L'informazione si presuppone sia in sé veritiera, però non si può mai dire. Informare che a Genova piove è un dato prontamente controllabile, quello che Paolo ama Clotilde può anche a verità non corrispondere poi molto. Parecchio dipende anche da qual è la fonte e se il destinatario è in grado di decodificare il messaggio. La comunicazione invece no, essa si sostanzia a un livello diverso ed è una scintilla fra due poli l'uno all'altro disponibili; il suo fondamento non si chiama verità, ma sintonìa. Fra persone, nonché in politica, in affari, in amore, nell'arte, se davvero si comunica ecco che nasce un soggetto plurale. L'informazione non è scambio, è notizia; la comunicazione funziona invece su due corsìe contestuali a inversa direzione di marcia. Se noi diciamo «informatore» sappiamo benissimo trattarsi di una funzione "da ...a", da fonte a fruitore. Ma dire «comunicatore» non dovrebbe, a rigore, essere neppure possibile né consentito, anche se ci caschiamo tutti: se la funzione effettivamente s'invera si potrebbe solo e inevitabilmente dire «comunicanti» perché sono con certezza almeno in due, e spesso anche molti di più. Non sono sofismi, badate, stiamo parlando di concetti precisi correlati a correttezza lessicale. E invece il mondo si sta riempiendo sempre più di, così chiamati, comunicatori. Lo presume di sé Tizio, lo diventa Caio, lo si attribuisce a Sempronio (o a Filano, a seconda della latitudine geografica nazionale). E il fenomeno è preoccupante perché ci mostra da un lato uno col megafono in mano e dall'altro noi che non siamo più allo stesso livello ma siamo divenuti solo target ossia, tradotto in italiano, «bersaglio».

Da questo preambolo s'è già capito che stiamo soprattutto parlando di pubblicità (commerciale) e di propaganda (politica). Il messaggio «Comprami!» e il messaggio «Votami!» obbediscono ormai alle stesse regole e adottano le medesime tecniche. Si elegge un telefonino o una bibita e si vende un programma legislativo o un candidato. Marketing e demoscopìa si sono fusi in pressoché identica utilizzazione d'avanscoperta. E il termine consumatori si sovrappone con implacabile ambiguità (Braudillard) a quello di cittadini, che ci identificava una volta. Può darsi che non tutti se ne accorgano, ma la pressione mediatica è una sorta di continuativo elettroshock morbido che ci ammanetta e benda psicologicamente, o almeno ci prova. Il ruolo non è più reciproco, insomma, ma è spartito fra un agente attivo e una quantità di unità passive: finisce che the communicator non può che voler avere the mass ( l'intero people, ossia "la gente" indifferenziata) come dirimpettaia; non è più un leader carismatico ma, come si dice, un opinion maker; o un istituto esercitante pressione. Che è tutt'altra cosa, e l'unica fortuna è che talvolta riesce e talvolta no. Siamo stati infatti anestetizzati, e in qualche caso anche drogati, ma lobotomizzati ancora no. Anche se l'intenzione profetizzata da Huxley, Orwell e Bradbury è sempre latente.

Un esempio, adesso. E non farò quello chiaccheratissimo dei SMS elettorali proditoriamente infilati nei nostri cellulari da Berlusconi e dalla Colli e che, pur se rivelatisi vani e controproducenti per la petulante spocchia di cui erano intrisi, non per questo ci dàn speranze di desistenza data la facilità tecnologica d'approccio e contatto che mantengono. Non lo farò perché se n'é già parlato tanto, suscitando anche delicati problemi di liceità giuridica. Ne espongo invece un altro, che mi pare clamoroso e sul quale pure non ho ancora letto nulla e non avverto la reattività che sarebbe pur legittimo aspettarsi. Suona il telefono a casa mia, prendo il cordless, clicco ma non faccio in tempo a dire «Pronto» perché una voce squillante mi spara immediatamente nell'orecchio questa frase: «Il vino..... (non ne faccio il nome perché altra propaganda anche qui proprio non ne merita) è il più BUONO! Se vuoi saperne di più premi il tasto 1». Io il tasto 1 lo guardo subito con istintiva antipatìa da rigetto e pigio invece quello che serve a spegnere. Ma il collegamento con l'1 è evidentemente predisposto e mi viene invece ripetuto lo stentoreo messaggio di prima: se prima non pigio 1 non si lascia spegnere. Così sbatto il cordless sul suo piedistallo e la risolvo in modo brutale, perché a quel contatto fa il suo flebile biiiip di rito e si mette quieto sotto le mie occhiate d'odio.

