Stampa
Categoria: Secolo postmoderno

C'è una parola d'ordine che corre da un po' nelle aziende e nelle università: è di tre lettere, «FAD», e significa Formazione A Distanza. Si tratta di insegnamento telematico. Meno raduni di aggiornamento per i propri quadri, più corsi impartiti via video. In "diretta" da computer centrale a computer periferici, ovvero immessi in Web. Negli Atenei i docenti sono indotti alla preferenza di non produrre più dispense ma CD o slides in rete, la videoconferenza tende a soppiantare l'aula. E, corrispettivamente, gli studenti spinti a darsi allo e-learning, l'apprendimento elettronico. Senza bisogno di frequenza; insomma a domicilio. E' bene? E' male? E' inevitabile! Del resto, i cosiddetti «corsi per corrispondenza» sono sempre esistiti, da ben prima dell'avvento delle nuove tecnologìe. E tutto questo corrisponde ad una logica. C'è solo da riflettere su quale sia la logica giusta; intendendo con "giusta", dato che in astratto non si può ragionare, la più producente. Allora proviamo ad esaminarlo un po', questo fenomeno. Che, come tutte le innovazioni, annovera successi ed intoppi, procede per tentativi, produce scompensi e sorprese, facilita qualcosa, ne complica qualche altra, omologa certi criteri, ne alimenta altrettanti di eterogenei, e stimola comunque una quantità di discussioni. Discutere? Siamo qua.

Per quanto riguarda l'Università, ci sono due spinte, dietro al FAD. Una è data dall'ormai enorme numero di fuoricorso, pendolari anche da lunga distanza, studenti-lavoratori; vanno inclusi, pur se in numero molto circoscritto, anche i motoriamente disabili. Una quantità di iscritti, insomma, per cui la frequenza d'aula è difficoltosa, sporadica, talvolta impossibile. A questi sono le nuove tecnologìe a poter offrire un rapporto alternativo col docente. Per molti, in certi Paesi (vedi Giappone) a scuola proprio non occorre andare più: si studia servendosi del computer. L'altra spinta è invece proprio di carattere generale. L'espansione inarrestabile dei new media e l'infittirsi della Rete, nonché il perfezionarsi continuo degli strumenti elettronici d'uso, preme su ogni comparto della vita sociale, istituzionale o privato, in modo cui è difficile o addirittura vano sic stantibus rebus pensare di potersi sottrarre. E gli stessi rapporti singoli studente/docente passano già da un certo tempo anche via siti internetici e posta elettronica. E da quando la webcamera occhieggia sopra un numero sempre maggiore di computer e la masterizzazione su supporti laserleggibili si diffonde come modo d'archiviare dati, con maggior comodità, sostitutivo di quelli cartacei, è necessario un po' per tutte quante le strutture dotarsi di queste attrezzature sistemiche; che hanno sempre più campi in cui poter essere utilizzate. Compreso quello di far lezione e di usare tecniche di apprendimento in modo così aggiornato. La stessa Università di Palermo ha dedicato a queste nuove tecnologie didattiche un interessante convegno nazionale nel novembre dell'anno scorso a Palazzo Steri.

Bèh, mettere comunque a regime queste cose non sarà facile, e sono soprattutto i docenti a incorrere in una serie di non lisci problemi iniziali. Diciamo intanto che esistono tre modi diversi di farlo. Masterizzazione su CD di teledispense e conseguente collocazione in siti Web di testi, immagini ed anche movimentazioni esplicative o dimostrative, con eventuale inserimento di voce, e documenti raggiungibili via link da singole home-pages nel sito contenute. Lo studente vi accede quando vuole, attraverso il proprio computer. Oppure lezioni riprese in audiovideo con webcam e registrate, con inserti di slides, fotografie, filmati, che possono essere anch'esse agevolmente scaricate da rete. Infine, collegamenti "in diretta" nei quali non solo gli studenti vedono e sentono il prof e lui, in appositi riquadri, loro, ma possono anche da parte loro far domande e interloquire, chattando in audiovideo o anche solo digitando in sovrimpressione. Naturalmente tutto viene anche in questo caso registrato e l'intera lezione può essere ripassata on demand quando si voglia. Ognuno di questi metodi crea dei problemi, consistenti soprattutto nel reperimento di materiali specificamente adatti, nel trasformarli in oggetti elettronici, e nell'impadronirsi di nuove abilità nel governarne l'esposizione. Ne sa qualcosa anche il sottoscritto, dopo tanti anni ridiventato di colpo faticante apprendista.

