Trovo in un periodico telematico specialistico che mi arriva nel computer in abbonamento uno stuzzicante spunto di discussione. Lo attiva con un suo libro appena uscito Derrick De Kerckhove, il sociologo canadese considerato erede di Marshall McLuhan. Il quale libro desta fin dal suo titolo - "Dopo la Democrazia?" - un'inquietudine che solo da quel punto interrogativo finale risulta un poco attenuata. Cosa è insomma Internet (il tema di fondo è questo): una risorsa immensa di accrescimento e scambio di conoscenze fertili e ricche di fruttuosità positive oppure un'esplosione anarchica capace di creare forme di socializzazione anomale, abnormi, e come tali passibili di deteriorare e sostituire istituzioni sane? E' un tema che già più d'una volta in qualcuna di queste rubriche avevo sfiorato indagando ove andasse a collocarsi il limite fra virtuale e reale e che non c'è dubbio meriti d'essere analizzato ancora, cercando di andare più in profondo.

C'è una grande differenza fra "inventare" e "scoprire". E' un'invenzione, per essere chiari, la ruota ed è una scoperta invece l'elettricità. La prima è infatti qualcosa che non era stata la natura a fornirci: fu al contrario il più geniale tra i manufatti dell'homo abilis e ne cambiò radicalmente, superfluo spiegare perché, il modo di vivere e la storia. La seconda invece esisteva da sempre e di suo, solo che noi umani, pure a quel punto già plurimillenariamente civilizzati, non lo sapevamo ancora. Ci volle il caso e una lunga sperimentazione per arrivare dalla produzione di impulsi provenienti dai nervi sollecitati di una rana cavia (Luigi Galvani alla fine del Settecento) all'energìa diffondibile con la pila di Alessandro Volta e scaturente invece (primissimi dell'Ottocento) dal contatto fra loro di metalli diversi.

E lungo quello stesso secolo poi arrivarono a mettercene un po' alla volta a disposizione la potenza e i risultati Faraday, Maxwell, Braun, Hertz, Marconi, e poi nel Novecento Turing. Così come, per fare un paragone appropriato, anche prima di Gütemberg, il quale trovò solo un nuovo modo di usarla, la stampa già esisteva ed era adoperata nel mondo da moltissimo tempo, anche il computer fu solo il nuovo modo d'impiego di una risorsa preesistente; e quindi giustamente adesso De Kerckhove fa in modo analogo risalire la rivoluzionaria svolta umana che stiamo odiernamente vivendo nel mondo della comunicazione (pari o potenzialmente anche maggiore a quella già conferita dalla ruota al mondo dei trasporti e alla meccanica) a quel primo comparire del fenomeno dell'elettricità. Se ogni cosa ha un principio, furono in effetti solo Galvani e Volta a permettere al futuro ciò di cui sono padroni oggi Bill Gates e Steve Job e da lì va dunque fatta partire la datazione d'èra. L'èra che neoepocalmente contiene superando la modernità sia i nuovi modi di cui l'umanità dispone per produrre energìa attivante e motrice, sia i molti modi successivi, vari e sempre più rapidi fino a raggiungere l'istantaneità, di far conseguentemente viaggiare messaggi. Da me a te o da una fonte a tutti. Il postmoderno è anche questo e potrà diventare soprattutto questo.

Ma cosa c'entra tuttociò con la democrazia? Ha cominciato, ecco, a entrarci - vantaggiosamente - con la possibilità di disporre in tempo reale di tante più nozioni, accostando la gente a problemi e problemi alla gente. Sta cominciando a entrarci - pericolosamente - da quando, poco tempo in qua, questa rete vettrice di impulsi elettromagnetici avvolge ormai l'intero pianeta in modo sfuggente a controlli efficaci e però insieme aggredibile in quanto soggetta a diversi tipi di manipolazioni ed anche intercettazioni. Ed è di questo che ci accingiamo a parlare. Vediamo se riuscirò ad essere chiaro esponendo le riflessioni che tutto questo suscita a me, dato che il libro citato offre con diversi contributi sia i pro che i contro relativi a questo che è il più recente, vasto e in galoppante sviluppo, dei fenomeni mediatici.

Il punto centrale che vedo è quello: a) delle conseguenze di società che tutto questo induce; b) della possibilità di individuarle e analizzarle anche nelle loro prospettive a breve e lungo termine futuribili. Per a) la più importante via via che le procedure telematiche d'uso vengono acquisite da una generalità intergenerazionale di utenti è quella - si può benissimo così definirla - di una nuova alfabetizzazione; potenzialmente cioè disporremo presto tutti di una facoltà d'intreccio linguisticamente comunicativo onnidirezionale e andata/ritorno in tempo reale. Per b) devo finir, salvo verifica di prevalenza dell'una sull'altra, con l'ammettere come le più probabili siano le seguenti due ipotesi, peraltro assolutamente inverse fra loro e di ancora imprevedibile esito finale: 1- che si crei così un mondo "parallelo" a quello ufficiale in cui lo scambio e le aggregazioni non coincidano più, in accezione culturale e politica, con le vigenze correnti, e che esso rivoluzionariamente acquisisca un peso maggiore e più influente di queste; 2 - che invece sia il sistema ufficiale delle istituzioni, dei gruppi politici e dei partiti a impadronirsene e a farsene veicolo nuovo e dominante anche e soprattutto in questa più agile e istantaneamente capillare sede, non più allora incidente da un altro livello con destino di propria prevalenza ma ridiventante subalterna anch'essa.

