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Categoria: Secolo postmoderno

Dal numero di oggi, il 57, questa rubrica torna ad essere scritta da Palermo ma ciò, si sa, non ha alcuna importanza, come non aveva importanza che nei mesi precedenti fosse stata scritta da Trieste: nel computer di «Ateneonline» c'è una pagina ad essa riservata, e nel mio un layout connessovi che io posso riempire da dovunque, anche da Sydney o da Seattle, perché l'intero etere è ormai un'unico immenso ufficio postale e al computer di chi legge tutto arriva immaterialmente da lì e non fisicamente dall'una o dall'altra sede universitaria dove alternativamente ho docenza. Ha invece importanza ai fini delle differenziate materie che insegno e delle lezioni ed esercitazioni della quale questa rubrica costituisce integrazione, ponendo a seconda di ciò, pur nella generalità della sua tematica (aspetti della comunicazione, particolarità di linguaggi, influenze tecnologiche) degli accenti maggiori sulla specificità dei singoli corsi che tengo. Quello palermitano di quest'anno di «Teoria e tecniche del linguaggio radiotelevisivo» - che inizia in aula proprio oggi, giorno in cui queste righe, come ogni lunedì, vanno on line per restare una settimana impaginate in testata e passare poi alla consultabilità permanente attraverso l'apposito indice - è intitolato «Sua Maestà lo Spot». E vi riferisco perciò stavolta e appositamente proprio anche il titolo di questa rubrica, per sottolineare anzitutto come il linguaggio radiotelevisivo non sia solo giornalistico ma anche pertinente intrattenimento, discussione, divulgazione, racconto, pubblicità (se vogliamo, come è invalso, nominarli in inglese, diremo news, enterteinment, talk-show, divulgation, fiction, advertising), e come però quest'ultimo, quello caratterizzante la pubblicità, sia pian piano divenuto quello dominante, quello che influenza sempre più anche gli altri. Se non nella sostanza certo nelle forme e in relazione agli scopi.

 

Questa progressiva prevalenza della presenza pubblicitaria nel campo dell'informazione era già più che avvertita sotto il profilo economico. Sia le testate a stampa che i palinsesti televisivi sono infatti da tempo prigionieri dell'ormai loro indispensabile afflusso finanziario da questa fonte, senza la quale non potrebbero reggere nè i sempre maggiori costi d'impresa industriale (sia per la copertura planetaria di quella materia prima che sono le notizie, sia per le tecnologie occorrenti alla loro diffusione, sia per gli insufficienti redditi da edicola) le une, né i sempre maggiori costi dei programmi (budget d'allestimento, acquisto di diritti, cachet per titolari e casting) gli altri. C'è un libro di Gianluigi Falabrino, «Pubblicità serva e padrona» che spiega molto bene tutto questo, tanto che sarebbe da ritenersi molto meglio intitolato «Pubblicità da serva a padrona». Da che infatti erano semplici "concessionarie" le compagnie pubblicitarie sono diventate parte integrante delle strutture editoriali e quanto alla televisione vi dettano legge e basta.

 

Si deve a loro se i quotidiani italiani, per ospitare i prodotti di queste fanno numeri fino a 64 pagine, naturalmente impercorribili tutte quante sono, e i supplementi femminili del sabato dei due quotidiani maggiori stazzano ormai come un medio elenco telefonico. Costringendo così da tempo tutte le aziende municipali di nettezza urbana a disseminare contenitori differenziati per la raccolta dei rifiuti cartacei. E ad arricchire smisuratamente i produttori di carta in bobine da cellulosa sempre più bisognosi di alberi da macinare (ci avevano insegnato alle scuole medie che è frutto della loro sintesi clorofilliana in continuo depauperamento l'aria, già fin troppo inquinata da altri tipi di industrie, che respiriamo per vivere). Si deve a loro il continuo incremento proprio oramai "territoriale" degli spazi televisivi sia riservati sia sponsorizzanti dedicati al mangia-bevi-questo, compra-questo-e-quello, usa-i-soldi-così-e-cosà che tracimano dai nostri video domestici. Questa, intesa come eufemisticamente, e anche genialmente, dice Maurizio Costanzo, cioè «Consigli per gli acquisti», non è più pubblicità - che in origine era, e lo dice la parola stessa, anch'essa informazione - e diventa invece pressante induzione a una sorta di ben precisa way of life. Non più cioè la presentazione di un prodotto, e invece una programmatica e generalizzata spinta al consumismo se no, ci dicono, «crolla l'economia»: la teorizzazione insomma che al primo posto c'è il profitto, e la persona viene dopo. Ma non dovrebbe, fra i diritti e le libertà da difendere, essere l'inverso? Si tratta proprio della differenza semantica (e politica) fra "liberistico" e "liberale", no?

