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Categoria: Secolo postmoderno

Questa rubrica, dedicata a un evento di attualità il cui svolgimento è tuttora in corso, è stata scritta il 16/04/04 e messa in pagina lunedì 19. Se in ciò che al riguardo avverrà nei prossimi giorni non potranno trovarsi smentite a quanto qui descritto, potranno invece trovarsi o delle convalide o delle aggiunte delle quali andrà tenuto conto. Questa nota trova il suo senso nel fatto che, come di consueto, questo testo rimarrà collocato in pagina così com'è per una settimana, e cioè fino a domenica 25 aprile. (e.f.)

L'argomento che affronterò oggi è estremamente delicato e dunque è necessario mi auguri di saperlo stendere senza incorrere in esposizione a critiche e senza creare turbamenti d'animo che siano impropri. E ciò pur se dovendo in qualche modo e in qualche momento, con quel che sto per dire, "uscire dal coro". Ma mestiere di giornalista e professione didattica mi impongono quel che dovrebbero imporre anche ad altri. Cioè una assolutamente scevra da ogni retorica (troppa a livello ufficiale ne sta scorrendo) funzione mediatrice fra accadimenti e pubblico, fra compiti di cattedra e riflessione di studenti. Qualcosa che invece sia integrazione fra ribalta e background, e che sia analisi a tuttocampo e non di frammenti. Ho sempre pensato sia necessario essere esenti da imbarazzi nel gestire il "parco lampade" orientato sulle notizie in modo che esse siano illuminate per intero, quinte di contesti incluse, e di prospettare sempre anche “gli inizi della storia" senza dei quali potremmo pure mancare di prospettiva sul movente dei protagonisti.

I giornali continuano ad essere pieni, e a giusta ragione, del modo in cui è morto «un italiano» in Iraq - il primo degli ostaggi rapiti, e auguriamoci sia anche l'unico - ucciso con due pistolettate alla tempia mentre era ammanettato; la tecnica esatta barbaramente applicata con i loro prigionieri nostri dai nazisti alle Fosse Ardeatine. La frase da lui esclamata («Vi faccio vedere come muore un italiano...»), anche se disturbata nella sua forza dal «Posso?» finale nel tentativo di togliersi il cappuccio, lo ha fatto assimilare per mentale evocazione ad Enrico Toti, il bersagliere ciclista dei nostri libri di scuola che colpito lancia, come ultimo atto della sua vita, la sua stampella contro il nemico. Anche se la comparazione - pur da nessuno così esplicitamente precisata e però solo indotta dai largamente usati sostantivo «eroismo» ed aggettivo «eroico» in questi giorni - è abbastanza certamente imperfetta, pur essendo chiarissimo che quest'uomo (le parole andrebbero sempre scelte con pertinenza) è morto con molto coraggio. Non sapremo probabilmente mai, vedendo così assai utilmente dissolto un tale "giallo", se di questi italiani catturati due sono gli stessi allora anonimi che testimonianze oculari straniere affermano aver visto cadere in mani iraqene alcuni giorni prima e che si sono poi dissolti nel nulla. Esso resta però un possibile elemento di suffragio a una sensazione di disagio creatasi nelle fonti censitrici di fronte a persone, o figure, non risultanti negli elenchi ufficiali dei cittadini italiani al momento presenti in Iraq. Anche se di quei primi nessuno da giorni parla più, tanto che s'è perfino almanaccato fossero degli 007 dei «servizi», quattro identità reali sono tuttavia poi comparse, in nuova data di cattura. E sono state succintamente definite «guardie giurate alle dipendenze di privati».