Il luogo temporale di questo bivio è relativamente vicino e darà comunque modo al verificarsi di un mix: globalizzazione ormai universalmente metabolizzata di queste procedure mediatiche sul piano tecnologico, così come ormai tutti guidano l'auto da sé senza bisogno di autista (è il punto attuale e simile a quello semplice di partenza cui è giunta l'evoluzione della ruota, per tornare a paragone già fatto); e conflittualità sociopolitica e culturale pragmaticamente spostata dalle sedi accentate oggi, e cioè da giornali, televisioni, piazze e parlamenti ai computer di casa, d'ufficio e portatili ormai fino alla tascabilità.

Si crede che il Web possa darsi come al servizio della scuola, e invece non è così perché esso le è, come già la TV, assolutamente alternativo in quanto consente una ricerca, e dunque una tipologìa di apprendimento, del tutto e spontaneisticamente individuale. Si costata d'altra parte come p.es. i partiti politici questa importanza del Web non l'abbiano ancora capita appieno e continuino in procedure tradizionali di opinion making sempre più teatralizzate, ma è facile prevedere che a questo new medium così fascinosamente invasivo essi, toltosi il salame dagli occhi e venuti in allarme, daranno presto l'assalto. Non è naturalmente possibile profetizzare adesso quale sarà il quadro fra una decina d'anni o meno, quando la televisione digitale sarà del tutto inquilina di Web anch'essa. Ma quel che si può dire con sufficiente certezza sin d'ora è che questa gara è già alla linea di partenza.

La rivoluzione cominciata dai nervi crurali di un ranocchio nella seconda metà del XVIII secolo sta giungendo solo ora al suo acme, così come la ruota per raggiungerlo ebbe bisogno di farsi prima anche ingranaggio poi cardine poi elica e poi turbina, e i gütemberghiani caratteri mobili non ebbero pienezza d'effetti che dopo lo sviluppo della loro diffusibilità (reti postali prima e sistemi di teletrasmissione poi). E dovrebbe ora esser chiaro da tutto il detto sin qui come ciò - e ci siamo - crei rischio per la stessa democrazia come dapprima concepita (diretta), attualmente praticata (delegata), o già intravvedibilmente desiderata (plebiscitaria). Già il così montante populismo si nutre di germi autoritari, e come non è più democrazia la divinizzazione imperante del Mercato con la maiuscola, ancor meno lo sarebbe un'omologazione fattuale del mezzo in oggetto come tale, ancorché libertario e dunque democratico in sé ma contenente sia un plenum delle esternazioni individuali d'ogni qualità e livello (motore più importante i blog, comparto vastissmo ma in parte lucido, in parte solo esternatorio/velleitario e in parte senza meno abbastanza confusionato) sia la tutt'altro che irreale irruzione dall'alto in esso dei cosiddetti "poteri forti" di connotazione politica. I gestori del Web fanno soprattutto business ma quelli della politica stanno rapidamente confondendo la "rappresentanza" con il "potere". E dunque la partita - chi sarà a dare il calcio d'inizio su questo nuovo terreno di gioco? - va considerata completamente aperta e ci consiglia di tenerci forte.

Sfere di cristallo infatti non ce le abbiamo nessuno: queste sì che non sono né scopribili né inventabili; sono solo attrezzi di fiaba e di leggenda. E intanto occorrerà vedere essenzialmente questo: se il convergere in Web di the people intero per quant'è potrà liberamente produrre un flusso di opinioni feconde in altre direzioni, ma sempre più lontano dai partiti e dai momenti elettorali, che sommerga gli schemi esterni e determini esso indirizzi e trend al momento impensabili; o se sarà l'establishment esterno a tuffarsi in modo vincente nel Web con unghie e denti per dominarlo e farsene strumento al solo scopo di continuare a regolarsi esattamente come prima, dettando ad esso rigidità di norme e censure e restando così il detentore titolare erga omnes dell'ultima parola in ogni campo. Se il primo caso mi unisce curiosità di nuovi orizzonti a qualche non lieve preoccupazione di rapporto fra reale e virtuale, il secondo mi spaventa invece decisamente abbastanza e mi crea soltanto sensi di rigetto. Diciamo che si tratta ancora di pensiero in fieri ma credo che un dibattito in merito sia oggi come oggi senz'altro fra i più interessanti (e utili) da condurre.