Già due Facoltà di Giurisprudenza fanno da apripista per un ritorno a maggiore serietà strutturale negli studi universitari. O almeno sono due (Trieste e Palermo) quelle di cui ho casuale notizia al momento io, mentre potrebbe darsi benissimo ce ne siano già pure delle altre, e anche di diversa specialità, in altri Atenei italiani. Ma di che si tratta? Del ritorno - evviva! - a un corso di laurea quinquennale al posto di quel 3+2 istaurato e consolidato dalle sciagurate riforme Zecchino e Moratti, causa di danni gravi per tutti gli studenti e per la qualità stessa degli studi. Meglio tardi che mai, insomma, anche se perfino uno come me, che non sono certo accademicamente la cima delle cime, e anzi neanche un accademico, le tipologie di danno su più fronti del cosiddetto «nuovo ordinamento» le aveva còlte da subito, definendo sin da allora e in modo argomentato questa riforma come stupida, ed assurdi i suoi dequalificanti modi di attuazione. Per quanto riguarda la Facoltà palermitana trattasi di iniziativa che ho appreso, ovviamente con festa, dalle colonne stesse del notiziario di «Ateneonline»; per quanto riguarda quella triestina, essa è emersa in occasione di un'intervista al nuovo Rettore neo-eletto, il quale aveva già recentemente adottato questa misura quand'era ancora solo preside appunto di quell'omologa Facoltà. Spero fortemente, ora, che nel suo attuale ruolo superiore possa promuovere presso detta sede l'allargamento anche alle altre Facoltà almeno umanistiche di tale felice (posso chiamarla così?) retroinnovazione.
Prendiamo i corsi di laurea in Scienze della Comunicazione. Presupposto del «3 + 2» era, nelle primitive intenzioni, un comune a tutti triennio di base dislocante un pacchetto di materie che dèsse sufficienti fondamenti socioculturali, percettivi e psicologici nonché linguistici e tecnologici, anche sotto il profilo storico, capaci di supportare capacità e di fornire esperienze di tipo multimediale. Conseguita questa «laurea di primo livello», dunque di per sé incompleta, avrebbe dovuto aprirsi un ventaglio di accessi a diversi corsi biennali «specialistici» di secondo livello per quante appunto differenti specialità il mercato del lavoro sta in tale vasto comparto offrendo. Criterio non da respingersi tout court, ovviamente. Prima si diventa infatti medici generici e poi specialisti in odontoiatria, gastroenterologìa, oncologìa, cardiologìa, eccetera. Prima ingegneri per cultura tecnica essenziale e poi si va per la strada edile o navale o aereonautica. Prima avvocati e poi penalisti, civilisti, matrimonialisti, tributaristi... Solo che le specializzazioni devono essere effettive e reali, e consentire particolari sperimentazioni seminariali o di laboratorio (appunto basicamente multimediali, ovviamente). Altrimenti sarebbe come concepire - faccio l'esempio più macroscopico - una Facoltà di Medicina priva di un Policlinico.
E invece? Invece l'ipotizzato gran ventaglio specialistico biennale è risultato praticamente inesistente, così calvo com'è risultato di stecche da non poter essere miratamente usato, e alla fin fine abbastanza generalistico di fatto anch'esso e contenente spesso pure materie definibili come doppioni di taluna già comparsa nell'àmbito triennale. Dove sono p. es. le specializzazioni articolatamente attinenti i singoli media? E dov'è la gran quantità stabilizzata di specialistici docenti che ad esse dovrebbero ineludibilmente essere riferiti? Mentre ci sono, Università per Università, paradossalmente, addirittura corsi di primo livello con denominazioni di tipo proprio, e incongruamente, specialistico (vedi Tecnica Pubblicitaria o Uffici Stampa)... E' chiaro che tutto questo provoca vaste diserzioni studentesche dal secondo livello e il fiorire invece di una quantità di singoli master a numero chiuso di frequentanti, magari solo annuali e questi sì "mirati" ma costosissimi. Mentre nelle Facoltà italiane s'è allargato a macchia d'olio, come espediente di copertura, il fenomeno dei docenti a contratto di diritto privato a tempo determinato (obbligati, giustamente, a identici doveri ed annuale impegno temporale ma straordinariamente dispari invece nei diritti e nel corrispettivo economico). Fenomeno positivo e valido nell'in sé quand'era sporadico e selezionato ma certo non più ora: a Trieste si verifica, per dire, che a Scienze della Formazione siamo pervenuti ad essere, e non di poco, la maggioranza del corpo docente e questo rende difficile, delicato e anche irregolare gestire le convocazioni degli organismi di Facoltà dei quali pur facciamo parte anche noi per legge.
Altre due grosse tabe, per la verità, questo postmoderno riformismo universitario ha fatto affermare, che andrebbero in qualche modo razionalizzate e riportate a funzionalità. Il meccanismo burocraticamente contabilizzante e del tutto astratto dei crediti - inducente fra l'altro a suddividere in due o tre moduli, cioè in "dosi frazionate", le materie - e pretendente di stabilire un'impossibile unità di misura comune per il rendimento (così ridotto ad essere solo simbolico) di una singola ora di studio in aula o a casa. E il meccanismo invece da roulette russa e su sola particolarità mnemonica basato (invece che, come dovrebbe, su complessiva metabolizzazione dell'appreso) di un sistema d'esami consistente in quiz a crocette. Che potrebbe essere magari concepibile per gli aut aut da cui non si scappa di una prova, che so, di chimica ma che p.es. nulla ha di somigliante con un test psicologico comportante invece grande fluidità analitica e personalizzazione descrittiva. Uno studioso americano di gran fama internazionale come Neil Postman ha proprio ravvisato in ciò come un'inammissibile rinuncia da parte docente a voler proprio valutare ciò che davvero è stato elaborato e fertilmente rimasto nella mente di ciascun studente, allo scopo di un'equa attribuzione di voto. Su ciò comunque non mi dilungo perché già altre volte negli ultimi anni me ne sono in varie sedi occupato, questa rubrica compresa, dato ciò cui mi applico in materia di comunicazione, quella didattica compresa.
Quel che è ad ogni modo da auspicare ora è che tuttociò venga - e pare proprio che sarà - rimesso in discussione in sede governativa nazionale, allo scopo di restituire alle Università tuttociò che gli ex ministri Zecchino e Moratti han loro tolto, dequalificato, distorto. Lasciando cioè distinti nella loro consecuzione annuale i cicli di base da quelli di specializzazione, ma coerentemente connessi in unico progrediente corso di studi con la pienezza di una monolaurea senza scalini di serie B. Si che non si induca più a supporre, buffamente, che per esempio gli uffici stampa possano sul terreno giornalistico costituire un inizio di carriera - che sarebbe oggettivamente, e anche deontologicamente, fuorviante - invece che un ruolo cui efficientemente si può pervenire solo essendo prima passati da esperienze relative ad altri media, maturate queste sì in modo formante.