «Ateneonline» e tutti i suoi responsabili che si sono in quest'arco di tempo succeduti, e anche tutti coloro - studenti di due Università ma anche molti altri - che ne sono stati in questi anni lettori (so di chi se le è scaricate e stampate tutte e ne possiede la raccolta) e che stanno in questo momento leggendo questa puntata cui dalla prossima settimana un'altra non seguirà. Grazie dunque a tutti ed anche a coloro - ce ne sarà pure stati - che avessi invece in questi cinque anni annoiato. Dato che qualche ripetitivo "pallino" so di averlo comunque venialmente avuto, e vorrei peraltro vedere chi non ne ha. L'importante è che il ciò non sia corrisposto a convinzioni astratte o pregiudiziali, e questo non è mai, lo dico con sicurezza, davvero stato. Allora adesso sipario, e auguri di cuore a tutti dato che fra poco è Natale e subito dopo Capodanno. Nel 2007 farò altre cose ma ricordando sempre con molto piacere di avere fatto, nel primo lustro di questo nuovo millennio, anche questa. Insomma espiro un immenso grazie di nuovo e anche un po' commosso, guardate.