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Categoria: Secolo postmoderno

 

Ogni quattro anni i mondiali di calcio intasano i media per quasi un mese, con titoli, suspense e spazio/tempo dedicato a testi e immagini che nessun premio letterario o festival cinematografico, o assegnazione di Nobel od Oscar, ma neanche una sanguinosa guerra balcanica, afghana o mediorientale può sognarsi di pareggiare. Con una partecipazione di massa, non passiva ma infocatamente dibattimentale, la quale addirittura altera le cadenze del vivere casalingo, oltre che stipare in modo vociante sale e salette di ciascun bar o ritrovo dotato di televisore; e che largamente supera la registrabile media di un evento elettorale o referendario (anche perché vi partecipa pure la parte under 18 della popolazione).

Al sovradimensionamento di tuttociò anche rispetto ad ogni altro tipo di sport (qui si espone anche la bandiera, non scherziamo) concorrono im modo massiccio ad ogni nuova edizione le tecnologìe. Tutti gli stabilimenti produttori di telefonìa elettronica han tenuto ritmi forzati, stavolta, per poter gettare in tempo sul mercato gli apparecchietti da estrarre e collocarti davanti al naso che ti consentono, previa digitazione di richiamo, di spalancarti in un microvideo satellitarmente servito, e aguzzando molto gli occhi, la partita che è in corso in quel momento anche se sei in aperta campagna, in un villaggio di montagna, o stravaccato a mollo in costume da bagno, oppure in viaggio dentro un qualsiasi mezzo di trasporto. E c'è da chiedersi come la smania di godersi un goal sia pure racchiuso in due soli pollici possa contemperarsi con un piacere per definizione non solitario ma bisognoso, come questo è, d'essere fruito in compagnia. Eppure alle montagne di cambiali che son di questi tempi per questo motivo corse per procurarsi entro il 9 di giugno quei maxischermi al plasma nei quali i pollici si contano a decine da addossare alle pareti di soggiorni, salotti e tinelli, si aggiunge anche il boom, sospinto da una pubblicità forsennatamente urlata, di chi questo visore magico se l'è procurato in formato da taschino.

La prima domanda da farsi resta comunque quella riguardante il fin dove tutto questo sia normale e da dove in poi assuma connotati invece patologici. Dato che l'equazione calciomondiali = sbronza diventa davvero difficile si riesca ad evitarla. Specie considerando essere questa sfociata pure in corollari come la caccia al gadget, gli abbigliamenti cromaticamente partigiani e il pitturarsi la faccia. Dopodiché bisogna pure stare attenti a scriverle come faccio io, cose di questo genere, perché il tifo è tifo e i ruoli di semplice e disincantato osservatore non li sopporta. E ti si può pure rinfacciare che nelle vene hai acqua invece di sangue ed appartieni a una specie certamente subumana. (Qualcuno ti può pure picchiare). E' certo meglio, peraltro, un agonismo basato sull'uso dei piedi e sull'amare colori di maglietta, che non quello che porta invece a imbracciare armi e confezionare bombe, o gettarle giù dagli aeroplani, ma bisogna anche vedere se tale fenomeno viene vissuto come supplenza di un esercizio di scontro bellico che comporterebbe remore morali, o come semplice diversivo narcotico da una vita che non offre gratificazioni sufficienti. Conosco molti sostenitori sia dell'una che dell'altra di queste tesi e dunque non sarò io a proporne una terza, che sarebbe comunque buon pane per i socioantropologhi.

Perché in fondo in ciascuno di noi l'homo sapiens sapiens continua a convivere con fonti tutte istintive alle quali ci si abbandona volentieri perché non c'è qualità intellettuale la quale non sia anche minimamente intrisa di quel granello di follìa che non va assolutamente svilito in quanto è proprio ad esso che si deve altresì il poter diventare un genio. E che può far abbracciare con clamoroso armistizio pure due accaniti avversari politici, o la guardia e il ladro, ove si scoprano entrambi milanisti o juventini od interisti. E' come un virus rispetto al quale si rifiuti vaccinazione perché guarirne significherebbe dimettersi da qualcosa. O una droga non di quelle pesanti al cui piacere non si rinuncia perché conferisce senso del sogno e appagamento consolatorio, che sono categorie entrambe umanissime.

Ma non c'è niente di male ad essere minoranza, né in politica né come corrente di pensiero, né come inclinazione verso diversi modelli, siano essi filosofici, carnali o ludici. E dunque per un mesetto io starò lontano, a orario, dai televisori maxi o micro che siano e non mi importerà proprio niente se quest'agognata coppa dovesse finire in mani australiane o canadesi, scandinave o centroafricane anziché italiche. Starò bestemmiando, molti penseranno, ma ho tanta paura di una distrazione massiva - per coincidenza temporale - da alcune cose che stanno accadendo proprio adesso in varie parti del mondo ed alle quali proprio i media dovrebbero invece tenerci previlegiatamente incollati, così come qui in Italia dalla scheda da mettere il 25 di questo mese nelle urne che decideranno se avremo ancora una Costituzione democratica oppure una stravolgentemente controriformata che ci riporterebbe, fra l'altro, a prima di Garibaldi. Il momento della lucidità è sempre preferibile a quello della febbre. Sarà verde l'erba degli stadi ma ce n'è un'altra che è mooolto più verde e c'è da augurarsi, per ansia ciò ci dia, che così sia mantenuta. Non distraiamoci troppo, insomma.