Mi sembra essere non futile e neanche poi troppo bizzarra cosa usare per la rubrica di questa settimana un estratto della lezione conclusiva del mio corso FAD di quest'anno dedicato a «Teoria e Tecniche del Linguaggio Giornalistico», nel quale riassumo e condenso per gli studenti aspiranti giornalisti o comunque perseguenti una laurea in comunicazione che l'han seguito, il "filo rosso" che l'ha guidato lungo tutte le precedenti quarantasette in questi mesi da me tenute. Non certo come "riassunto delle puntate precedenti" e neanche come formale sigillo di un "corpus" ma proprio riallacciandomi ad anello concluso a quanto avevo sin dalla prima enunciato a mo' di provocatoria prefazione atta a spogliare questo argomento sia da illusioni che da velleità.
Circola ancora una versione molto romantica del mestiere di giornalista. Che lo immagina soprattutto come un frequentatore di ambienti interessanti, in grado di intrattenere conoscenza diretta con una crema di persone, di appagare non ordinarie curiosità umane e di location, di visitare retroscena emozionanti, di viaggiare in lungo e in largo il mondo. E poi di sedere davanti a uno scherrmo bianco e digitare in bello e convicente stile la traduzione in parole di quanto s'è acquisito, dando a chi ne sarà poi lettore non solo informazione ma anche piacere di lettura, da trasferire a propria notorietà d'autore, divenendo così persona nota e ricercata. Che bello aspirare a tutto questo, no? Bèh, qualcuno che ci arriva c'è ancora, anche se la visibilità non s'accompagna sempre alla qualità ma si nutre d'altro tipo di spinta, però lo standard di questo mestiere, cioè la sua normalità, è tutt'altro.
La verità è che nove giornalisti e mezzo su dieci fanno ben diversa vita e la loro giornata è assai più banale e meno avventurosa che non si pensi: e qualche volta perfino noiosa. E fra quello zero virgola cinque residuo va per contro anche pensato essere inclusi tutti quei soggetti a rischio i quali sono inviati all'estero sì ma sui fronti di guerra o di guerriglia, e che negli ultimi dieci anni quasi cinquecento di essi sono rimasti in varie parti del mondo vicine o lontane uccisi.
La maggior parte di coloro che compongono questa nostra categoria trascorrono invece il loro tempo lavorativo davanti a un desk. E anche il giornalista-che-scrive-solo-le-cose-sue non consegna semplicemente dei testi bensì dei prodotti informatici codicizzati, assumendosi pure una serie di funzioni un tempo ad altri e in sede tecnica delegate ed ora invece risiedenti tutte nel suo computer. Dando cioè da subito ai suoi pezzi - una volta questo lo facevano gli operai tipografi - font, corpi e giustezze già perfettamente corrispondenti per rigaggio e aspetto allo spazio loro riservato in pagina. Fornendo titolazione propositiva di dimensioni e forma assegnate; essendo altresì adesso doverosamente egli stesso superattento correttore delle proprie bozze sin dalla partenza.
E poi ci sono quelli che non sono addetti a scrivere ma solo a gestire in modo computerizzato il lavoro degli altri, costruendo le pagine, oppure a rielaborare prodotti d'archivio o d'agenzia. Questo nelle redazioni, beninteso, ma poi ci sono gli addetti ad uffici stampa il cui compito è di complilare rassegne e sfornare comunicati. E proprio statisticamente si sa che ogni giorno sono assai più i comunicati stesi che non gli articoli redatti. Avendo però, almeno per legge, tutti i loro rispettivi autori, nonostante l'enorme differenza di qualità e di compiti, titolo di giornalista.
Ed è per questo che in tale corso ho inteso soprattutto e gradualmente proporvi una terza figura di giornalista, che non è quella aureolata e sognata in rosa e neanche quella grigiamente divenuta impiegatizia. Ma che corrisponde alla multimedialità di strumenti e di linguaggi cui la nostra professione oggi si applica. Cercando di far capire come l'espressione giornalistica non sia ormai più solo fatta da sequenze di segni alfabetici ma anche di fonìa e di gestione d'immagini, di propria apparizione visiva in esterni e in studio, di fotografie e di filmati, di grafica impaginativa e di "effetti". Di comunicazione basata anche su creatività e fantasia. Forse difficile possederle tutte quante al livello maggiore, queste doti, in unico bagaglio individuale, ma è necessario non limitarsi a utilizzarne solo una ed una sola perseguire. Si può passare dalla carta alla tv o viceversa, anzi oggi è frequente, e saper operare in differenze modali anche notevoli diventa preferibile e spesso indispensable. Ed ho cercato dunque di coprire, lungo lo svolgimento del corso, un arco di esigenze ben più ampio di quello che era bastevole una volta.
