Produciamo ogni giorno miliardi di messaggi telematici d'ogni genere. Ognuno di essi viene trasformato in dati trasmissibili e/o in dati da archiviare. Entro certi limiti nella memoria disponibile del computer stesso, che nelle sue ultime generazioni è sempre più ampia. E in quantità enormi su supporti hard esterni al computer, ad esso aggiungibili o moltiplicabili in unità centrali, o anche separati ma dai quali sono comunque quando si voglia richiamabili con diversi softwares via driver. Ci sono, si sa, intere enciclopedie composte da parecchi volumi che stanno tutte in un disco di diametro più piccolo del DVD di un film. Privati a parte, sempre più uffici, enti, società, istituzioni. di dimensioni medie, grandi o piccole, stanno provvedendo o tendono a provvedere alla conversione elettronica dei rispettivi archivi. Non solo quelli correnti e d'ora in avanti, ma anche quelli pregressi e magari antichi, fatti d'accumulata carta, ed ingombranti ormai non solo scaffali ma anche magazzini e da ultimo corridoi e sottotetti. Una traduzione universale dal cartaceo al bit. Che guadagna una sconfinata quantità di spazi, perdendo comunque insieme, spesso, la dovuta o anche solo utile autenticità vissuta di un originale. Il che per lo più è poco male ma in altri casi, essendo un testo elettronico manipolabile senza lasciar tracce, occorrerà ci si vada coi piedi di piombo.

Il vantaggio non è certo da poco. in economia ambientale e in velocità di reperimento dei dati cercati, ma poiché ciò comporta insieme la non conservazione, la distruzione e il non incremento ulteriore di una massa sconfinata di documenti cartacei la cui raccolta sarà improseguibile e l'imponenza della cui mole è facilmente immaginabile, si creano contemporaneamente sia una grandissima comodità che una notevole (e più che notevole senz'altro rabbrividente) fonte di rischio.

E' proprio in questi termini ammonitori che la situazione viene prospettata in uno degli ultimi numeri di «Zeus», la preziosa rivista online di informatica che vi avevo altre volte segnalato. Lasciamo stare, come s'è detto, gli archivi privati, che sono in genere di minore consistenza - e in quanto privati anche di minore interesse generale - e le biblioteche, che sono anch'esse archivi di carta ma dove il singolo libro viene comunque conservato come oggetto epocale avente intrinseco valore anche in quanto tale. Proviamo però ad allineare un elenco come quel che segue.

Documenti dell'anagrafe territoriale, documentazione fiscale nazionale dei contribuenti, archivi dei singoli palazzi di giustizia, registrazioni relative alle transazioni di ogni istituto di credito e al loro parco-clienti, archivi e repertori ministeriali, notarili e catastali... Potrei continuare a lungo e lasciarvi contemporaneamente immaginare le conseguenze delle possibilità (incidentali, di tilt tecnico, effrattive, manipolatorie, virali, ecc.) di perdita di questi dati sul cittadino. Intendo dire sulla sua situazione fiscale e giudiziaria, sui suoi depositi e movimenti bancari, sulla sua stessa esistenza anagrafica, che si potrebbero verificare. Drammatiche, tremende, in larghissima parte irreparabili. Certo, anche un archivio cartaceo può essere distrutto: da un incendio, da un'alluvione, da un terremoto, da un bombardamento. Ne abbiamo vasti esempi accumulati nel corso della storia. Ma le possibilità di una catastrofe del genere per via elettronica sono molto più fitte: conservare l'immateriale non è come conservare ciò che ha consistenza fisica.

E non si tratta solo di spionaggio, concorrenza, atti di vandalismo o delle future, temibilissime, electronic wars. Si tratta anche e soprattutto di possibili défaillances proprio tecnologiche (ne conosciamo) che possono provocare la cancellazione di dati, singoli o in massa. Si tratta di eventualità di sabotaggi anche, perché no, preterintenzionali per far sparire dati: senza che restino dei vuoti come sarebbe in scaffalature di materiale contenuto cartaceo, ma proprio come quel che è sparito non fosse mai esistito. I cervelli elettronici riallineano e rinumerano tutto in un fiat senza che impronta ne resti. La carta evidenzia cancellazioni, abrasioni, varianti, aggiunte; un supporto elettronico può benissimo non farlo.

E poi ci sono ancora imperfezioni conoscitive e mancanza di garanzie certe sull'arco sia pur lungo di persistenza durevole dell'imprinting elettronicamente ricevuto da un disk. E dunque della durata della sua leggibilità. E' immortale o ha un tempo di degrado una celletta scrutata da un laser? Sopravverranno sicuramente apparecchiature di altra generazione e concetto con altri linguaggi e su codici di diversa natura impostati, e nessuno di noi sa se, come sempre è avvenuto, anche questi sfiziosissimi supporti attuali, che fra cent'anni saranno vecchi quanto i cilindri incisi di Edison, le avranno come compatibili. Sarebbe davvero perfidamente grottesco che, mentre abbiamo ancora dopo millenni una quantità di esempi leggibili di tavolette d'argilla sumere. di papiri dell'antico Egitto, di cartapecore monacensi, vedessimo i sofisticati supporti archivistici del postmoderno seguire una sorte simile a quella dei «45 giri» e dei «33 giri» di vinile.

Occorrerebbe allora che fossero adottati - il che finora non è - criteri conservativi maggiormente precauzionali e che questi criteri fossero disposti, inderogabilmente, PER LEGGE. Quali criteri? Innanzitutto quello della duplicazione. Ogni archivio dovrebbe essere creato almeno in due esemplari identici, da conservare non nella stessa sede e con codici d'accesso differenti; e poi quello di un aggiornamento tecnologico puntualmente costante. Ciascuno di essi dovrebbe cioè essere tempestivamente e per intero trasferito su supporti nuovi ad ogni passo avanti che si verifichi sul piano delle piattaforme conservanti e delle strumentazioni lettrici, e via via dunque che essi risultino in qualche modo superati. Analogamente al passaggio verificatosi, spontaneamente e non obbligatoriamente, da carta a microfilm e da microfilm a disco magnetico. Solo così si acquisirebbe la necessaria rassicurazione mantenitrice.

E tutto questo - attenzione - tenendo d'occhio allo stesso modo l'oggetto libro. Ammonisce Umberto Eco che non solo documenti e dati ma anche proprio quest'oggetto cartaceo fatto di fogli cuciti andrebbe, se il suo contenuto ha valore, in tempo trasferito. Quelli di pergamena e le rilegature in pelle non sono biodegradabili, e dànno affidamento di durata anche quelli stampati su carta ricavata, fino a un secolo e mezzo fa, da impasti tessili ossia dagli stracci. Ma tutti quelli di più recente confezione, impressi su carta fabbricata, come da tempo invalso, con quella materia prima che si chiama cellulosa ed è ricavata dal legno ancora arboreo, cioè vivo, ci mettono nel rischio previsionale che fra un secolo e mezzo o due essi restino negli scaffali delle biblioteche solo in fragili brandelli destinati a sfaldarsi e polvere diventare al solo contatto con i nostri polpastrelli. Pensiamoci senza perdere molto tempo, via.