"Arancia meccanica" e "2001, odissea nello spazio" sono due profezie di Stanley Kubrick. La sua terza profezia egli ha lasciato per legato testamentario, dopo averla pensata e tradotta in appunti, di emetterla cioè di tradurre anch'essa in film a Steven Spielberg. E Spielberg non ha lasciato trascorrere molto tempo dalla morte del grande regista inglese per girare "A. I. - Intelligenza artificiale", nelle sale adesso. Caricandola degli spunti di animazione visiva di cui è capace lui, delle forme aliene già intraviste in "Incontri ravvicinati del terzo tipo" e di una serie di aguzzi ordigni emotivi capaci di entrare nella psiche dello spettatore come lame.
Una seconda volta dunque dopo "Final Fantasy" mi capita di dover prendere lo spunto da un film arrivato fresco per svolgere un tema di quelli che questa rubrica interessano. Le tecnologie elettroniche hanno fondato nuovi modi di comunicare, in un certo senso robotizzando, anche se solo mediaticamente e non anche creativamente finora, quest'innata funzione umana (Robot era il nome dato dallo scrittore ceko Karel Ciapek all'operaio automa d'un suo racconto degli anni Venti e, come diversi altri, invece di congelarsi nel dizionario dei personaggi è diventato un identificante termine d'uso) ma è solo da un tempo molto successivo che il robot, nato per "fare", è stato adibito anche a "pensare". In entrambi i casi si tratta di assunzione di funzioni prima ausiliarie, poi supplenti o addirittura sostitutive di quelle dell'uomo. In una serie di campi sempre più larga. Il robot che fa ha bisogno di un'anatomia meccanica copiata dall'uomo: braccia mobili e articolate, artigli in funzione prensile o utensile, sistemi ottici, sensori, strumenti deambulatori che possono essere gambe, ruote o cingoli. Il robot che pensa ha bisogno invece - poichè seleziona input, elabora dati e fornisce risposte - di una sapienza propria, cioè maxiarchivi, e poi sistemi di ricerca, dunque una memoria anche motrice attiva, e tutta una serie di abilità capaci pure di riparare errori; nonchè, per informarci dei suoi risultati, di uno strumento video - alfanumerico/iconico - ed eventualmente sonoro, in grado anche di trasferire immagini. Dunque somiglia in genere a una scatola finestrata o assume le forme astratte di un satellite.
E' così difficile immaginare una possibile fusione di queste due divaricate tipologie robotiche? Ma no davvero. La scatola pensante, miniaturizzata, è presumibilmente avviata a diventare l'interior di una struttura meccanica che abbia testa, tronco ed arti (e meno fragili dei nostri). E cinque sensi e forse anche il sesto che non abbiamo noi. E perchè no anche un viso, dei lineamenti e dunque una personalità esterna tanto differenziata quanto lo può essere differenziata per ruoli quella interna? E potrà essere giocattolo o consulente, lavoratore o maggiordomo, guardia del corpo o dama di compagnia. O soldato. Il problema che ne nasce è se ne dobbiamo essere contenti o spaventati. Era stato Isaac Asimov ad iscrivere nelle sue opere di fantascienza "le tre leggi della robotica", la prima delle quali stabiliva che essendo il robot costruito dall'uomo non poteva, proprio per sua qualità intrinseca, in alcun modo rivolgersi contro l'uomo. Ma noi siamo sicuri che essa sia davvero così blindata e inimpugnabile?
Fatto è che abbiamo già visto innumerevoli volte attori truccati da animali, da fantasmi, da zombi, da extraterrestri, ma nel film di Spielberg tocchiamo il top (anche se qualche sparso precedente c'è, nelle serie di "Alien", p.es. o "Terminator" o in un film in cui Yul Brinner era un terribile pistolero, sottopelle però tutto fatto di metallo, silicio e circuiti di cavo) con una serie di protagonisti truccati da robot perchè devono appunto interpretare dei robot costruiti con perfezionatissime sembianze umane. Erano robotica cinematografica pure King Kong, lo Squalo e i bestioni di Jurassic Park ma fatto anche è che qui i robot sono "i buoni" e che cattiveria, alienazione, e perfidia comportamentale costituiscono invece attributo di tutti i personaggi umani "veri", adulti o bambini che siano, e anche se loro non ne hanno consapevolezza. L'uomo, cioè, si è fatto dio creatore e come tale dispone crudelmente delle sue creature persino dopo averle dotate (adottando non semplici catene di chips bensì sistemi di neuroni) di sensibilità, affetti e recepimento di dolore. Ha l'aspetto di una favola, questo film (ci sono citazioni da Pinocchio e Pollicino), ma ormai sappiamo quanto efferato contenuto psicoanalitico queste e un po' tutte le favole al fondo caratterizzi, e si tratta invece appunto della terza profezia di Kubrick sui rischi dell'uomo.
Quella del condizionamento psicologico studiato perchè diventi di massa ("Arancia meccanica") e quella dell'uomo che può diventare vittima delle tecnologie da lui costruite ("2001, odissea nello spazio") stiamo cominciando a toccarle con mano. L'apologo di questa si proietta più lontano ma poi non tanto, perchè che l'uomo sia vicino a perdere la propria umanità costituisce anche questo qualcosa di abbastanza latente. Il mondo in cui crediamo di star vivendo, più o meno felici, costituisce infatti solo una troppo piccola parte del mondo reale, e noi questa famosa COMUNICAZIONE stiamo in realtà dimostrando di non saperla affatto usare bene. O no?