Stampa
Categoria: Secolo postmoderno

Risposta alla domanda del titolo: forse (ma diamogli un po' di fiduciosa evidenza a questo "forse") non più. La strada imboccata ieri dal nostro Parlamento porta infatti al suo suicidio. Sarà possibile interromperla in tempo? Ecco, è il più importante quesito che i cittadini di questo Paese hanno per ora davanti a sé. Il poeta Mario Luzi, appena nominato per la sua opera senatore a vita ha subito dichiarato, sventolando davanti alla telecamera la propria canizie, che su questa cosa orrenda farà sentire la sua voce in aula. E anche il presidente emerito della Corte Costituzionale Leopoldo Elia ha definito aberrante questa legge fresca di varo. Non vorrei sembrare troppo apocalittico ma, per l'età che anch'io ho, attraverso il precedente regime ci sono già passato e ne so annusare benissimo i segni, per esperienza che non viene dai libri ma da un vissuto di contesti reali. E la inquietante scarsità, o debolezza, di reazioni che avverto d'intorno dipende a) in parte da quell'altissima percentuale di persone ormai disgustata da un così generalizzato scadente e scostante modo di fare politica che neanche andranno più a votare, considerandolo inutile chiunque vinca, e b) in parte dall'enorme quantità di cervelli appositamente mantecati da «Saranno famosi», dai quiz dei vari Bonolis o dalle imbonenti ancorché futilissime performances degli ultimi cellulari, che invece magari a votare ci andranno per dire ok al nuovo totalitarismo di governo perché piace loro continuare ad essere coccolantemente ipnotizzati senza avvertire il dannoso imbroglio proprio e il business altrui in cui ciò consiste.

Cercherò allora di esporre alcuni elementi salienti di quel che, già sancito da un voto maggioritario della Camera dei Deputati, si prepara per noi. E lo farò in modo doverosamente gelido e pacato proprio perché avverto come troppo animoso o troppo sottilmente strumentale o troppo inadeguato quel che quotidianamente ci perviene attraverso i normali stumenti mediatici, stampati e audiovisivi, della comunicazione politica. Si sta, come sapete, radicalmente cambiando in quattro e quattr'otto (Montecitorio ha lavorato in tempi forzati fino alle sedute notturne, e a colpi di maggioranza) la Costituzione di quello Stato del quale facciamo parte. E ciò nonostante i continui ammonimenti del suo Presidente che per cambiare il documento fondamentale su cui si basa la struttura statuale di un Paese occorre, a pena di disastri assai profondi, un consenso molto più largo di quello di cui attualmente dispone Berlusconi.

Nonostante il paparapà di trionfanti fanfare subito intonate dalla maggioranza vincente dopo il voto finale di ieri, il percorso è fortunatamente ancora lungo e offre anche plausibilità di rovesciamento di risultati. Valga la seguente citazione dalla nostra carta costituzionale in vigore: «Sezione II - Revisione della Costituzione. Leggi costituzionali. - Art. 138. Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge e stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti». (Circostanza, quest'ultima, numericamente impossibile allo stato politico degli schieramenti. Il referendum decisivo è dunque certo). Sarei stato molto contento, come cittadino, se qualcuno dei quotidiani italiani, dando notizia oggi di questo pronunciamento parlamentare avvenuto solo dopo alcune faticose tornate in attesa - si badi - di raggiungere il numero legale dei presenti, avesse pubblicato questa in certo modo rassicurante e comunque stimolante citazione in una vistosa cornice di prima pagina. Ma, ahimè, pare che anche i giornali, oggi, affidino prudentemente anche la più dovuta delle indignazioni soltanto allo sghignazzo tagliente delle vignette. Le tv poi (vedi casi Dario Fo, Sabina Guzzanti, ecc.) neanche a quelle.

Ma le metafore non fanno informazione. E allora tento di esporre qui di seguito solo quel tanto di nudità di fatti che considero bastevole.

1) Gli ordinamenti di quelle che siamo soliti chiamare democrazie occidentali (la Russia di Putin, cui si vorrebbe con questa riforma in gran parte somigliare, non ne fa parte e solo gli Stati Uniti cumulano poteri istituzionalmente distinti in un'unica figura) prevedono un capo del governo come figura esecutiva e un capo dello Stato come figura garante. La riforma Berlusconi-Bossi prevede invece il paradosso che chi governa aumenti di forza, di prestigio e di potere venendo eletto non più dal Parlamento, e restando quindi oggetto del controllo di questo, bensì direttamente dai cittadini e da quel controllo così esentandosi. E che invece proprio colui che dovrebbe essere il garante del rispetto degli ordinamenti ed al quale casomai perciò stesso più logicamente toccherebbe l'elezione a suffragio universale, venga eletto dal Parlamento. Cioè da un organo, lo vedremo adesso, non come l'attuale ma reso con inversione di ruoli soggetto alla volontà del premier. Che potrebbe così mandare al Quirinale chi dice lui, o addirittura un fiduciario proprio.

2) E come mai le Camere diventerebbero soggette al premier? Perché il potere di scioglierle anche interrompendo la Legislatura, secondo questa riforma, passerebbe dal Garante, cioè dal Presidente della Repubblica, ridotto a mero notaio, al primo ministro, o premier (non si dice più presidente del consiglio). Che così passerebbe da controllato a controllore delle Camere, tenendole in pugno con un immenso potere di ricatto. Neppure la sfiducia a semplice maggioranza esse potrebbero più erogargli.

