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Categoria: Secolo postmoderno

Occuparsi dei tabù in sede psicologica è più comune. Riguarda l'individuo, le problematiche del singolo, le sue personali esperienze, le sue nevrosi intime. E il lavoro di un terapeuta. Farlo invece in sede sociologica comporta l'uso di strumenti diversi, e allora al terapeuta si sostituisce il demòscopo, purché abbia bagaglio storico e sia anche un po' filosofo. In quanto allora è dei tabù collettivi che ci si deve occupare. Ed essi invadono la legislazione, e quindi la politica e quindi il costume, e quindi la religione. O viceversa. Esiste, un'etica di massa. Variegata e sfrangiata casomai solo entro una certa misura, orizzontalmente territoriale, e culturale verticalmente, se volessimo impiantare ascisse ed ordinate. Mentre l'etica individuale possiede invece variazioni e modularità infinite; è più complessa. I tabù non sono eterni, possiamo storicizzarli. I tabù non sono planetari, possono essere anche opposti. I tabù possono essere pure infranti; a rischio, naturalmente. Ci sono i ribelli, i blasfemi, gli apòstati. Ma anche gli sberleffatori, i corsari, gli hackers. Oppure i deboli, i sedotti, i curiosi. Gli sperimentatori del nuovo. E, perché no, gli inconsapevoli. Il primo tabù, secondo la leggenda, fu imposto ad Adamo ed Eva che però, alla fine, quella mela se la mangiarono e adesso siamo qui. Era un tabù che l'imperatore fosse anche divino, e poi cadde essendocisi accorti che gli imperatori si possono uccidere. Tabù era che fosse il sole a girare intorno alla terra, tanto che negarlo poteva essere eresia e portare al rogo. Ed era tabù la verginità prima del matrimonio così come lo era l'adulterio. E lo slogan che Mussolini «ha sempre ragione». E l'amor di patria («Right or wrong, my Country») prima che questo singolare ministro della Repubblica che è Umberto Bossi chiedesse la depenalizzazione del vilipendio alla nazione e della bandiera. Sono un tabù per i cattolici i dieci comandamenti che la Chiesa ha recepito da Mosè, anche se la carità dell'istituto assolvente della confessione ha ridotto quelle tavole un colabrodo. Esistono i tabù della politica, quelli della religione, quelli imposti dalla pubblica coscienza oppure dalla legge, esistono i tabù del sesso. Dei più evidenti, e insieme dei più pericolanti e dei più attuali di quest'ultimi, fra quelli che resistono e quelli che sono già maceria, ci occuperemo questa settimana. Il sesso infatti è anche un medium, uno strumento di interlocuzione, e quindi rientra - sotto questa specie - nel nostro campo, anche se «Sociologia sessuale», che pur potrebbe esserlo, non è ancora una materia, fra le tantissime "sociologie"seguite da un aggettivo o da un «del/della» che costellano i nostri piani di studi.  

I tabù sessuali della nostra società (occorre circoscriverci a questa perché le civiltà antiche ne avevano assai di meno, o non ne avevano affatto) che l'attualità maggiormente incrina o che sono addirittura in corso di demolizione, o di rimozione dei resti, sono quattro, e hanno tutti e quattro a che fare, come vedremo, con la comunicazione. Il matrimonio come vincolo autorizzante. Il pudore femminile. La privacy dell'atto intimo. L'omosessualità intesa come devianza. In ciascuno di questi casi la crisi dissacrante era comunque cominciata da tempo e per ciascuno è stato proprio il bombardamento mediatico a fornire prima innesco e poi alimento. Esaminiamoli uno alla volta. 

