Una rubrica perchè? "Rubrica" è termine repertoriale, includente gamma vastissima di strumenti: dal registro alfabetico o numerico per uffici e negozi o complemento di un'agenda, fino all'elenco telefonico. Nelle testate giornalistiche e nei programmi audiovisivi s'intende invece uno spazio fisso dedicato a determinate tematiche o comunque in vario modo caratterizzato. Facciamo però attenzione a come nasce tale nome: nell'arte libraria antica le rilegature degli incunaboli erano supportate da un'asticella centrale tinta di rosso, come le loro custodie; e rossi erano, ancor prima dell'invenzione della stampa, capilettera sottolineature titoli e ogni parte saliente d'un testo. Rosso, in latino rubrum, e dunque rubrica la terra rossa da cui questo colore veniva ricavato. Così descritto il percorso, esso definisce ai nostri fini l'oggetto come una sede di cose ritenute variamente portanti o salienti: informazione, analisi, commento, anche satira.
E questa rubrica di cosa si occuperà e in che chiave? D'un po' di tutto, purchè interessante l'Università come luogo scientifico, soggetto sociale, comunità di giovani che studiano ma vivono anche fuori da essa; per sollevare questioni, cercar di spiegarle, provocarne dibattito; stimolare, incuriosire. Ciò che è relativo alla comunicazione (per il rilievo che ha nel mondo d'oggi, ma anche per la specifica area corsuale entro la quale il medium "Ateneo" viene prodotto e per il crescente interesse e coinvolgimento dei giovani in questa direzione) sarà, è ovvio, argomento privilegiato.
Anche in quest'ottica ho scelto il nome che leggete nella sua testatina. È appena iniziato un secolo, infatti, che non solo s'è lasciato alle spalle tuttociò che era stato iscritto nel concetto di "modernità" dai due precedenti ma ne ha anzi già preso nette distanze. Il XIX improntato dall'illuminismo e poi dal romanticismo oltre che da una serie di rivoluzioni sociopolitiche e statuali, il XX che fu lanciato dall'Exposition Universelle del '900 di Parigi (suo maxi-gadget la Tour Eiffel che altro non era se non la clamorosa pubblicità delle nuove costruzioni in ferro) e che fu riempito dal sorgere, affrontarsi e tramontare di alcune storiche ideologie, da due tremende guerre mondiali, dalla sostituzione del vapore con l'elettricità e i carburanti e della meccanica con l'elettronica. È impossibile riconoscere nelle tecniche e nei valori che impongono indirizzo alla società planetaria attuale gli stessi (vado per stenogrammi emblematici) che contraddistinsero il secolo di Giuseppe Verdi e di Karl Marx e poi quello della grande Hollywood e di Jean-Paul Sartre. Migliori? Peggiori? Solo fatalmente diversi. E innescanti processi di enorme e ancora incalcolabile fisionomia finale.
Segnalo un libro, oggi. Si chiama "Raccontare il postmoderno" (Bollati Boringhieri) e l'ha scritto Remo Ceserani che insegna letterature comparate a Bologna. Poichè un'epoca cambia quando la stessa serie di nuovi fenomeni si manifesta in luoghi differenti anche se in modi a prima evidenza non collegati, l'autore rintraccia fra gli anni 50 e 60 del Novecento i germi dell'effettiva mutazione culturale, sociale, economica, politica di quella che dalla rivoluzione francese in poi era stata espressamente chiamata modernità. Il termine post-modern, annoto, si comincia a usare correntemente in Inghilterra già nel decennio successivo come ci informa Tullio De Mauro, e a metà del decennio '70 è per primo un movimento di architetti (eclettismo stilistico, nuovi materiali) a definirsi esplicitamente "postmoderno". Poi il termine passa in letteratura. Oggi parliamo di new media, di new economy, di globalizzazione. Sì dunque che abbiamo cambiato epoca, anche se ancora non sappiamo applicare a ciò una data come il 476, il 1492, il 1789. Yalta? Hiroshima? L'esplosione sessantottista? Il piede umano sulla luna? Internet? Propongo una commissione di storici per lavorare presto ad una scelta.