Fra le molte "tesine" portate all'esame di linguaggio giornalistico dai miei studenti nei due appelli che ho tenuto in questa sessione estiva per il corso di laurea in Interculturalità dell'Ateneo triestino ne ho trovata particolarmente interessante una in cui c'entra anche Palermo. Essa riferisce di un'iniziativa svolta nell'arco di sei giornate presso una scuola elementare, cui hanno partecipato insegnanti ed operatori didattici di varia provenienza. Promotrice l'associazione "Scuola e Costituzione", che ne ha messo al centro il tema del dialogo (informativo/apprenditivo) in un'accezione molto particolare, quella del reciproco raccontarsi. In alternanza di ruoli.
Spiego il concetto. In un luogo di valenza simbolica, il cortile della scuola (dove ci si incontra per transito o svago con provenienza sia dall'interno che dall'esterno di essa) si è dato vita a un vero e proprio "laboratorio di narrazione", il quale è stato aperto appunto da un'associazione palermitana che con fervidamente scintillante onomastica, si chiama - ehilà - "Narramondi" e sulla quale, ora incuriosito, vorrei sapere di più. Ed ecco in cosa è consistito questo utilissimo esperimento. In una prima fase i partecipanti si sono divisi in coppie e all'interno di esse ciascuno ha raccontato all'altro un episodio particolarmente significativo della propria vita. In una seconda fase tutti i partecipanti si sono collocati a cerchio ed ognuno, a turno, ha nuovamente raccontato ma con parole sue l'episodio di cui era stato in precedenza diretto ascoltatore.
In una successiva giornata, promotore stavolta un gruppo di Firenze, con la stessa tecnica (prima due interlocutori in coppia, poi tutti insieme a cerchio) ciascuno ha descritto all'altro un personaggio in qualche modo strano che gli era capitato di incontrare; e poi ogni partecipante ha riferito quanto aveva recepito come ascoltatore di turno, ma stavolta fingendo d'essere adesso proprio lui la persona che dell'incontro narrato era stato in precedenza protagonista/attore.
Appare molto evidente quale frutto è stato ricercato attraverso tale metodo rappresentativo e che tipo di risultati ne siano provenuti. Anzitutto è stata esercitata una "capacità di immedesimazione". Poi è stato costatato come una storia o una situazione potessero mantenere i rispettivi connotati fondamentali pur essendo differenti le espressioni e i modi lessicali e linguistici in cui sono state volta a volta ri-esposte. Infine si è convalidata l'importanza di uno scambio di esperienze che ha fatto scoprire fra tutti molte analogie e simiglianze del rispettivo vissuto nonostante la diversità delle provenienze e dei ruoli; e ciò salvando comunque una gamma di personalizzazioni e di caratteristiche interpretative, con accettazione e scambio dunque accrescenti ogni singolo bagaglio individuale dei presenti. Considero tutto questo ottimo allenamento alla pratica giornalistica, e lo penso recepibile pure in sede universitaria nell'àmbito di questo specifico corso di laurea.
In questo laboratorio collettivo ha avuto una momentanea parte - in altra giornata ancora - anche Sheherazade. Che sapeva così ben raccontare le storie di Simbad, di Alì Babà, di Aladino, e coi suoi racconti avvincere per circa tre anni (tanti ce ne vogliono per contenere mille e una notti), fino a salvarsi, il suo sultano Sciahrijàz che prima di vergini silenti e godute ne metteva a morte una ad ogni alba. Se l'uso comunicativamente efficace della parola deve avere un patrono o patrona, altri infatti non può essere se non proprio questa giovane persiana che la leggenda vuole anche bellissima e che Rimskij Korsakov musicò. Anche alla musica è stata peraltro dedicata una delle giornate, a quella ritmica in particolare: tenendo conto cioè del fatto che in molte culture, specie in quelle più semplici, essa non è concepibile scissa dal ballo e che anche i danzatori, servendosi della scansione del corpo, dialogano fra di loro e/o raccontano eventi e personaggi.
Credo dunque proprio che avere assistito a una manifestazione del genere ed averne recepito lo spirito sia anche stata una eccellente buona occasione per chi studia tecniche comunicative e dunque confronto tra culture, e sperimenta giornalisticamente forme di linguaggio. Questa "tesina" da cui mi son permesso di prendere spunto del resto lo dimostra, ed è riuscita fra l'altro anche a mostrare la scioltezza, l'efficacia e perfino la gioiosità con cui queste vere e proprie invenzioni in materia di comunicazione e di interazione sono state adottate e messe in pratica. E anche tuttociò, così fuor di tradizione e così originalmente intrapreso, è buon sintomo di postmodernità.