Se cambiano gli strumenti della conoscenza, cambiano anche i modi di pensare. Io non sono un filosofo, ma prima di insegnare ho fatto il giornalista lungo un tempo sufficiente per percepire distintamente quanto rapidamente possano poi cambiare versi e meccanismi del pensiero e comportamenti generali della gente via via che bytes e pixel vengono di fatto sostituendo la comunicazione alfabetica; e l'introitare, nella vita comune, nozioni ed emozioni torna a passare più dal passivo vedere che dall'attivo leggere. Transita da lì persino - faccio un esempio minimalissimo ma mi viene evocato dal guardar vetrine in questi giorni - la pressione psicologica dei produttori di dolciumi e articoli da regalo che sono addirittura riusciti a introdurre/imporre a noi genti mediterranee, che inerzialmente l'abbiamo accettata, la festività nordicissima di Halloween per avere anche presso di noi una lauta occasione commerciale in più. E agendo, come in altri casi, su una fascia di consumatori non adulti capace di essere motore trascinante in seno alle famiglie.

Ma c'è anche, e soprattutto, un altro primario aspetto da considerare: quello dei nuovi mondi che in nuovi modi sono evocabili a volontà dalle nostre dita perché essi appaiano in video: per essere creduti, o per farsi interagire, o essendosi lasciati addirittura da noi creare e quindi in corsa anche lasciandosi nuovamente tramutare. Com'è lontana ormai la banale dattilografia da una tastiera così magica; com'è sostitutiva, codesta, di una serie incommensurabile di altri precedenti attrezzi utili ad ogni arte e mestiere. Come insomma la telematica ha condizionato e condiziona l'intero vivere sociale e, della società, i suoi aspetti modali, strutturali, organizzativi. Tutti abbiamo dovuto o stiamo dovendo cambiare qualcosa nelle nostre attività di relazione da quando, lasciamo stare i luoghi di lavoro, anche nelle case private il numero dei computer sta velocemente pareggiando quello dei frigoriferi.

L'idea iniziale di un'analisi di ciò scatta, ancora una volta per una sorta di serendipity, da problemi di linguaggio, quelli da cui Edward Sapir, non solo linguista ma antropologo, ricava la sua teoria del drifting, ossia delle derive della lingua. Esso non riesce cioè ad affermare, radicandole, proprie mutazioni se non v'è comunque nei suoi utilizzatori qualche forma di predisposizione a ciò, alla fine assecondante. Stavolta, altro che semplice deriva: un vero maremoto. Determinato appunto dal così comodo elettronizzarsi progressivo della nostra vita. E il capolinea dovrebb'essere il riconoscere e poi decifrare la natura del robusto ponte esistente fra tecnologia e filosofia. Il quale consiste proprio, a far gancio, nel nesso linguaggio/realtà. Nel momento in cui questo comincia ad obbedire ad altre leggi rispetto a quelle che ci sono pervenute, leggi cioè di un sistema espressivo diverso, basato sulla binarietà corrispondente allo 0/1 ma traducibile in quella del sì/no, nasce la cosiddetta RV, ossìa la realtà virtuale e con essa la nostra capacità di produrla, di manipolarla all'infinito, non sempre con buone intenzioni, e di nuotarci dentro. Essa si affianca e sempre più spesso sovrasta quella nella quale l'umanità è vissuta immersa finora. E con essa van fatti conti molto differenti rispetto alle abitudini passate, così demarcanti com'erano queste il "vero" rilevabile da quello o fantasticato o suggerito, se non addirittura costruito. Non è più così.

In mezzo a questi paletti di partenza e d'arrivo di una rassegna analitica sta l'indagine sui multiformi aspetti e sui diversi usi cui s'è resa adatta questa rete telematica, nata mezzo secolo fa al Pentagono per misurare, violando segretezze, eventuali esperimenti nucleari effettuati anche gli antipodi. Ed oggi usata anche da mio nipote seienne per ordinarsi un regalo. Vi sono ormai scaffali sempre più lunghi, nelle librerie, per ospitare in evidenza costole di volumi dedicati alle nuove tecnologìe, all'informatica, al mondo dei new media. Ma nessuno è esaustivo di tutte le relative sfaccettature, si tratti di saggi o di manuali, dedicandosi ciascuno a un solo aspetto o gruppo d'aspetti, più o meno specialistico. E invece occorre esaminare complessivamente, dando al percorso inquadrante proprio questa caratteristica speciale, l'intera serie dei comparti, verrebbe da dire delle maglie, di cui questa world wide web si compone nel suo avvolgere il mondo. E delle conseguenze che producono. Dall'e-commerce connesso a quella che si suol chiamare new economy alla psychofantasy dei Multi User Dimension, sigla MUD. Passando attraverso al cybercrime e alla cyberwar, al nuovo modo di porgere news e con esse di interagire, di portare in casa propria servizi o di effettuare telelavoro, di disporre a tocco di clic d'una sorta di Paese dei Balocchi fatto però anche di porno e di gioco d'azzardo, cioè di business giganteschi .

