Ma il clima è un medium? Bèh, direi proprio di sì. Ci dà tante di quelle informazioni che non attribuirgli, magari honoris causa, questa qualificazione sarebbe davvero fuori luogo. Chi se non lui ci informa delle sfasature del calendario e del fatto che tutte e quattro le stagioni si sono sganciate dalle loro scadenze? L'ultima di queste informazioni è addirittura quasi un ordine perentorio, e i viticultori l'hanno subito raccolto: anticipare, quest'anno, la vendemmia ad agosto se non volete perdere l'intero raccolto, e vino addio. Sulla carta, ma anche nella realtà immemorabilmente precedente questa, il mese della vendemmia è sempre stato ottobre fin dalla notte dei tempi quando vi provvedevano direttamente il dio Bacco con la sua Arianna, secondo il Redi così «leggiadribelluccia». Ma stavolta con questa calura eccezionale che dura ormai dai primi di giugno su tutta la cosiddetta "fascia temperata" del pianeta, l'uva è maturata con un anticipo così forte che se non ci si affretta a tirarla giù diventa cibo da mosche. E dunque alè, ai ripari. Così manco sarà autunno che avremo già il primo tracannevole novello 2003 e anche i fabbricanti di bottiglie, gli stampatori di etichette e i trasformatori del sughero in tappi si dovranno dare una regolata d'anticipo. Vedi che scombùssolo fra i produttori e, come si dice in economia,l'indotto.

Il problema non è solo l'uva, comunque. Un altra cosa che il clima manda a dire è ai produttori di caffè. Anche i suoi chicchi quest'anno sono maturati troppo in fretta, sotto questo solleone senza perdono, e anche in questo comparto dunque interviene uno sconvolgimento di ciclo che mette tutti in fibrillazione i big del settore. Il più in vista da noi, Riccardo Illy, da tempo non se ne occupa più: rimasto manager - però della politica - le cure aziendali le ha lasciate a sua madre e ai suoi fratelli e ora è appena passato dall'uno all'altro lato di quell'enorme quadrilatero di piazza che Trieste apre sul mare; dal balcone cioè di suo sindaco a quello di presidente del Friuli-Venezia Giulia. Ma gli altri Illy hanno per la testa altri pensierini: non ci sono piantagioni, qui nel Nordest, quel frutto aromatico si importa da lontano e in loco viene solo miscelato e torrefatto. Ma qui sono le serre sperimentali dove si allevano ben trentasei varietà di piantine di arabica pregiata da incrociare, e dove le bacche sono già mature oggi (dovevano passare ancora mesi) come se fossimo ai Caraibi, poichè da una sessantina di giorni le temperature subtropicali di quell'arcipelago qui ci hanno raggiunti. Tanto che se, come probabile, afa ed umidità si stabilizzeranno per metà dell'anno a questo livello (non illudiamici, dati i motivi di ciò, che si tratti di uno strambare momentaneo), varrà anche pena di fare localmente pure semina.

Un mio amico che si chiama Edi Kanzian e che è giusto qui nominare perché è quel che si dice un operatore culturale no-profit e, finita la sua giornata di impiegato, mette continuamente su cose bellissime, come per esempio dibattiti superimpegnati ma intervallati da un samba dietro l'altro con corposa voce femminile e chitarra, ha dato l'altra sera un pugno sul tavolo che ha fatto ballare le bottiglie, nel corso di uno di essi, prendendosela con i sindacati che non hanno ancora organizzato uno sciopero generale contro il caldo. Se ne può sorridere, ma - attenzione - solo per un momento. Perché questo caldo è perdìo davvero colpa delle multinazionali, e non un capriccio atmosferico! Solo che cartelli e striscioni contro questa maledizione che tutta la gente patisce susciterebbe proprio per questo spontanea partecipazione ed occasionerebbe così una chiara e generale comprensione del reale perché il cielo sopra di noi sta impazzendo. E questo presidente Bush che ha negato la firma del suo Paese agli accordi internazionali di Kyoto per ridurre ovunque le emissioni industriali nell'atmosfera terrestre, incontrerebbe così altra sacrosanta ragione di contestazione universale.