Indissolubile che prima fosse o scioglibile com'è oggi, il matrimonio è un istituto giuridico e, non planetariamente ma nelle forme di gran lunga più diffuse, monogamico; anche se ora da noi l'adulterio non è più reato ma solo fatto privato. Sua alternativa crescente è la convivenza di coppia; tanto crescente che si sta dando, in certi casi e a certe condizioni, riconoscimento istituzionale anche alla «coppia di fatto». Perché stabilire un nesso fra questa evoluzione formale, non comunque sostitutiva del concetto di famiglia, e un fatto comunicazionale? Andiamo ad attribuzioni lessicali: «Perché il bisogno di sposarla? Fanne la tua amante» diceva a Marius suo nonno parlando di Cosette, nei «Miserabili» di Victor Hugo. Ecco: non si dice più «amanti», nel lessico attuale; se non si dice «conviventi» che è termine burocratico, si dice «fidanzati». Il significato è chiaro: è quel vocabolo stesso ad indicare un'intenzionale possibilità di matrimonio futuro; in altre parole, la convivenza sta diventando una fase preliminare. Praticamente quella in cui lui e lei accertano se stanno bene a vivere insieme non solo pezzi prefissati di giornata; insomma se funziona quella comunicazione globale che è fatta non solo di parole, ma di letto a due piazze, di ripartizione dei compiti di casa, di vedersi senza trucco e con la barba non fatta mentre a turno e in ciabatte si mette su il caffè la mattina, di fare la spesa e di spartirsi il bagno, di armonizzare l'uso della tv e sopportare anche in sede di preparazione le predilezioni gastronomiche l'un dell'altro. Una prova che può avere esito positivo o negativo, ma un costume sociale che ha i connotati dell'irreversibilità. Infranto insomma un tabù primario. 

Perché «pudore femminile»? E quello maschile? Per spiegarlo cambiamo aggettivo e diciamo «maschilista». In quanto per maschilismo è stato a suo tempo imposto da un sesso all'altro come distintivo di "onestà" e sempre per maschilismo viene oggi liberalizzato in quanto anche il suo allentamento è comunque inteso come rivolto al collettivo dei "lui". Una parte dei quali magari, singolarmente, possono non permettere ciò alla propria moglie o figlia, o provarne disturbo, mentre le statistiche dicono invece che funziona; e se no non si affermerebbe. Nelle sfilate proponenti moda, l'elemento sempre più e sempre con meno scandalo dominante è appunto la nudità mono o bimammillare. Il topless è nato nel 1964 su spiagge d'oltre Atlantico e ratificato dalla Corte di Cassazione italiana nel Duemila. Intanto era sopravvenuto il tanga che dopo il top ha fatto decadere anche la parte posteriore del costume da bagno, estendendosi subito anche alla lingerie inferiore domestica. Al carnevale di Rio manca oramai solo un minimo isoscele perché sia nudo del tutto, ma lo è da molto tempo sia al «Crazy Horse» di Parigi che in locali e localetti di vario livello in tutto il mondo, e poi nelle sempre più numerose scogliere e spiagge e villaggi naturisti, affollati non da ballerine e stripteuses bensì da brava borghesia. Il nudo ludico e la sua rappresentazione erotica, intendiamoci, sono sempre ed elitariamente esistiti, così come «libertinaggio» è lemma di dizionario e d'enciclopedia. Ma qui si sta parlando di fenomeni adesso pubblici e pubblicizzati, di relativa massa, e in corsa per diventare abitudine routinière anche senza più traccia d'erotismo alcuno. Sdoganati sono già. 