3) Camere che non eserciterebbero neppure più un potere legislativo complessivo e comune, perché quella dei Deputati avrebbe compiti politici generali mentre l'altra, diventando Senato delle Regioni, (fra parentesi: limite d'età per accedervi 25 anni e non più 40, quindi autorizzazione a non possedere esperienza) avrebbe potestà sulle materie ad esse devolute, come Istruzione, Sanità, Polizia amministrativa, creandosi così oltretutto un dislivello enorme fra cittadini per il venir meno di compensazioni di risorse. Regioni opulente e Regioni povere non potrebbero cioè, come ovvio, provvedere allo stesso modo in materia di scuola e di salute per i rispettivi amministrati. La diseguaglianza eretta a sistema, il ritorno alle differenze di classe e a un Nord di serie A sovrapposto a un Sud di serie B.

4) C'è anche dell'altro ma mi sono limitato a esporre le cose più gravi e madornali, le cose che più picconano i caposaldi della democrazia. Non c'è altro Paese in Europa in cui i governanti godano di poteri così fuori controllo quali si vogliono attribuire d'ora in poi al capo del governo italiano. Con l'intenzione poi proclamata di far seguire immediatamente anche una riforma della magistratura e dei suoi organi la quale limiti ulteriormente anche i restanti poteri di controllo che pur essa ha sulla legittimità dell'operato di chi governa. Anche in America i procuratori sono altra cosa dai giudici ma almeno esercitano l'accusa discrezionalmente e non subalternamente all'Esecutivo perché la loro è una carica elettiva.

Per concludere, prima di un premier italiano che accentri questo potere, goduto da nessuno dei suoi predecessori, solo Mussolini ne aveva posseduto tanto (e magari di più, ma, come si dice, date tempo al tempo: la parola «regime» si consolida solo lentamente). C'è per ora sui nostri schermi uno spot della Telecom molto suggestivo che mostra il Mahatma Gandhi rivolgersi in video a immense folle, irraggiungibili per lui ai suoi anni, per esporre la sua ideologia della nonviolenza. Lo slogan finale è «Se lui avesse potuto disporre di questo mezzo, che mondo sarebbe oggi?». Sono troppo fantasioso se penso che, analogamente, avesse avuto Mussolini a sua portata la televisione dopo la prima guerra mondiale, probabilmente per prendere e tenere il potere non gli sarebbe stato necessario far assassinare Matteotti e mettere in campo le sue squadre armate in camicia nera? Gran cosa la televisione, eh? Cosi influenzante e rimbecillente come non era assolutamente immaginabile ai suoi inizi. Chi gli fece da notaio allora, Vittorio Emanuele III, dovette aspettare vent'anni e un pronunciamento del Gran Consiglio del Fascismo che lo mettesse finalmente in minoranza, per fargli trovare i carabinieri fuori dalla porta quando uscì da un colloquio con lui a Villa Savoia.

Devo dire di aver recepito ieri con inaspettato piacere, e anche se si tratta di persone la cui condotta politica non mi pare granché stimabile, almeno due dichiarazioni dall'interno dello schieramento berlusconiano, cui non è stato tuttavia dato, a mio modo di vedere, il doveroso risalto. Bobo Craxi: «Ho votato NO, perché NO avrebbe votato mio padre». E Giorgio La Malfa, idem, perché le ossa del suo, uno degli illustri autori della nostra vigente Costituzione repubblicana, è un po' che per questa cosa si stanno rivoltando nella tomba. Mentre c'è un genio, riconosciamolo, della politica, che si chiama Gianfranco Fini, il quale è riuscito a far dismettere al suo partito l'abito neofascista, ad assumere quel ruolo moderato che ha accumulato tutta sulla Lega la parte degli schiamazzatori destrorsamente eversivi, e a portare infine così abilmente a casa un progetto di struttura statuale che fosse ducesco quanto basta. Cosa in cui i suoi predecessori Michelini, Almirante e Rauti non si sarebbero mai sognati di riuscire.

Ma sapete cogliere quel che fa più impressione? La timidezza e l'evasività con cui i principali leader dell'opposizione commentano questo voto di ieri esprimendo giudizi negativi generali ma senza mettere in luce il dato più grave: che sia il capo politico, cioè, ad arrogarsi il potere di mandare a casa i deputati se il Parlamento non gli fosse obbediente. Non vorrei fossero subliminalmente solleticati dalla tentazione di poter fare lo stesso loro se vincessero le prossime elezioni. Ma non mi farei, fossi in loro, molte illusioni in proposito, perché è già chiaro che questa maggioranza, già "andata sotto" con le recenti elezioni europee, si affretterà a cambiare in tempo e a loro danno anche la presente legge elettorale. Mala tempora currunt e occorre, come sacrosantamente diceva il Procuratore milanese Borrelli fronteggiando l'artatamente complice tempesta politica abbattutasi su "Mani pulite", «resistere, resistere, resistere». Ma non in modo platonico e sostanzialmente passivo. Rassegnarsi non sarebbe solo pericoloso erga omnes, ma impossibile a luce di dignità civile.