Il nostro ministro degli Esteri ha confermato nome e cognome del primo giustiziato, ma è meglio dire assassinato, non in conferenza-stampa o nel primo Tg utile bensì nel corso d'un popolare talk-show televisivo, e questo l'ha già fatto biasimare nel modo più duro da tutta la più autorevole stampa italiana. E, per sovramercato, l'ha fatto in presenza di parenti, lì in studio, di altri di questi ostaggi, improvvisamente rimastine sconvolti sotto la mira delle telecamere (davvero un altro splendido esempio di "buongusto" di questa tv nostrana che si affanna a distribuire emozioni con lo stile con cui si getta carne fresca nelle gabbie dei felini da circo o da zoo), abituate a non avere più che tanto rispetto degli inermi. Il punto che preme a me però non è questo, è quello invece di cui si tace. E che dovrebbe essere a sua volta ed altrettanto bene illuminato. Perché da questa così solerte TV non ci viene anche detto chi ha assunto e spedito praticamente al fronte (assieme a chissà quanti altri alle stesse condizioni e per gli stessi compiti), e per servire chi, questi quattro disgraziati che non trovavano un normale lavoro stabile in Italia? Gliene mancano i mezzi di ricerca? Attende che parli la Farnesina? E' stata autorevolmente invitata a sorvolare? Ciò potrebbe creare qualche imbarazzo grave anche al governo? Può essere - unica eventualità giustificabile - che di questi quattro italiani e della loro attività momentaneamente specifica si sappia invece tutto, insieme all'identità, sigla o ragione sociale loro datrice di lavoro ma che dirlo ora pregiudicherebbe le trattative per il rilascio dei tre superstiti? Insomma, questo silenzio perdurante autorizza a formularle tutte, le ipotesi, se vogliamo seguire, come mi pare dovuto, una metodologia rigorosa.

«Guardie giurate» è un termine che non solo il giornalista sa essere molto generico. Sono guardie giurate i metronotte, i portavalori, i guardacaccia, «Guardie giurate assunte dalla famiglia Corleone» dicono nel film i borghesi armati che vanno a presidiare l'ospedale dov'è ricoverato il Padrino, guardie giurate col giubbotto antiproiettile vediamo sostare quotidianamente davanti alle nostre banche, guardie giurate abbiamo noi in portineria qui all'Università. E allora: guardie giurate di quale agenzia, italiana, estera o internazionale, laggiù in Iraq? E guardie giurate alle dipendenze di quali privati, persone, o enti, o imprese ed a tutela di cosa o di chi? Ditemi se non si tratta dei primi interrogativi che frullano in testa a chiunque e se non si dovrebbe far di tutto per soddisfarli. Ci hanno solo detto che «vengono pagati profumatamente»: fino a mille dollari al giorno, benefit compresi o forse no. E per toccare questi tetti stipendiali da giocatore di calcio e non da carabiniere di Nassyria è chiaro essi debbano possedere delle qualità alternative altissime. Che non possono essere solo di prontezza reattiva, ma anche modali: del tipo arti marziali livello cintura nera, del tipo saper usare le armi con occhio da ranger. Gli strumenti cioè d'ogni buon gorilla, d'ogni buona body-guard. Tutte doti che, a momento di retribuzione, debbono anche, e chiaramente, coprire una notevole valenza di rischio. Insomma, qual era e per conto di chi e con quale oggetto, l'attività di questi quattro e continua ad essere non solo di questi quattro (ci sono, si sa, fra il loro ancora imprecisato ma assai alto numero ex parà ed ex Legione Straniera)? E come e perché erano andati in Iraq? In questo momento la notizia più importante per aver quadro completo della vicenda sarebbe proprio questa. E proprio questa non c'è.

