Apprendo della laurea ad honorem di Philip Johnson-Laird, appena conferitagli dall'Università di Palermo, proprio mentre mi servo di suoi materiali per le mie lezioni di comunicazione in quella di Trieste, e la trovo graziosa coincidenza per poter parlare di lui in questa rubrica. Le cose di cui questo eminente studioso angloamericano si occupa appartengono all'area di quelle che vengono indicate come Scienze Cognitive, una disciplina che parte dall'organizzazione dei nostri neuroni cerebrali per includervi tutto ciò che il mondo dà loro da masticare e che essi provvedono a elaborare traendone conseguenze. Come? Il punto è qui. Estraggo dalle motivazioni di questa laurea esposte da Patrizia Lendinara, preside di Scienze della Formazione: «La teoria dei modelli mentali di Johnson-Laird si propone come una teoria generale del pensiero umano ...in termini chiari e piani, mirando a spiegare i fenomeni senza proporne una dottrina, evitando quei toni didascalici o, in alternativa, apocalittici che l'argomento avrebbe ad altri suggerito...». E aggiunge (questo è qualcosa che a me piace molto, devo dire, in uno scienziato): «...usando anzi lo strumento dell'ironia, a cominciare dall'autoironia».

C'è un'ottica riguardante l'esercizio della ragione umana che qualche filosofo vede così: perché il pensiero sia libero occorre vengano accantonati da ciascuno sia le proprie cosiddette "griglie culturali", sia il bagaglio dei sentimenti. Solo in tal modo si potrebbe procedere a costruire scalarità di pensiero su rigorose e non intralciate basi, essenzialmente matematiche. Sostengono invece Johnson-Laird e la sua scuola (Byrne, Kayser) che la razionalità umana non è dissociabile da aspetti affettivi ed emotivi e che non è negativo che essi le conferiscano caratteristica random, e cioè anche imprevedibile e creativa. Così come non è da considerare negativo il fatto che vi possa essere una differenza fra un modello mentale e un altro perché ciò consente confronti, posto che ciascun modello mentale presuppone vi si possano basare ragionamenti. Mentre il principio che in un ragionamento, una volta stabilito esserne vere le premesse deve per forza esser vera anche la conclusione, è un'esigenza sì del pensiero matematico ma è «dannoso» fare di ciò l'archetipo di ogni forma di ragionamento. Va avuto presente, insomma, che fra approccio razionale e natura complessa della realtà c'è qualcosa che normalmente è tensione, talvolta conflitto, ma che potremmo anche, e perché no, chiamare danza, che non sconfigge né l'uno né l'altro ma anzi li modifica e li dinamizza. In campo concettuale, andiamo, il crogiolo è sempre preferibile all'imbalsamazione.

Trasferiamo tutto questo in campo comunicazionale, che è poi quello che maggiormente interessa chi sta scrivendo questa nota. Cosa allora occorre, su tale base, evitar di considerare in modo ingessatamente inflessibile? Il rigore dogmatico. Che non si perda cioè mai la capacità di condurre sino fondo la ricerca - e dunque l'analisi motivazionale - di modelli alternativi, o semplicemente diversi. E quindi di non negare sic et simpliciter diritto d'esistenza corretta ad esiti di pensiero paralleli. Senza di che verrebbe impedito il confronto e con ciò si otterrebbe uno scadimento di dibattito in termini che dall'una o dall'altra parte potrebbero anche diventare aprioristicamente sopraffattori. Un sistema liberal ed uno totalitario si distinguono anche e soprattuto per questo. Che il primo cioè consente evoluzioni dialettiche e l'altro si fonda su elaborazioni meccanicisticamente algoritmiche e sillogistiche compiute in solitario e finenti con lo scambiare la verità con una sorta di libro mastro contenente la colonna dei buoni e quella dei cattivi.

Un ragionatore non dovrebbe poter mai trasformarsi in un ragioniere del pensiero, perché se no quell'hardware che è il nostro sistema neuronico sarebbe costretto a nutrirsi di un sofware irrigidito da stecche di balena come i corsetti delle signore dell'Ottocento. Ho mischiato, come appare evidente, citazioni di supporto e concetti maturati da me, e sono molto contento di averlo potuto fare trovandovi confortevole combaciamento d'elementi.