E' stato, lo ammetto, un corso molto personalizzato, sia nella sostanza che nella sua articolazione didattica, facendo costantemente ricorso a quanto appartiene alla mia lunga esperienza individuale di grande ventaglio tipologico, iniziata - e già allora con spirito di invenzione - a 17 anni e tuttora in corso dopo altro fecondissimo mezzo secolo. Fornendo ed illustrando esempi più che insegnando regole, ed ammonendo anzi a diffidare di esse. Sono i princìpi, e non queste, a contare come fondamentali in un mestiere come il nostro, e non mi stancherò mai di ripeterlo. Se il giornalista è, come è, un operatore intellettuale con ruolo preciso nella società, sta a lui non solo di darsi criteri selettivi ma anche di inventare, inseguendo i tempi e venendone stimolato, procedure nuove. Il giornalista è mediatore sia di news che d'interpretazione e discussione di esse e dunque il suo compito è anche di orientare e provocare confronto. E questo con una varietà di mezzi di cui la semplice parola ne rappresenta uno solo. E ai quali si stanno aprendo, con risorse originali e illimitate di tempo reale" e di efficacia espositiva sia sintetica che illustrata, sia documentaria che confrontata, le nuove incombenti forme di giornalismo online.
Una fotografia o una vignetta possono essere più efficaci di una descrizione o di un discorso perché fanno scattare istantaneamente in chi le osserva una scintilla che non è solo apprendimento ma anche reazione, comprensione, consenso, impulso critico. Il modo sequenziale o metaforico o contrastato con cui una serie di riprese televisive viene montata in studio può influenzare uno spettatore così come - o anche più intensamente - fa il periodare di una grande penna da réportage. Giornalismo l'uno e l'altro, ma quanto differenti le tecniche espressive. E neanche per fare giornali stampati basta che siano semplicemente scritti ma occorre colpiscano con titoli, immagini e disposizione grafica. Messaggio squisitamente giornalistico anche tutto questo. O no?
E' il visual a completare la scrittura, a renderla prodotto gradevolmente e non osticamente acquisibile e quindi anche a far preferire uno di questi a un altro pur se il loro contenuto fosse assolutamente simile. Non basta raccontare in buona lingua e con sintetica esaurienza una cosa, devi anche fare arrivare questa cosa al fruitore anzitutto per il canale dell'occhio, a dunque costituire offerta più ravvicinata. Per giungere a comunicare con immediatezza necessita ottenere visibilità, e la visibilità si materializza anche con la trovata, con la sorpresa, con un'emozione suscitata. Ecco perché è delicata questa professione, perché effetti di questo tipo possono sì esser frutto sia di esperienza che di estemporaneità; di grande serietà e finezza, ma anche, sul versante opposto, di cialtroneria da saltimbanchi. Ce n'è.
Ho cercato di avere molta cura a dimostrare questo, non so - ma spero di sì - se riuscendovi, durante il corso, ma senza trascurare e facendone anzi un fondamento preliminare la parte storica. Non sarà mai sottolineato abbastanza che non capiremo assolutamente in che tipo di presente stiamo nuotando, e quali diversi futuri anche inconsapevolmente ci stiamo costruendo, se non saremo a conoscenza non imperfetta del passato o manifesteremo nei confronti dei suoi passaggi-chiave noncuranza o superficialità. Se non ci saremo procurata cioè nozione esatta e controllata dei concatenati meccanismi causali che via via, per evoluzione o per rigetto, per prevalenza o per scacco, ci hanno condotto ad essere quello c he siamo, in un diorama d'ambiente che avrebbe potuto, o potrebbe ancora essere, anche differente. Ogni cosa è effetto di una causa e diventa a sua volta causa di altri effetti; guai dunque ad essere privi dell'andar riconoscendoli, questi rapporti logici, guai ad essere privi di "questa" capacità di analisi; e nessuna analisi può essere corretta se non si è cercato di risalire a ritroso, anche solo per fondamenti, sino ai principi ed alle cause prime di ciascun filone d'eventi.
Sul piano metodologico io stesso ho usato tecniche diverse in questo corso, perché tecniche diverse potessero essere dai destinatari condivise. Esso è stato articolato appositamente in tre parti fra loro connesse e tutte e tre con destinazione online. Usando per la prima una quantità di immagini e di animazioni raggiungibili con link da una home-page. Facendo consistere la seconda in testi espositivi scaricabili ma tenendomi alla larga dal sistema degli slides, il quale - come i versetti del Corano da imparare - induce solo alla specifica memorizzazione, che è schematica e non permanente, mentre quel che invece è importante è il suo contrario, cioè il metabolizzare la connessione degli insiemi. E infine comparendo nella terza io stesso ed esprimendomi oralmente ripreso da telecamere, una o l'altra delle quali viene zoomando sulle figure o gli oggetti che mostro e illustro.
Una tripartizione d'impostazione che appunto accompagna lo spiegare di quanto questa tematica sia davvero un po' più complessa di quanto sembri. Pur potendo però restar lo stesso entusiasmante e meritevole d'impegno.