Credo che abbia ragione Raffaele Simone, studioso e docente di linguistica generale, quando segnala che ci sono forme di pensiero che stiamo perdendo, in questo collettivo passare da processi sequenziali a processi simultanei (non più logici, storicizzati, seguenti programma, ma pragmaticamente contingenti se non fortuiti), da costruzioni mentali analitiche a costruzioni mentali globali (non saper più riconoscere le singole parti componenti un tutto), da codici referenziali a codici emotivi (al posto della nozione di fonti e precedenti, ecco suggestioni che sostituiscono alla fine, la percezione al ragionamento). Il posto delle ideologie, nella chiamata così nostra civiltà occidentale, viene preso dagli immaginari collettivi. Gli ingranaggi mentali acquisiti e perfezionati dall'uomo lungo millenni con l'essere entrato in possesso della scrittura facendosene strumento di comunicazione, diffusione e apprendimento, sono attualmente in fase di revisione sotto la spinta dei linguaggi non verbali, visual, iconici; capaci in definitiva di riformare così anche l'orizzonte culturale. Come già si avverte in economia dove anche i numeri diventano suggestione, in politica dove i sondaggi sostituiscono le elezioni, nell'apprendimento e nello svago sempre più effettuati tramite vitreo schermo, nella vita comune dove adesso si cambiano loghi e suonerie cellulari più spesso che uno spazzolino da denti o il colore dei calzettoni.

Tuttociò crea anche tutta una nuova tipologia di problemi giuridici, sconvolgendo per esempio le leggi del copyright e mettendo in discussione le brevettabilità; e di natura etica e civile, per l'enorme insidia che i nodi di rete e il modo di gestirli recano alla privacy. Il fenomeno hacker per esempio è buono o cattivo? Fin dove questo abilissimo effrattore dotato solo di tastiera e mouse, e di abilità decrittante ed inventrice, è un terrorista e fin dove è Robin Hood? Persino il tempo è diventato geometricamente più veloce, in questa radicale postmoderna svolta. E dobbiamo adattarci a cambiamenti oramai di brevissima e sempre più ravvicinata cadenza. Coincidenti però anche con rischi immensi che riguardano un inquinamento atmosferico non solo più chimico ma anche elettromagnetico, cui porre freno è sempre più difficoltoso (dove altro apporre oltre che sui pacchetti di sigarette l'avvertimento di pericolo grave?). Il culmine di tutto questo è l'entrata in campo di IA (l'intelligenza artificiale), che attualmente vagisce ma non si sa fin dove trainerà il genere umano in questa sua aspirazione a farsi Dio. VR, come più su indicavo, e adesso AI (all'inglese: Virtual Reality ed Artificial Intelligence) sommantesi in nuovo pane. Pane per i denti - voglio dire - di tutti i cultori odierni di scienze filosofiche, i quali a me sembra (lo si lasci avventare da un profano quale rispetto a loro sono) sia dai tempi di Aristotele e delle sue chiarificanti investigazioni classificatorie non abbiano più avuto prati così vergini da brucare, novità così sommoventi da approfondire per ridurre i dubbi se non ad equazione almeno a quesito; e ad eventuale aggiornata teoria universale i solchi rivoltati della mente umana.

Quello che avete letto sin qui è l'adattamento formale a testo per questa rubrica della mia relazione svolta a braccio su una tesi di laurea, poi brillantemente discussa, che proprio questa tematica aveva al suo centro (titolo, l'avevo già citato nella precedente rubrica: «Internet come new medium e come oggetto filosofico»). L'averne fatto doppio uso non è, naturalmente, una forma di pigrizia bensì posseder percezione, e quindi spenderla, della valenza generale che queste riflessioni hanno in un corso di studi in Scienze della Comunicazione.