Bene, questa non è solo aggressione alla privacy, questo è un tentativo di stupro e un ritorno alle invasioni barbariche. Insomma, l'azienda produttrice di quel vino innominato dà dei soldi alla Telecom, la Telecom - con cui io ho un contratto per fornitura di servizi di ben altro genere - se li prende e mi obbliga a farmi violentare a sorpresa il timpano da quella maledetta effrattrice. Ditemi se non è un agguato. Non posso neanche rispondere urlando io che «Il vino, puntini, fa schifo!» perché si tratta di un semplice disco che non sente e non registra. E neanche è il caso io soddisfi la mia tremenda tentazione di procurarmi la e-mail di quell'azienda vinicola per digitarle questa mia replica in grandi caratteri maiuscoli di colore rosso, perché allora potrebbero benissimo denunciare loro me per ingiurie. Per una cosa così gli utenti, a mio modesto avviso, dovrebbero scendere in piazza e adottare lo sciopero d'omissione del pagamento delle bollette fin che non la smettono. Può anche darsi che si tratti di un'iniziativa sperimentale, comunque, solo per vedere quanta gente si lasci ipnotizzare a premere il tasto 1 e quanta no. Ma anche fosse solo così il futuro di fattispecie me lo vedo davvero nero.

E l'altra funesta novità che si prepara è questa, sentite un po'. La pubblicità, che già finanzia i giornali e le televisioni, si prepara ad assalire in forze il cinema. Parte dall'America (e da dove se no?) questa notizia che capovolgerà un principio. Finora la «pubblicità indiretta» era proibita: in un film non la vedi , la marca d'una bottiglia che viene versata o d'un profumo del quale t'aspergi. Però sono in corso serrate trattative fra le top pubblicitarie e i big della produzione cinematografica perché tale norma venga segata via secondo il patto seguente: se una marca automobilistica contrassegnerà una storia riempiendoci gli occhi delle sue berline e dei suoi coupé resi riconoscibilissimi, o se i protagonisti di questa s'ingozzeranno continuamente di un certo prodotto alimentare esplicitato, i rispettivi produttori di quei beni e di quelle merci parteciperanno in adeguata misura all'investimento per produrre quel film. Quale casa e quale produttore singolo saran mai disposti a rinunciare a uno sgravante intervento finanziario come questo? Già la Aston Martin molto dovette a James Bond trent'anni fa, così come la Gordon's (gin) a Humphrey Bogart, ma poi i freni vennero serrati. Adesso invece ci si prepara a smollarli irresistibilmente di nuovo; con buona pace dei vari vigilanti che più che tanta forza d'opporsi proprio non possiedono, va'. E poi si può sempre ottenere in merito persino qualche precisazione legislativa.

In un paese come il nostro, poi, dove occorrono tagli al bilancio e sono dunque a rischio anche le sovvenzioni pubbliche al cinema, rendendo benvenute iniziative come questa, e dove Publitalia è diventata Forzitalia e l'apparato di quella s'è tramutato nell'ossatura organizzativa di questa, con un passaggio da azienda commerciale a partito politico, è cosa che vi pare davvero così difficile prenda piede? Se tanta gente gira già oggi, e gratuitamente, con un cubitale marchio d'abbigliamento stampato sul davanti della propria t-shirt o addirittura su un vetro dei propri occhiali da sole, quando pagassero anche a te un'occcupazione di spazio sulla tua giacca, tipo quella già ottenuta sulla tuta rossa di Schumacher, riusciresti a tener duro molto a lungo prima di concederla? Quando già metà delle mail che ricevo si fregiano in calce di un paio di righettine di pubblicità, spesso anche solo promozionali del rispettivo server, concedendoti gratuità di messaggio e vari altri benefit? Non siamo un virus, insomma, ma quanto meno i suoi "portatori sani". Sancta Publicitas, ora pro nobis. Quanto mi dài se mi faccio mettere in fila tre bei marchi uguali d'uno stesso detersivo sulla portiera della mia auto e il logo slurp d'un gelatino in decalcomanìa sul suo lunotto posteriore?