Che questo esser spogliati in compresenza rappresenti messaggio erotico come nel linguaggio pubblicitario Sisley o Versace nel campo dell'abbigliamento e in tanti film, o messaggio di normalità come nei nudo-kamp tedeschi o dell'ex Jugoslavia o in tanto diporto in barca, è sempre ad un ordine comunicativo che appartiene; come restano appunto comunicativi di qualcosa anche una cravatta o un semplice decolleté. Il corpo umano e la sua articolata anatomia comunicano particolari di carattere e d'espressione assolutamente come col linguaggio muto che pure ha un viso. Vale a questo punto altresì per il maschio, che in queste sedi alla donna è paritariamente mischiato, ma è stata certamente soprattutto la femminile spinta emancipatrice che ve l'ha fatto consentire passando, sempre meno irresolutamente, dopo che questo tabù ha cominciato a scricchiolare, dallo «stop» al «go». Il detto propulsore topless, infatti, è femmina e non maschio; ed ha rappresentato liberatorio combattimento, negli anni in cui la sua adozione portava ad arresto e guardina. Un altro propulsore viene invece dal Nordeuropa ed ha una consistenza culturale, poiché è cultura anche la fitness. Le saune, in Scandinavia, in Finlandia, nei Paesi baltici, ci sono anche nelle abitazioni private, e lì dentro, tra pareti foderate di legno e fumanti vapori, padroni di casa ed ospiti stanno in adamitici conversari senza che nulla d'osceno o anche solo piccante gli passi per la testa. E' tranquilla socializzazione. Senza che sia profezia azzardata supporre che tale costumanza sia in cammino pure verso le nostre parti (si son giù viste, per ora sulle riviste di arredo, pubblicità del tipo «la stanza da bagno diventa salotto»). Fuori, dunque, su questo terreno, anche il tabù del pudore, che impediva eguale diritto morale ed uguale considerazione visuale sia a un gomito che a un vello pubico. E il fatto che ciò non sia attualmente generalizzato, come nell'antica Grecia dove le Olimpiadi si svolgevano in nudità e i lavacri erano fuzione promiscua come del resto nel nostro Evo di mezzo, non impedisce di scorgere qual è la direzione di marcia. Allora il pudore non c'è più? Ma sì: a fronte dei calendari in cui si ostentano gli attributi delle top-girls ed alle procacità hard delle copertine dei periodici a maggior diffusione, cosa c'è di più pudico, per paradosso, di un anche casalingo nudo che sia indifferente e tranquillo, ancorché reale e non di carta?

Raccontare in esplicito un atto sessuale in un romanzo è cosa frequente, da Boccaccio in poi, e Zola, Flaubert e Lawrence, e poi Mann e Moravia, per non parlare delle autrici, come Colette ed Anaìs Nin, costituiscono capitoli della letteratura moderna. Ma un libro non è uno spettacolo: lo si legge in solitario e le parole possono essere tradotte in immagini solo dalla fantasia di ciascuno. Quanto alle così chiamate "arti figurative" esse sono appunto artificio, e quindi finzione statica. Oggi però la privacy del rapporto intimo è violata da una quantità di media: dal palcoscenico, dal cinematografo, dalla televisione, da Internet, e volendo - adesso - anche dai cellulari. Non stiamo parlando di porno, sia chiaro, che è un fenomeno a parte e rappresenta invece l'evoluzione movie degli affreschi di Pompei e delle stampe oscene che pullularono dal Settecento. Occupa per esempio un terzo del traffico in Web ma è fuori dal filo del nostro discorso, dove può al massimo entrare una parte del teatro live. Stiamo invece parlando dell'abitudinarietà con cui ormai sporge sesso attivo dalle lenzuola sparse nei film, e che giungono poi in casa per tramite della tv oppure in cassetta, e spessissimo con firme illustri. Intanto per questi non bastano modelli e modelle, ci vogliono attori e attrici. Il cinema era ancora in bianco e nero quando vi comparvero scoperti il primo seno (Clara Calamai, anni Quaranta) e il primo pube (Hedy Lamarr, già anni Trenta) e i nudi integrali ripresi dalla Riefenstahl nei suoi documentari. Attrici senza inibizioni corporee come Arletty e la Bardot vennero prese per delle svergognate e il pene di Depardieu fece ridere, ne «L'ultima donna» di Ferreri, finché in the end se lo mozzò atrocemente con un tagliapane elettrico, tirandolo poi dietro alla Muti inorridita. 