 

A riprova, una delle più importanti di queste compagnie di pubblicità che ormai sono un "potere", Publitalia, si è addirittura trasformata in partito politico, o l'ha partorito, organizzato e lanciato. Nel nome l'Italia è rimasta e le è stato premesso un quasi sinonimo di "potere", cioè Forza. Un'abile e raffinatissima strategia mediatica lo ha condotto, producendo il necessario consenso popolare, al governo di questo Paese. Quanto segue è qualcosa che ho già raccontato nelle mie dispense di due anni fa, ma sta bene anche nel contesto presente. Una quindicina di anni addietro l'allora responsabile del dipartimento Stampa e Propaganda (che nome d'epoca...) dell'allora Pci, Walter Veltroni, organizzò a Roma Eur un convegno sul tema, già allora sentito, del rapporto tra informazione e pubblicità; vi partecipavano politici nonché addetti ai lavori di questi due comparti. Quando entrò in sala Silvio Berlusconi, ancora non «sceso in politica», Veltroni, che presiedeva, ne salutò l'arrivo dal microfono definendolo «uno dei maggiori esponenti del mondo pubblicitario in Italia». Berlusconi, modesto come sempre, fu prontissimo a rispondere così: «Caro Veltroni e cari convegnisti, io vi ringrazio dell'invito e del saluto, però consentitemi una precisazione: io non sono "un esponente del mondo pubblicitario", io SONO la pubblicità». Frase che io annotai subito nel mio taccuino perché mi parve interessante, ma che non ripresi nell'intervento a mio turno poi svolto nel dibattito solo perché non possedevo una sfera di cristallo dove vedere il futuro. Però mi è stato utile conservare quel foglietto di notes perché così l'ho potuto citare quando l'autoproclamatosi mister pubblicità è divenuto, a dorso di media, presidente del Consiglio.

 

Ecco, se queste premesse di carattere economico e anche di filosofia sociale fin qui descritte rappresentano la complessiva invasività del potere pubblicitario; fino a traslare il concetto di democrazia parlamentare in quello di share d'ascolti e di tendenze del mercato come nuove forme appunto di democrazia; fino ad anticipare in modo influenzante i risultati elettorali con le tecniche di marketing applicate alla campionatura testante dei sondaggi preliminari; fino a considerare la “cura dell'immagine“, cioè l'apparire sovrapposto all'essere, una nuova scienza sociale; bèh è molto chiaro allora come anche la grammatica del particolare linguaggio che della pubblicità costituisce la quintessenza non possa che esercitare altrettanta influenza sugli altri particolari linguaggi attraverso cui si esprime la comunicazione mediale, quello delle news compreso. Facendo acquisire criteri, tarando il lessico, previlegiando le iperboli, accentuando futilità espressive, usando effetti subliminali, puntando sulla suscitazione di emozioni, spettacolarizzando le immagini, promuovendo l'allusione. Ed è così che, descritto il background del campo, rientriamo nei compiti della nostra disciplina, in cui questo corso ricade, che è essenzialmente linguistica ma che non ci consente di dimenticare, ignorando le analisi per esempio di Michel Foucault, che le fonti mutanti d'ogni linguaggio sono in minima parte afferenti ai suoi spontanei meccanismi interni, e che invece sono per lo più epocalmente determinate da agenti esterni di carattere ambientale, socioculturale e spesso anche contingentemente politico.

 

Riprendendo modelli precedenti, considerando sia le semplificazioni che le complicazioni - poiché entrambe coesistono - sempre più velocemente indotte dalle nuove tecnologie, e seguendo l'attualità, tutto questo lo esemplificheremo e lo approfondiremo da qui a giugno.