Nel primo caso occorrerà infatti acquisire capacità impaginative di tipo spazio/temporale nonché di editing grafico che evidenzi e non stanchi, e alcune manualità aggiuntive. Non è più come parlare anche a braccio da cattedra o digitare dispense scritte, magari inserendovi figure stampate. Nel secondo caso, c'è la presenza del docente, anche se non continua, con la sua faccia e la sua voce, e occorre non creare cadute d'attenzione da parte di chi se lo vede davanti a mezzobusto in un rettangolo vitreo, le quali in aula sono rimediabili e qui no. E occorre anche che i materiali via via inseriti e che spezzano questa sua presenza lo siano con appropriata arte di quello che si chiama "montaggio" la quale, trattandosi in questo caso di una docenza, non è delegabile a personale tecnico. Non tutti possono infatti disporre di uno scafato assistente specialistico che lavori a quattro mani con loro. Nel terzo caso, poi, saranno bisognevoli anche estemporanee qualità di speaker e di "conduttore" insieme, nel governare i materiali da mostrare e nel rimando a documenti da scaricare a parte, nonché nella gestione colloquiale delle domande che gli studenti porranno, e che sarà comunque bene a porre siano sollecitati. Senza di che una "diretta" bidirezionale, che ha per caratteristica appunto l'interattività, non avrebbe proprio senso, dato che ciò rappresenta una forma dialogica che dovrebbe essere non solo inevitabile ma opportuna anche in aula.

Vediamo ora quali vantaggi e quali svantaggi si possono riscontrare in tutto questo contesto. I vantaggi sono abbastanza evidenti e presto detti. La platea studentesca si allarga, non ci sono più imbarazzanti sovrapposizioni di orari d'aula fra singole materie, lo stesso docente può "far lezione" anche da casa sua o da un'altra città o da un altro lontanissimo luogo del mondo, lo studente può ripassarsi quante volte gli serva questa o quella parte di lezione, ed anche stamparsi documenti in essa contenuti. E' sugli svantaggi che il discorso si fa più complesso e delicato. Il primo di essi è, diciamo così, di carattere psicosociale: lo "studente domiciliare" non ha più quotidiani compagni di banco, non discute più con loro in mensa dopo lezione, non gli può dare neanche messaggio con una gomitata o un moto degli occhi per sottolineare qualcosa, al limite neppure li conoscerà. Ecco una tipologìa di rapporti omogenerazionali capace di smembrare un collettivo in cellule di individualità. Può essere che ciò non sia importante? Màh, ne riparleremo dopo che sarà avvenuto. Pensate alle regole collettive, e ai risultati che durano anche poi, di un disciplinatissimo college inglese. Pensate a quel che ha portato l'automazione nelle fabbriche, dove nessuno tocca più un "pezzo" con le mani e così pure in individualità l'operaio ci rimette senza neanche avere guadagnato qualcosa in rapporti collettivi. Andiamo cioè verso un modello di società che modificherà ancor più grandemente le relazioni umane interpersonali e i cui tratti possiamo al momento solo intuire, e magari in modo erroneo, senza poterli ancora verificare.

Ma questo è solo un aspetto del problema, nella cui analisi non voglio far la parte di Cassandra ma solo dell'osservatore minimale portato, al più, a formulare qualche annotazione di mere ipotesi diagnostiche. Guardiamolo un momento dal versante di ciò che viene richiesto non per l'e-learning ma per l'e-teaching, e cioè a questo nuovo modo di essere insegnante. Non in tutte le Facoltà ma in quelle una volta dette umanistiche, una lezione d'aula si prepara approntando fogli d'appunti, alcuni segnalibri fra le pagine di qualche volume, del materiale da proiettare di diversa provenienza ma già confezionato su supporti, e il tutto viene poi collegato, come si dice, "a braccio". Non sarà affatto più così quando all'aula - magari spesso anche troppo affollata per inadeguatezza delle dimensioni che ormai le occorrono o le occorrerebbero - si sarà sostituito un interfacciamento di computer. Preparare una lezione comporterà cioè, e proprio per le risorse in più rese disponibili dallo specifico new medium, una raccolta e selezione di materiali molto più vasta, varia e laboriosa. E non solo una capacità di regìa nel loro assemblaggio e nel loro governo, ma anche l'acquisizione di una serie di capacità, sia progettuali che manuali, nel gestire il computer non più unicamente per digitare scrittura e costruir tabelle, ma anche per spiegare visivamente, per fare confronti visualizzati, per movimentare animazioni. Anche il docente dovrà apprendere insomma dei nuovi (per lui) know-how non facilissimi per tutti.

