Vi siete accorti che è diventato sempre più difficile piegare in quattro il «Corriere della Sera»? Se uno compra insieme anche qualche altro quotidiano questo qua deve restare ingombrantemente piegato in due a sporgere, se no si gualcisce. Oggi per esempio è uscito a 72 pagine e con un inserto di altre 48, che in tutto fan 120. Centoventi pagine sono un libro, non un giornale, anzi molto molto di più se dovessimo raffrontarle al formato in sedicesimo che i libri normalmente hanno. (Io compro sei quotidiani ogni giorno e l'edicolante mi fornisce di una borsa di plastica come se uscissi dal supermercato). E' vero che è così anche in America (del Nord), ma, santa pazienza, dobbiamo pur chiederci perché ciò diventi - per gli editori, beninteso, non per noi - necessario. E un'altra cosa è divenuta, sempre per loro, necessaria: accompagnare il fascicolo del quotidiano appunto con un libro, anzi spesso un librone, rilegato. E talvolta, una collana di volumi, di cui il primo viene invogliantemente regalato, mentre gli altri cinque o quindici li pagherai. Si tratta di romanzi, storia, poesia, enciclopedie, fumetti. I settimanali non sono da meno, ma nel loro caso prevalgono i CD musicali e i DVD cinematografici. Possono protestare i librai, che così ci rimettono, ma gli editori perché dovrebbero? Rizzoli e Mondadori, per dire, stampano sia libri che giornali e queste due merci si fan così da traino l'una con l'altra.

Si può considerare normale, tutto questo? E positivo? Nulla d'esagerato e di eccessivo è mai normale, naturalmente. Ma funzionale a qualcosa certamente sì. Se no non avrebbe luogo. E funzionale a cosa, allora? Intanto a trattenere in edicola tutti coloro che gli audiovisivi ed Internet da questa stanno con forza discostando, e questo perché non il mestiere dell'informazione ma l'industria dell'informazione è diventata, sotto i nostri occhi e abbastanza velocemente un'altra cosa. Anche i giornali insomma, quelli grandi, non sono più tanto vettori di notizie ma soprattutto business. Trasformandosi in esercizi commerciali. E non elaborando più strategìe proprie bensì subendo strategìe altrui. Del comparto pubblicitario, per cominciare. Certo, vien buon segnale se col ritorno alla sua direzione di Renato Mieli il «Corriere della Sera» migliora il proprio stile giornalistico, ma resta ormai quel che era, come altri, diventato, e cioè una grande nave porta-containers. Se deve uscire a sempre crescente numero di pagine non è perché offre più servizi, ma perché trabocca di pubblicità e deve dunque concederle uno spazio che non soffochi quello dedicato agli articoli. E se deve aggiungere gadgets librari (e forse domani anche oggettistici come per esempio già tanti settimanali della sua stessa proprietà editrice e delle altre) è perché nessuno è più in grado di uscire dal circolo vizioso in cui si avvolge spiralmente la concorrenza, trainando in esso tutte le testate.

Comprare giornali di 72 pagine, perché non dovrei dirlo?, mi dà un disagio enorme. Non sono un fruttivendolo che ha bisogno di trasformare tutta questa carta in cartocci. E scaricarla poi quotidianamente a pacchi nel cassonetto differenziato, anche se so che così offro materiale di riciclo che salverà alberi, mi costa fatica. Non è più dunque un servizio che mi si offre ma qualcosa che mi si infligge, profittando d'una mia ultradecennale abitudine di mestiere, dato che le notizie le so già da radio e tv e tutto quel che mi interessa di corollari lo posso trovare in Web, seduto a casa mia, solo con due clic. Ma la ruota gira così, gli introiti pubblicitari salvano il bilancio delle aziende editoriali (non sempre, perché se va male l'auto ne soffre anche «La Stampa» e ve ne sono prove recenti) e nulla pertanto si intravvede che una tale irrefrenabile spirale riesca ad interrompere.

Osservazione finale. Non è poi, di fronte a tutto questo, che la gente, almeno, sia più informata di prima, avendo così tanti fogli in più, fra i quali si perde, di fronte a colazione o nella pausa d'ufficio. Continua infatti a conoscere, frastornantemente, fin la più banale e ripetitiva battuta dei politici dalla serie A a quella C e sa tutto della complicata vita amorosa di Al Bano; però tutto questo spazio stampato in più non le spiega per niente cosa sono, e come possono proteggere la biosfera, e quindi noi, i traditi accordi di Kyoto; o la aiutano a mettere in giusta luce come l'unica "arma di distruzione di massa" impiegata nella guerra iraqena sia stato il fosforo gettato dagli americani su Falluja. Resta intatta la sproporzione tra ciò che ci vien fatto sapere e ciò che dovremmo sapere invece. Se non ce le possono più dire i giornalisti, queste cose, chi ce le dirà mai, anche se all'edicola ci dovessimo finir per andare con la carriola?