Ho appena conosciuto uno scienziato pakistano che lavora da due anni in quel gioiello planetario, calamita di studiosi e ricercatori da tutto il mondo, che è il Centro di Fisica internazionale di Miramare, il prof. Faheem Hussain. Dice cose terrificanti e gli leggi negli occhi la disperazione di chi non sa come impedirle. Le crescenti temperature atmosferiche, che per il nostro emisfero si verificano sempre più accentuandosi nella parte centrale dell'anno, sono dovute all'inquinamento provieniente soprattutto dall'Europa e dal Nordamerica. Non concorrono nè concorreranno ad esse nè l'Africa nè il Sudamerica, destinati come sono a impoverirsi ulteriormente per il disinteresse e lo sfruttamento che caratterizzano l'atteggiamento verso queste aree del mondo, pur piene di risorse naturali, da parte del cosiddetto Occidente progredito. Moriranno di fame e di sete prima di noi. Ma quando dovessero essere industrializzate alla nostra stregua anche la Cina e l'India, che sono sempre più veloci su questa strada, allora le immissioni di calore introdotte dall'uomo e dalle sue fabbriche nell'atmosfera la porteranno a temperature che diventeranno insopportabili sia per il mondo vegetale che per quello animale. E bruceranno a fuoco lento noi e le nostre attività, riducendo anche l'uomo bianco occidentale a un popolo di salamandre vaganti su continenti desertificati ed aridi nei quali l'acqua sarà contesa a gocce.

Ecco, l'acqua. Già problema tremendo del continente africano, da poco anche per l'Europa stessa, all'ordine del giorno urgente dell'Onu. Quest'estate i due più grandi fiumi italiani, il Po e l'Adige, sono in secca in misura che non ha precedenti storici (il primo ha calato di oltre otto metri il suo livello) mettendo in crisi non solo le campagne ma anche l'industria ittica del Delta, perchè le colture di cozze e vongole delle Valli Chioggiotte e di Porto Tolle, fra le più grandi in Italia, hanno bisogno pure di plancton d'acqua dolce. Acqua vuol dire anche energia ma gl'invasi delle centrali idroelettriche (le uniche non recanti inquinamento all'atmosfera) stanno arrivando allo scarso a loro volta. E' dunque senza precedenti anche il black-out energetico dovutosi programmare a macchia di leopardo oraria nel Paese. Dato che alla carenza produttiva di elettricità si aggiunge contemporaneamente un'elevazione dei consumi, per giro vizioso prodotta da un intensificato uso dei condizionatori d'aria e dall'allargamento stesso del loro mercato, cui la calura induce. Questi dovrebbero essere i titoloni dei nostri giornali, di questi tempi, in luogo delle tragicomiche beghette fra ministri, degli sproloqui intellettualmente analfabetici bossiani e delle barzellette da animatore d'avanspettacolo politico cui s'è ridotto il cavalier premier datoci - si dice, ma non è credibile - dalla Provvidenza, che continuano invece, distraentemente, ad occupare le prime pagine.

Diciamola duque tutta, dato che l'informazione di fonte climatica annuncia tragedie immani se non le daremo conto. Poche cose sono urgenti come una legge o anche solo un decreto (lo so, impopolarissimo, ma è impopolare anche attentare al reddito dei pensionati) che limiti drasticamente l'uso dei condizionatori d'aria, riservandoli, per dire, agli ospedali e alle cliniche nonchè alla "catena del freddo" alimentare e inducendo, magari con multe, i privati a tornare ai ventilatori. Anch'io ho un impianto refrigerante per l'abitacolo della mia auto, ma siccome non sono pazzo non lo uso mai, preferendo far entrare il vento della corsa dai finestrini aperti. Ma è così difficile far penetrare nelle nostre teste suicide che il funzionamento dei condizionatori d'aria tanto rinfresca le nostre case quanto fa da pompa di calore inserito nell'atmosfera? Già elettromagneticamente inquinata perché preferiamo usare per i messaggi l'etere invece del cavo, peraltro notoriamente anche più perfetto per la qualità delle trasmissioni. Meglio certo affrontare un'insurrezione di (relativamente) pochi egoisti, sommessamente ma con convinzione affermo, che uccidere un pianeta abitato oggi da sei miliardi e mezzo di persone; metà delle quali sta venendo cinicamente cacciata al di sotto dei limiti della sete, della nutrizione, della povertà, dell'istruzione, della difesa dalle malattie.

Ci proccupiamo tanto della nicotina (niente dell'alcool, killer molto più grosso) senza pensare al paragone così facile da stabilire fra l'accensione di una sigaretta e quella micidiale selva di ciminiere accese giorno e notte dei petrolchimici sparsi ovunque. Come se il cancro da tabacco per rischio liberamente scelto dai singoli fosse più grave e quello invece obbligatorio da benzene, fosse, per dirla con Totò, una pinzellàcchera. Ma in che razza di mondo ci vogliono far vivere, o credono di vivere lorsignori stessi?