Ma queste erano solo le premesse. Oggi invece nei film si scopa correntemente e in qualche caso alla grande, o così appare, dato che sul set è recita. E' stato perfino riapplicato in questi giorni, per lo spagnolo «Lucìa y el sexo», peraltro una bella storia e ben fatta, l'ormai desueto «Vietato ai minori di anni 18», che era stato, come si sa, ribassato ai 14. «Ultimo tango a Parigi» fu tolto dalla circolazione e mandato al rogo poiché famosamente Marlon Brando vi sodomizzava Marie Schneider, ma oggi, sintomo di tutti i sintomi (come pare lontano quel tempo), torna con tanto di grancassa in DVD, e per giunta col ripristino anche di quei minutaggi allora preventivamente per prudenza "tagliati", come altri innumerevoli che si succedono nelle sale. Tinto Brass ne fa goliardicamente uno all'anno, non certo eccelsi ma fitti di penetrazioni eterosessuali en plein air. In «Irreversibile», film francese vincitore di premi, Monica Bellucci e il suo partner di scena, che comunque nella vita è suo marito, si rotolano su un letto per venti minuti senza nascondere nulla di se stessi. E non sono neanche gli esempi più eclatanti, questi che sto facendo. Insomma, il pubblico si è abituato e nei talami privati più morigerati si vanno imitando, a catena di sant'Antonio, tecniche e posizioni. «Non si può non comunicare» sentenziava Watzlawick, ed è comunicazione, e forte, come si costata, pure questa. C'è solo il problema, ma hai detto niente, di tenere lontani dallo schermo i bambini. Ciao dunque a questo terzo tabù, per il quale una volta, ma lo ricorda ormai solo chi ha la mia età, c'erano sanzioni morali, multe e anche carcere. 

Paesi in cui l'omosessualità è reato, ed è anche punita con particolare severità, ce ne sono ancora, ma nella cultura cosiddetta occidentale ciò è stato quasi del tutto superato, e la sua accettazione come "fatto" è stata in qualche Paese (Olanda) sancita legislativamente con l'inclusione del diritto a celebrare anche matrimoni omosex con relative conseguenze civili ed amministrative. Ho apposto quel «quasi», unicamente per il diffuso fastidio o anche solo disagio che ancora ne dà un'autoesposizione poco signorilmente ostentata in molte sedi e circostanze. Definire infatti «orgoglio» quello gay o lesbo in apposite manifestazioni, che nel linguaggio della comunicazione si chiamano «eventi», è contraddire la rivendicata «normalità», sia pure abbondantemente minoritaria, del fatto. Che uomo ami uomo o donna ami donna, e si scambino sesso appunto per amore o anche solo per vocazione fisiologica, non conduce più alla catena dei lavori forzati come toccò a un'anima pur così delicata come Oscar Wilde, e rarissimamente è oggi drammatica come in un filosofo della statura di Foucault, che volse ciò in goduta sofferenza e ne volle morte. Molte signore della letteratura e dello spettacolo non hanno fatto mistero del loro essere serenamente o passionalmente bisessuali. Sono stati i media prima ad anestetizzare e poi a mettere in bagno detersivo la formula dell'eterosessualità come canone unico che ostracizza l'altro. Ma quello che davvero taglia questo tabù alle radici è l'attuale viverlo allo scoperto con dignità e discrezione, e senza perdere rispetto, di tante omocoppie a diverso livello di ceto, che non suscitano più nè stupore nè segnalazione a dito. Se una volta si trattava di esperienze tanto frequenti quanto proibite nei colleges, nelle caserme e nei conventi, nelle comunità cioè rigidamente divise per sesso, oggi perfino l'associazionismo militante in politica - in Italia ci sono sia l'Arcigay che l'Arcilesbo - esprime anche candidati agli organi elettivi pubblici. Con una patente di cui nessuno si vergogna più perché sono cittadini come gli altri. O magari fra poco il loro antico posto sarà preso da coloro che insisteranno, nonostante la persecuzione sempre più incisiva, a fumare tabacco. Perché morto un tabù ci vuole poco a farne nascere un altro.