E basta così? Macché. L'aula consente prolissità verbali che il video non sopporta a figura intera e figuriamoci a mezzobusto. Lo stesso linguaggio dovrà essere più sintetico e modulato, e il docente, abbiamo detto, farsi anche un po' speaker e un po' conduttore. Ci sono in televisione degli esempi tremendi di «come non si fa» in certi nostrani programmi educational per lo più notturni, dove dietro la cattedra c'è ancora gessetto bianco su lavagna nera. E che scatenano impulso fortissimo alla fuga in zapping o usando il telecomando per spegnere. Perché conferire a una lezione in video il copione di una lezione in aula annoia, stanca, disperde attenzione, e finisce in fallimentare controproducenza . E questo (è il caso di sottolinearlo ancora) comporta che occorrerà altresì padronanza nel gestire softwares nuovi da possedere nel proprio computer. Programmi tutti, beninteso, che gli studenti, loro sì, conoscono già molto bene perchè li adoperano anche per giocare. E così pure al docente che eserciti non più in aula ma in FAD starà di muovere le dita su PowerPoint e Photoshop, su Front Page e Flash, su Publisher e Draw. Attento fin dall'inizio persino alle mutazioni che la scelta, per dire, dei caratteri usati subirà apparendo allo studente proveniente dal Web e transitatavi dal formato HTML.

Alla fine, di fronte a tutto questo, quale può ad ogni modo essere il pericolo vero? Che per sfuggire a un eccesso, o tale considerato, di complicazioni e per non incorrere in sfridi gravosi di tempi preparatori, si sia tentati da criteri semplificativi i quali, tenendosi al di qua di tecnologìe più sofisticate, non sfruttino per intero le immense risorse di questo mezzo e banalizzino la lezione secondo formule espositive più simili all'antica dispensa e consistenti in un testo da poter leggere o in discorsi da pronunciare con faccia atteggiata, mostrando magari ogni tanto qualcosa, o rimandando a documentazione linkata ma sempre scritta. Potrebbe cioè insorgere - anche solo difensivamente, perché da abitudini comunicative radicate esiste una difficoltà oggettiva a recedere - una sorta di pigrizia mentale, e di adagiamento nel modo esecutivamente più facile di porgere contenuti, che però finirebbe col produrre danni qualitativi di una certa serietà.

Una lezione ha sempre dei modi creativi d'essere, è sempre anche una manifestazione di personalità elaboratrice, e trasferire metodi e modi d'altro precedente ambiente in un medium nuovo ne tradirebbe la funzionalità mandando a spasso le sue, davvero enormi, potenzialità. Come se si dovessero cioè solo sfornare dei "manuali", e non delle nozioni analizzate (pur proprio in questo consistendo invece una lezione), e dotarli casomai di riassuntini aggiunti, imparabili sostitutivamente a ciò, tipo gli sveltenti e pur tanto utilizzati «bignamini» di una volta. Parecchi slides sono fatti così, e io li chiamo «versetti del Corano» (da imparare a memoria). Volendo esser certo d'essere capito, sottolineo che non sto dicendo così generalmente avvenga o debba avvenire, ma che questa è una tentazione anche abbastanza ovvia e che questo è un PERICOLO. Che andrebbe, altrettanto ovviamente, sventato. Anche se il livello ottimale sarà raggiungibile solo un po' alla volta. Pure il progresso dei cellulari è qualcosa che pone problemi analoghi, ma per motivi opposti che consistono nella loro estrema facilità d'uso anche in mano ai bambini. Che sono quelli di averne massicciamente banalizzato e futilizzato l'impiego, massificando l'utilità comunicativa di questo strumento al livello più basso, come se fosse solo ludico il suo scopo. Mitizzatore di suonerie, emoticon, giochini e marchingegni superflui, classificatore di chi è in e chi è out. Mischiante reale e virtuale come se fossero l'uovo e il limone di una maionese. Insidiante l'evoluzione maturante che dovrebbe aiutare infanzia e prima adolescenza a diventar persone.

Tecnologìe comunicative che sono in grado di portare così tanto avanti i saperi umani e il loro scambio, rischiano insomma, se non ci apponiamo tempestivamente la dovuta attenzione, di indurre invece contemporaneamente anche a forme di pigrizia mentale, di varia natura e in vari campi, assolutamente contraddicenti gli intelligenti scopi che avevano condotto alla loro nascita. Proiettando così un po' su tutto ombre amare di appiattimento regressivo. Cerchiamo in noi le capacità di ottenere che ciò non avvenga.