Insomma, è così difficile il suggerimento di una pista? Giro allora il riflettore verso qualcosa di cui sono a casuale conoscenza per relazioni personali e quindi solo indirettamente, ma su cui non dovrebbe certo essere impossibile anche ad altri d'aver nozione ancora più approfondita. Ci si arriva parlando con persone di un certo giro o anche sfogliando magazines specializzati in armeria, del genere «Armi e tiro» eccetera, che recano degli annunci. L'idea collegante mi viene dall'aver sentito in tv un parente d'uno dei quattro dire che ogni tanto questi si assentava per lavoro senza comunicare quale e che ultimamente era andato «in una capitale europea» per questi motivi. Allora: non so in Italia, ma in Germania ci sono quattro o cinque centri di addestramento, facenti capo a una vera e propria scuola, in cui le discipline occorrenti ci sono tutte, dall'allenamento fisico, al karatè, al tiro di precisione al bersaglio. Il corso dura sei mesi e l'iscrizione va dai 12.000 euro in su. Si firma un contratto in base al quale l'agenzia trova i committenti ed affida gli incarichi, che possono essere anche molto pericolosi e se ne è avvertiti e si stipula un'assicurazione. Corsi del genere ce n'è in Europa anche altri, e qualcuno collegato con l'FBI. A quanto mi è stato dato di sapere viene sempre consigliato di tenere la pistola non in vista ma «...per cautela» (sic!) senza sicura. In molti casi il committente/assuntore paga direttamente l'agenzia e l'assunto viene poi pagato da questa, che trattiene un margine per sé. Non so se il titolo, o diploma, o attestato che esse rilasciano sia proprio quello di «guardia giurata», ma certo con esso si può andare sia a fare il guardaspalle a Madonna che il «vigilante» in Iraq che il soldato mercenario in Uganda o altrove.

La morte di quell'uomo in quel modo, e il doloroso sgomento delle famiglie di tutti e quattro, che non tutti i media rispettano a sufficienza, suscita una pena profonda, per provare la quale non c'è affatto bisogno di pensarlo come un Enrico Toti. Così come non c'è bisogno di evocare patriottismo - in queste missioni inesistente - per disprezzare l'assassino che ha materialmente compiuto quel gesto esecrando, e anche chi gliel'ha ordinato. Il presidente Bush, con quella sua idea del cavolo della «guerra preventiva» sui moventi, prima proclamati ed ora rivelatisi inesistenti, della quale ora fa autocritica perfino il capo del suo Dipartimento di Stato Powell, ha creato, come l'apprendista stregone di Paul Dukas, una situazione in Asia Minore e generale molto più grave di quella di quando c'era Saddam. Scoperchiando una pentola il cui bollente contenuto ora si spande un po' dovunque con possibilità di conseguenze dal coefficente di dannosità ancora imprevedibile e comunque già sfuggite di mano. Le quali molto possibilmente costeranno a lui la presidenza e a noi non si sa cosa.

Ma il punto resta in questa sede quello che ho indicato. Che compiti avevano (sorvegliare le bancarelle del mercato, il museo di Baghdad, l'albergo dove risiedono i rappresentanti delle Sette Sorelle petrolifere, o che altro di più delicato e pericoloso). Per conto di chi (entità governative, entità "coperte", industriali in cerca d'affari, multinazionali del petrolio o di genere diverso). Con quali eventuali mansioni speciali (scorta a convogli di autocisterne o Tir, protezione di signori X, cosiddetta prevenzione attiva verso soggetti temibili o miratamente incursoria). Tutti punti interrogativi per ora. Arriverà il momento in cui governo e televisione faranno alla fine il loro mestiere/dovere di informarci? Anche per aiutarci a capire davvero - fermo restando che andavano rilasciati tutti e che questa rimane la nostra ansiosa speranza - perché gli ostaggi giornalisti sono stati rilasciati e quelli «guardie giurate» non solo no ma avendo anzi peggior sorte. Qual è stata, insomma, considerata la differenza? Ci sono ragioni determinanti tale discriminazione che si lasciano sospettare ma che non ci vengono dette, avvolgendole invece in uno sfarfallìo retorico. Che magari non andrebbe definito giornalismo proprio del tutto pessimo (ci vogliono qualità professionali anche per gestirlo in questo modo, va ammesso), ma subalterno, reticente e inadeguato certamente sì. E' probabile che quel che sapremo nei prossimi giorni in più, e nella direzione che ho qui descritto, ci venga dai media della nostra informazione stampata, quotidiana e settimanale, che dopotutto appare più libera e più investigatrice di quella nostra audoviosiva dalla quale ahimè maggiormente dipendiamo.